Ha confezionato abiti per l'establishment americano e per attrici del calibro di Sarah Jessica Parker, Angelina Jolie o Nicole Kidman. Non solo. «Melania Trump la conosco da prima che sposasse Donald e lei ha sempre amato un modo di vestire molto semplice, abiti dritti, giacche di tweed con i jeans e maglie a collo alto. È una bellissima donna, molto discreta, una vera first lady. Al loro matrimonio, a cui sono stata, Vogue America ha dedicato la copertina». Chi parla è Luisa Beccaria, stilista appartenente a una famiglia dell'alta borghesia illuminata milanese. La sua passione per la moda, una sorta di vocazione, è nata già sui banchi di scuola.
«Le prime cose le ho disegnate che ero ancora al liceo, avevo delle mie idee estetiche. E un vita così stretta che non trovavo mai abiti che mi andassero bene. Al primo anno di università ho fatto la mia prima mostra di vestiti in una galleria d'arte con Piero Fornasetti. Lui disse: “Svecchiamo questi mausolei, voglio fare vedere cose diverse, questa ragazza ha una visione". Negli anni Settanta ho aperto un ufficio a Brera dove ho iniziato».
Un percorso che denota chiarezza di idee.
«È così. Negli anni Ottanta ho aperto il mio primo negozio in contemporanea con la mia prima figlia. Negli anni Novanta mi sono dedicata alla couture e ho sfilato a Parigi con l'alta moda. Nel frattempo sono nati tre bambini e mentre aspettavo la quarta ho deciso di fermarmi e ricominciare con una demi couture-prêt-à-porter e di presentarla a Milano».
Un ritorno a casa.
«In un certo senso sì. All'inizio del 2000 è arrivato il successo in America, poi Russia e Medio Oriente. Nel 2006 ha iniziato a lavorare con me la mia primogenita, oggi codesigner. Lei segue la linea di prêt-à-porter. La parte couture sposa la seguo di più io ma facciamo molte cose insieme. Nel frattempo anche la mia quarta figlia è entrata in azienda e si occupa della parte online».
Oltre agli abiti c'è di più, sviluppato con suo marito Lucio Bonaccorsi dei Principi di Reburdone.
«Non ho mai avuto in mente semplicemente un vestito ma tutto un tipo di lifestyle e da un anno e mezzo è partito il progetto home con accessori per la tavola. Mi è sempre piaciuta un'immagine a tutto tondo, e i miei figli hanno aperto un ristorante a Milano che si chiama Lu Bar e riassume la cultura del mangiare sano e questo mondo estetico, facendo diventare un'esperienza anche un pasto. Questa mentalità si riflette nel restauro del Catelluccio, borgo siciliano al quale mi sono molto dedicata dopo i primi dieci anni di matrimonio. Mio marito è siciliano e insieme abbiamo restaurato tutta una zona abbandonata. Qui mi sono inventata un modo contemporaneo di vivere uno spazio grande e nello stesso tempo semplice e sofisticato. Ho creato una piccola comunità che lavora con noi, dove le giovani, che avevano disimparato l'arte della vita agreste sono andate a scuola dalle nonne a imparare. Facciamo il pane nel forno a legna, coltiviamo le verdure dell'orto. Mio marito ha grandi campi di olive biologiche e produciamo l'olio».
Cinque figli: Lucilla, Lucrezia, Ludovico, Luna e il più piccolo Luchino. Lucilla e Luna lavorano con lei. Gli altri?
«Una parte si dedica alla moda, altri sono impegnati nel Lu Bar. Luchino sta studiando economia e promette di occuparsi del business. L'idea è creare un piccolo gruppo del lusso. Le nostre sono attività diverse e separate ma hanno un patrimonio culturale in comune a livello di contenuti e valori. C'è un notevole scambio».
Un mondo, il vostro, fatto di tradizioni.
«Dal progetto in Sicilia fino alla moda, siamo stati i primi. Anche in America eravamo gli unici a proporre una femminilità molto sottolineata, il culto della leggerezza, tessuti fatti di sofisticate trasparenze. Vestiti con un'anima sexy ma non palese, come in caso di capi panterati e con lo spacco. È un genere che agli uomini piace moltissimo. Halle Berry mi ha scritto dopo aver indossato per la prima volta un mio capo: “Mi hai fatto sentire come una principessa ma il mio fidanzato, più che una principessa, mi ha trovata molto sexy". Ho sempre spinto per questo senso della moda aggraziato, che deve donare bellezza e puntare su un proprio stile. Siamo stati antesignani della moda di oggi».
Anche i colori fanno la differenza.
