C’è una data cerchiata di rosso sul calendario di Alessandro Del Piero, lo storico numero 10 della Juventus e asso della nazionale campione del mondo 2006. È quella di domani, mercoledì 27 novembre, quando comparirà di fronte alle telecamere di Sky per il consueto commento delle partite di Champions League. A quanto trapela, ma non c’è nulla di ufficiale, in quell’occasione Pinturicchio (come lo soprannominò l’avvocato Gianni Agnelli ai tempi della Juve di Marcello Lippi) potrebbe annunciare la sua candidatura alla presidenza della Federcalcio. La notizia circola ormai da qualche giorno. E il diretto interessato non ha ancora smentito. Anche perché si sarebbe fatto convincere dell’importanza e della strategicità di un suo futuro ruolo alla guida della Figc. Del Piero, infatti, potrebbe essere il pacificatore, l’uomo che potrebbe finalmente archiviare una stagione di veleni che dura da ormai troppo tempo, ovvero da quando Gabriele Gravina si è insediato in via Gregorio Allegri a Roma nel 2018. La candidatura del fantasista bianconero potrebbe avere un sottotitolo, cioè quello di restituire il calcio alle persone. Negli ultimi anni il palazzo della Figc è diventato sempre più impenetrabile, dilaniato da veleni, inchieste, vendite di libri antichi e polemiche che poco hanno a che fare con il mondo della «pedata» (copyright Gianni Brera). Il nome di Del Piero sta riscuotendo successo. Piace molto tra le squadre di serie A e di B. Trova consensi tra calciatori e allenatori. Dato il suo standing internazionale (è uno dei pochi calciatori a aver giocato in tutti i continenti) potrebbe trovare sponsor anche all’estero, tra Fifa e Uefa. Anche se il suo cammino non sarà di certo semplice. Al momento l’assemblea, cioè quella di due settimane fa, continua a essere un avamposto di Gravina, anche perché tra Calciatori (20%), allenatori (10%),dilettanti (34%), Lega Pro 12% e le squadre di Serie A e Serie B che comunque valgono insieme il 24%, l’attuale presidente continua a riscuotere consensi. Del resto, i rappresentanti delle varie anime sono sua diretta espressione, a cominciare da Giancarlo Abete, presidente della Lega Nazionale dilettanti che continua ad avere un peso non indifferente dentro la Figc. La riforma prevista dall’emendamento Mulè, alla fine, non è passata. Le leghe professionistiche sono salite al 36% di rappresentanza, hanno superato il 34% dei dilettanti, ma non sono arrivate al 51% auspicato dal parlamentare di Forza Italia. Insomma, c’è un cauto ottimismo su Del Piero. Ieri anche Giovanni Malagò, numero uno del Coni, ha abbozzato un commento positivo senza (chiaramente) sbilanciarsi. «Ho letto questa notizia e mi ha sorpreso. Non ho la più pallida idea se ci sia un elemento di veridicità, anche se penso sia probabile. Sarebbe una notizia importante, ma serve anche un elemento di certezza. Figuriamoci se mi metto a commentare, non aggiungo altro». Ha rincarato i complimenti anche lo zio Beppe Bergomi. «Alex lo conosco bene perché lavoriamo insieme a Sky. So qual è il suo pensiero, so come vede il calcio, è un ragazzo preparato, ha voglia di far bene. Se fosse così sarebbe ottimo, perché sono personaggi di spessore e di cultura. Sarebbe perfetto. La accoglierei bene, a 50 anni è pronto». La candidatura di Del Piero, però, come detto dovrà essere sostenuta da tutti perché vada in porto. L’attuale presidente non ha ancora sciolto le riserve sua una sua possibile ricandidatura: «Mi ricandido? So di avere numeri importanti, la certezza del risultato c’è, il problema è un altro: capire se ci sono i presupposti per guidare la federazione con una serenità diversa e una prospettiva per il calcio italiano» va ripetendo Gravina a chi gli domanda delle sue prossime mosse. Può decidere fino al 25 dicembre, anche perché il rinnovo delle cariche federali è previsto per il prossimo 3 febbraio a Roma presso l’Hotel Cavalieri A Waldorf Astoria. Di sicuro sulla strada dell’attuale presidente potrebbe pesare l’inchiesta della Procura di Roma, che lo vede indagato per autoriciclaggio e appropriazione indebita per fatti che risalgono ai tempi della Lega Pro. Nei giorni scorsi il Tribunale del riesame di Roma, ha rigettato la richiesta di sequestro dei 140.000 euro, ma ha riconosciuto la validità dell’impianto accusatorio. Gravina avrebbe orchestrato operazioni di trasferimento di denaro, anche a suo vantaggio, usando la propria collezione di libri e anche la LegaPro di cui era presidente. Ora bisognerà aspettare le prossime mosse della Procura e del giudice per le indagini preliminari. Di sicuro è la politica che non pare volersi fermare. Ci sarebbero già due interrogazioni parlamentari al ministro Andrea Abodi, pronte per essere depositate sulla figura dell’attuale presidente della Federcalcio, dove si chiederebbe conto delle presunte violazioni dei principi di lealtà, probità e correttezza previsti dal Codice di giustizia sportiva. Sono infatti questioni che dovrebbero interessare gli organi di vigilanza del Coni e della stessa Federcalcio. L’articolo 2 del Codice di comportamento sportivo del Coni stabilisce «che i tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all’attività sportiva». In questa chiave appare abbastanza strano il comportamento degli organi di giustizia federale, come il Procuratore generale dello Sport o il garante del Codice di comportamento sportivo, che fino adesso hanno preferito prendere posizione. Di sicuro Del Piero questi problemi non ne ha.
