2023-02-02
Sala chiude gli asili nido e poi invoca più immigrati per compensare la denatalità
Il sindaco invoca un aumento dei flussi per rimediare al calo della natalità. La sua giunta tuttavia sta chiudendo gli asili nido, cancellando i posteggi e aumentando i biglietti del bus. Il suo progetto è una metropoli abitata solo da miliardari o morti di fame. Secondo Giuseppe Sala dei migranti non si può fare a meno e quindi è necessario programmare arrivi e distribuzione. Il sindaco di Milano ne è così convinto che a questo tema di stringente attualità ha dedicato il suo podcast Buongiorno Milano. Ad ispirarlo è stata una paginata dell’inserto del Corriere della Sera, La Lettura, uscita in edicola domenica. Titolo dei 7.830 caratteri (spazi inclusi) vergati dallo statistico Roberto Volpi: «All’Italia servono più immigrati». In sostanza, Volpi scrive che la natalità in calo e l’invecchiamento della popolazione rendono necessario un aumento significativo dell’apporto di lavoratori stranieri. Bisogna quindi cominciare a definire subito politiche adeguate per l’accoglienza e l’integrazione. Sala ha ripreso tutti i numeri dell’articolo e li citati agli ascoltatori del suo podcast: «Lo scorso anno in Italia si sono persi poco meno di 200.000 abitanti, ma il saldo sarebbe stato il doppio senza l’arrivo di migranti». Poi ha citato anche il rapporto Onu World Population Prospect 2022 che «certifica papale papale che per i prossimi decenni la sola leva su cui potranno contare i Paesi ad alto livello di reddito sarà quella dell’immigrazione» e questo è tanto più vero «per l’Italia che è il Paese con la più bassa natalità dell’Unione Europea». Certo non bisogna rinunciare a «politiche natalistiche classiche o meno per aumentare natalità e fecondità» ma aumentare le nascite «si sta rivelando una impresa difficilissima». E quindi bisogna «programmare e programmare» gli arrivi dei migranti in tutto il Paese anche per «scongiurare lo svuotamento del Mezzogiorno» e integrando «economicamente e culturalmente» con «politiche di notevole consistenza e sensibilità umana oltre che tecnica». Per Sala si tratta di «una scelta obbligata per evitare il declino irreversibile della popolazione italiana» perché già ora «ci sono interi settori che senza questa forza lavoro chiuderebbero. Settori come l’agricoltura e l’allevamento ne hanno un bisogno totale. Però è così per la manifattura, l’edilizia, la ristorazione» senza contare «gli infermieri e si potrebbe andare avanti per cui riflettiamoci». Ok, sindaco. Prima, però, riflettiamo su altre notizie uscite di recente che - speriamo - possono offrire un altrettanto accorato approfondimento nei prossimi Buongiorno Milano. Prendiamo Repubblica. Il 27 gennaio vi si lanciava l’allarme per i centri estivi nel capoluogo lombardo: nel bilancio del Comune non ci sono i fondi per aprirli. Fino a giugno, tra nidi e scuole materne, i servizi saranno garantiti ma, arrivando all’estate, i problemi potrebbero iniziare a concretizzarsi. Colpiti pure i posti disponibili per le case vacanze, che crolleranno da 2.700 ad appena 700. «Si profila all’orizzonte un’estate difficile per le famiglie milanesi», scriveva Repubblica. Magari Sala legge solo il Corriere, e allora riflettiamo anche su un articolo, del 13 dicembre, che non era pubblicato in un inserto fighetto ma nelle pagine dedicate alla cronaca milanese del quotidiano di via Solferino. Titolo: «Milano, scuole materne che chiudono le reazioni dei genitori contro il Comune: picchetti, striscioni e petizioni online». Il problema? Oltre all’Infanzia Spiga, chiuderà la materna di via Cima, all’Ortica. Stessa sorte per cinque micronidi oggi in appalto e l’asilo nido di via Palletta mentre un’altra materna, in via Baroni, ha chiuso nei mesi scorsi. Torniamo agli ultimi giorni. Il 30 gennaio, proprio mentre il sindaco lanciava il messaggio «dei migranti non si può fare a meno», il suo assessore - pardon, assessora - alla mobilità, Arianna Censi, ha annunciato che «entro agosto» ci sarà la rimozione dei parcheggi in corso Buenos Aires a Milano perché «è vero che esiste un’esigenza di parcheggi ma è anche vero che dobbiamo andare nella direzione di una progressiva diminuzione delle auto in città». Nel frattempo, però, a Palazzo Marino hanno bisogno di far quadrare i conti del bilancio (mentre in quello di previsione 2023 crescono i proventi dalle multe e in centro stanno installando nuovi multivelox) e dal 9 gennaio è scattato l’aumento del prezzo del biglietto dei mezzi pubblici (da 2 a 2,20 euro). Riflettiamo anche sull’indice della criminalità elaborato di recente dal Sole 24 Ore: Milano si conferma al vertice della top ten con 193.749 i reati denunciati nel corso del 2021, 5.985 ogni 100.000 abitanti. Tra le 107 province italiane, Milano è il territorio con più furti rilevati ogni 100.000 abitanti, in particolare nei negozi e nelle auto in sosta; la città metropolitana è settima per denunce di violenze sessuali; seconda per rapine in pubblica via; terza per associazioni per delinquere. L’elenco delle riflessioni, come abbiamo visto, è assai lungo. Quindi riassumiamo: secondo Sala, la natalità in calo e l’invecchiamento della popolazione rendono necessario a Milano un aumento significativo dell’apporto di lavoratori stranieri. Intanto nella città da lui amministrata si chiudono gli asili e i centri estivi e si taglia sul decentramento. Si tagliano anche i parcheggi, si vogliono eliminare le auto, si costringe chi ne ha una vecchia poco green a comprarne una nuova e intanto si fanno pagare più caro i mezzi pubblici. Su cui spesso si ha paura a salire per baby gang e borseggi. Idem quando dai mezzi si scende. I milanesi sono incazzati neri perché devono fare lo slalom tra le piste ciclabili e dopo la caccia al parcheggio tornano a casa e gli tocca pure attaccarsi a Internet alla ricerca di uno slot libero per rinnovare il passaporto, la carta di identità o cambiare il medico di base e il pediatra. Sembra che ci sia un disegno per fare in modo che a Milano rimanga a vivere solo chi non ha figli quando invece andrebbero aiutati i milanesi a farne di più. La città si sta trasformando progressivamente in una città per ricchi o per morti di fame. E il sindaco Sala che fa? Chiede nuovi immigrati. Buonanotte Milano.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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