«Ricordano un mazzo di fiori, tinte open air, preraffaellite. È un ritorno al green, a tutto quello che è made in Italy, a chilometro zero. Oggi bisogna guardare a tessuti di qualità per abiti pochi ma buoni, piuttosto che tanti stracci. Questo coincide con la mentalità di adesso. È un momento difficile, il commercio è in una crisi nera, la gente ha già gli armadi pieni, c'è troppo di tutto, l'offerta è folle. Il lusso è diventato da supermarket non nei prezzi ma per la facilità di trovare lo stesso vestito a Hong Kong o a New York. Non c'è più differenza e il pericolo di avere addosso lo stesso abito è dietro l'angolo. Una realtà di nicchia in cui una donna scopre qualcosa di artigianale e unico ha la sua ragione d'essere».
Siete scelti anche dalle teste coronate.
«Abbiamo fatto l'abito da sposa di Gabriella Windsor, nipote di Elisabetta, siamo stati il primo marchio italiano a entrare a Corte. Sono stata invitata al matrimonio con la regina. Loro sono molto fedeli ai loro stilisti perciò è stata una grande soddisfazione».
Ha mai disegnato un abito nero?
«Sì, ma è un nero particolare. Uno lo ha indossato Madonna al Festival di Berlino, mai un nero compatto ma stemperato. Altri stilisti si sono attribuiti il vestito e lo hanno comunicato. Per fortuna ho dimostrato che era mio. Questo mondo è purtroppo in mano a pochi marchi che dettano legge. Però mi hanno chiesto scusa».
Paola Bulbarelli
Elle Decor apre le porte del suo «Grand Hotel»
«Una visione lista dell'hotel di domani, incentrata sul wellness psicofisico degli ospiti, dove la natura assume un ruolo determinante». Il progetto Elle Decor Grand Hotel arriva alla quarta edizione e in occasione della Milano Fall Week 2019 ha deciso di trasformare Palazzo Morando in un vero e proprio «temporary hotel». I visitatori possono così passeggiare da una stanza all'altra e trovarsi parte di situazioni inaspettate e immersive.
Il progetto prende il nome di «Design Therapy» ed è nato da una collaborazione con Matteo Thun, Antonio Rodriguez che raccontano come il loro hotel «intende coniugare l'estetica dell'hospitality a quella dell'healthcare, sottolineando la relazione tra spazio fisico e benessere e assegnando alla natura, all'ospite e alla persona un ruolo di primo piano». L'architetto paesaggista Marco Bay si è invece occupato del disegno del verde, elemento portante dell'intera struttura. «I giardini per "Design Therapy" determinano una sequenza di esperienze, legate da un sottile filo conduttore, secondo la bellezza dei colori e dei grafismi che regala la stagione dell'autunno» ha spiegato.
Il viaggio nel Grand Hotel ha inizio con il «garden bar», uno spazio immerso nel verde dove la parola d'ordine è convivialità. Qui la gente può scambiare quattro chiacchiere e sorseggiare un caffè prima di varcare la soglia di Palazzo Morando. La «lounge interna» è il primo ambiente che incontriamo nel percorso espositivo ed è arricchita dalla presenza di graminacee e dalla palette dorata che distingue gli elementi d'arrendo, ricreando l'impressione di un cortile interno con pareti rimate da nicchie. Si prosegue entrando nel ristorante «déjeuner sur l'herbe» dove, sotto le piante è possibile scorgere tre lunghi tavoli dove mangiare insieme. Il menù per colazione e pranzo è stato elaborato con la consulenza del nutrizionista Nicola Sorrentino, per non lasciare nulla al caso. Il ristorante si affaccia inoltre sull'«hortus», un root-giardino sospeso caratterizzati da sfere composte da ortaggi.
Seguono tre aree speciali dedicate alla cura del corpo: hammam, sauna e palestra. Il primo di questi spazi è caratterizzato dall'utilizzo del grès porcellanato effetto marmo, mentre la sauna è completamente in legno; due spazi dove la calma e la privacy la fanno da padrone. La palestra invece è ricca di attrezzi d'antan - anelli, spalliere e pesi - reinterpretati grazie all'utilizzo di materiali completamente naturali. La camera da letto - la suite «finestra sul bosco» - è preceduta da un'anticamera-spazio di decompressione dove l'ospite però ammirare un'ideale e fantastica finestra sul bosco, pur trovandosi in una realtà urbana. Infine la «self-care room» ovvero la stanza da bagno rappresenta uno spazio dedicato ai rituali del benessere con grandi specchi e accessori di ultima generazione.
Ma prima di abbandonare questo magico luogo c'è un ultimo passaggio. Si tratta della stanza dell'«aroma», una «reflective pool» che si ispira alla tradizione romana e araba dove il profumo è un elemento d'arrendo.
Lo spazio è aperto gratuitamente al pubblico fino al 20 ottobre.