Il presidente e fondatore di Technogym, Nerio Alessandri, traccia la strada in vista di Milano Cortina 2026, di cui sarà fornitore ufficiale: «I Giochi rappresentano una grande occasione per l’intero Paese per promuovere la cultura dello sport e del wellness con un duplice obiettivo: diffondere la cultura della salute e della prevenzione e presentare l’Italia al mondo come il Paese del benessere e della qualità della vita».
Mancano poco più di 14 mesi all'inaugurazione delle Olimpiadi invernali 2026 che si terranno in Italia a Milano e Cortina. Ieri, presso la sede milanese di Technogym, è stata presentata la partnership tra l'azienda leader a livello mondiale nei prodotti e tecnologie digitali per il wellness, il fitness, lo sport e la salute e Fondazione Milano Cortina 2026.
Si tratta di un accordo di collaborazione che ufficializza l’ingresso dell’azienda italiana nella squadra dei partner dei prossimi Giochi olimpici e paralimpici invernali e che definisce la continuità di una storia che va avanti da 24 anni, precisamente da Sydney 2000. Da allora Technogym ha fornito con i suoi prodotti e la sua tecnologia ben nove edizioni delle Olimpiadi e Milano Cortina 2026 sarà la decima che vedrà l'azienda fondata e guidata da Nerio Alessandri partner di riferimento del movimento olimpico. Per l'occasione Technogym ha presentato due progetti: uno dedicato all'allenamento dei 3.500 atleti olimpici e paralimpici che parteciperanno ai Giochi, l'altro per dare e lasciare un contributo importante alla legacy, ovvero all'eredità che le Olimpiadi lasceranno al territorio. Il primo progetto, Technogym ecosystem, prevede l'allestimento di sei villaggi olimpici completati da tutte le tecnologie in grado di rispondere alle esigenze di tutti gli atleti e coach di ogni disciplina e 22 centri di preparazione atletica con circa 1.000 attrezzature installate, oltre un team di 50 trainer messi a disposizione per aiutare gli atleti a usare al meglio i prodotti.
Oltre a ciò, però, sarà importante farsi trovare pronti per quello che queste Olimpiadi lasceranno in eredità non solo a Milano e Cortina, ma a tutto il Paese. Si tratta sì di un grande evento sportivo, ma soprattutto una enorme opportunità culturale per l'Italia, motivo per cui sarà di fondamentale importanza lasciare una legacy, sia a livello di infrastrutture che a livello culturale, legata alla diffusione della cultura dello sport, della prevenzione e della salute. Vanno in questa direzione i due Per questo Technogym ha ideato e progettato Milano wellness city, per creare a Milano la prima città del wellness, e Cortina in wellness, per contribuire a fare di Cortina non solo una destinazione di sport invernali o estivi, ma anche una meta legata al wellness e alla qualità della vita.
Ne è fermamente convinto Nerio Alessandri: «Oggi siamo pronti per fare dell'Italia, Milano Cortina, un progetto imprenditoriale che significa realizzare qualcosa contro tutto e tutti quelli negativi» - ha spiegato il fondatore di Technogym - «Sono convinto che grazie alla nostra esperienza possiamo fare un qualcosa che va molto oltre: perché non far diventare l'Italia il primo produttore al mondo di qualità della vita, di sport, di benessere, mettendo a sistema tutte le eccellenze che già esistono, ma che non si parlano tra loro: fashion, food, sport, fitness, design, tecnologia. Abbiamo tutto perché l'Italia possa diventare la culla della qualità della vita». Alessandri ha puntualizzato poi: «Milano Cortina deve rappresentare un punto di partenza, non di arrivo, perché quando il giorno dopo si spengono i riflettori ci sono due possibilità: o ti sei preparato prima per una legacy, oppure sei impreparato e vai in depressione. Noi non ci andremo, perché stiamo parlando ora di come lasciare una legacy. Milano sarà la prima wellness city al mondo. Abbiamo gli stakeholders: Milan, Inter, Fondazione Milano Cortina, Bocconi, Politecnico, Confindustria, Humanitas, San Raffaele, Federalberghi, Intesa Sanpaolo. Cortina deve tornare ai fasti degli anni Sessanta. Ho detto ai cortinesi, senza offesa, che oggi al di fuori della valle e dell'Italia non la conosce nessuno. La conoscevano, ma se oggi vai in Asia, in America, non la conoscono. Le Olimpiadi rappresentano una grande fortuna, perché da quel momento la conosceranno in tutto il mondo». Infine, ha concluso Alessandri: «Tutti insieme sogniamo le Olimpiadi, ma sogniamo il dopo Olimpiadi, perché sarà un'opportunità per lo sport e per l'economia dell'Italia. Lo sport è l'abilitatore per una sana longevità, per una prevenzione e per risparmiare soldi per lo Stato. Star bene conviene allo Stato, alle imprese e alle persone».
A raccogliere le parole del presidente e fondatore di Technogym, è stato il ministro dello Sport Andrea Abodi, intervenuto da Roma in collegamento video: «Noi dobbiamo fare in modo di non fermarci solo a Milano e Cortina, ma far diventare l'Italia il centro del benessere. Dobbiamo solo lavorare nella logica delle sinergie, della collaborazione ed è possibile, perché ogni volta che in giro per il mondo si chiede "in quale Paese vorresti andare", quasi sempre si indica l'Italia, nonostante tutte le difficoltà e i limiti che abbiamo». Presente alla conferenza di presentazione dell'accordo tra Technogym e Fondazione Milano Cortina 2026, anche il presidente del Coni Giovanni Malagò: «È una sfida nella sfida, perché puoi organizzare i migliori Giochi del mondo, ma devi assolutamente lasciare qualcosa che rimane subito dopo, sennò hai fallito. E poi devi avere anche degli atleti italiani che vincono, perché io so come funziona, sei bravissimo a organizzare, ma poi non hai il successo sportivo, c'è quel retrogusto dell'opinione pubblica e cerchiamo di evitarlo».
Caro Giovanni Malagò, le scrivo questa cartolina perché non ho capito una cosa: ma lei è presidente del Coni per esibire il suo ciuffo o per difendere lo sport italiano? Nel primo caso, mi associo alla schiera di giornalisti lecca-lecca che non perdono occasione per celebrarla e le faccio i miei più sentiti complimenti: anche questa volta ci è riuscito benissimo.
Il suo piacionismo made Circolo Aniene, lo stile pariolino d’esportazione, tutto lacca e distintivo, quel suo essere sempre un po’ Megalò (copyright Suni Agnelli e Dagospia), sono ancora una volta emersi in tutto il loro splendore a Parigi, intervista dopo intervista, apparizione dopo apparizione. Peccato che nel frattempo lo sport italiano sia stato trattato come una pezza da piedi. Dal judo alla scherma alla pallanuoto, ci hanno preso a schiaffi dimostrando che contiamo meno del due di picche quando la briscola è quadri. I nostri atleti sono stati bravissimi. Chi doveva tutelarli no. Evidentemente era troppo impegnato a proteggere il suo ciuffo per proteggere il nostro sport.
Addirittura l’altro giorno, quando i pallanuotisti hanno protestato contro i torti subiti girandosi di spalle durante l’inno, lei si è arrabbiato con loro, anziché con chi li aveva derubati: «Protesta non condivisibile e contraria allo spirito olimpico», ha detto. E non so perché ma abbiamo avuto l’impressione che in quel momento lei stesse difendendo più la sua cadrega fra i grandi del mondo (leggasi Cio) che i nostri ragazzi. Di cadute dello spirito olimpico, in effetti, in queste Macroniadi ne abbiamo viste tante: in nome della follia green hanno fatto dormire gli atleti in condizioni disastrose; in nome della grandeur della Francia li hanno costretti a nuotare nella Senna immerdata; in nome dell’ideologia woke hanno obbligato gentili pulzelle a prendere botte da sospetti omaccioni. È questo che ha tradito lo spirito olimpico, ci pare. Non certo la protesta dei pallanuotisti.
Noi sappiamo, per altro, quanto lei ci tenga alla lealtà e al rispetto delle regole. Lo sanno anche all’Università di Roma, dove le hanno annullato la laurea sospettando che lei avesse comprato tre esami, costringendola a laurearsi di nuovo, a 46 anni, all’Università di Siena. E lo sanno anche i giudici che hanno ordinato la demolizione degli abusi edilizi nella sua leggendaria villa di Sabaudia. Lei ha protestato, ovviamente. Del resto si sa: quando ci sono da difendere i suoi interessi diventa un leone. Perché allora, quando c’è da difendere il nostro sport, si fa pecorella?
Caro Megalò, oggi lei è un simbolo del potere, riverito e osannato, amico di tutti quelli che contano, un reddito di oltre un milione di euro l’anno (1.021.544 euro ultima dichiarazione), soci vip, ricche partecipazioni azionarie. E intanto però lo sport italiano che lei governa, nonostante la bravura dei nostri ragazzi, fa la figura del cenerentolo. Per questo ho osato scriverle questa cartolina: mi ha colpito la sua piccata reazione a chiunque ipotizzi la possibilità di una sua sostituzione, ministro o non ministro che sia. In questi mesi abbiamo sentito molte volte elogiare il rinnovamento dello sport italiano perché ci sono molti atleti giovanissimi. Ne siamo orgogliosi, ovviamente. Ma ora, dopo gli atleti, le sembra davvero così assurdo se si pensa a rinnovare un po’ anche i vertici? Forse che il ciuffo, a furia di lacca, le si è incollato alla poltrona del Coni?
Sembrava che gli aspetti più irrazionali e controproducenti dell’ondata russofobica in corso avessero finora risparmiato il nostro Paese. Stando alle parole del presidente del Coni Giovanni Malagò, invece, l’Italia non si sottrarrà alla caccia alle streghe che, come accade nella stragrande maggioranza dei casi in queste vicende, finisce per colpire e danneggiare chi non ha niente a che fare con l’invasione russa dell’Ucraina e lo scoppio del conflitto.
Il capo dello sport italiano, infatti, in un’intervista concessa al Corriere della Sera, ha fatto capire chiaramente che è orientato ad assumere, per gli Internazionali d’Italia di tennis, la stessa decisione lunare già presa dall’All England club per Wimbledon, impedendo agli atleti russi e bielorussi di partecipare al torneo. Una presa di posizione tanto più inspiegabile se si pensa che l’annuncio britannico era stato seguito da un coro di reazioni negative, in cima alle quali quelle delle associazioni professionistiche Atp e Wta, determinate a tutelare i diritti dei tennisti e il valore agonistico del circuito. Inoltre, lo stop a russi e bielorussi era stato fortemente criticato dai campioni del passato e da quelli in attività, primo fra tutti il numero uno mondiale Novak Djokovic, il quale aveva bollato come «follia» l’esclusione. Incurante del parere di chi finanzia il tennis, e di chi lo gioca, Malagò ha pensato di essere, dunque, più realista del re e ha già fornito una copertura a un orientamento maturato in sede politica, affermando che «in Italia rappresento il Cio e l’executive board ha raccomandato a tutte le federazioni di non invitare atleti russi e bielorussi ai tornei e alle manifestazioni sportive.
Tutte le più importanti federazioni internazionali», ha proseguito, «hanno accolto e seguito le raccomandazioni del Cio, solo il mondo del tennis si è stupito che Wimbledon abbia aderito al dettato del mondo olimpico internazionale». Quanto agli Internazionali di Roma, Malagò, curiosamente, si rimette alla politica, dopo aver più volte tuonato contro le presunte ingerenze della stessa politica ai tempi della costituzione di Sport e salute, da lui denunciata come una sorta di cavallo di Troia inventato per schiacciare l’autonomia dello sport italiano. «Spetta al governo», ha affermato, «prendere una decisione. Starà studiando il caso, valuterà la situazione, poi farà una scelta, sono convinto la migliore per il Paese. Ho difeso lo sport italiano», ha concluso, «nel rispetto della carta olimpica.
Adesso, come membro Cio, non posso che aderire all’invito del Comitato olimpico internazionale». Se si dovesse dare ascolto alla gente di tennis, non ci sarebbero dubbi su quale dovrebbe essere la decisione, visto che sia il presidente della Federtennis, Angelo Binaghi, sia i due più grandi campioni italiani di tutti i tempi (Adriano Panatta e Nicola Pietrangeli) hanno già manifestato la propria, netta, contrarietà all’ipotesi del bando per russi e bielorussi. Alcuni dei quali, per inciso, si sono nettamente espressi contro l’invasione dell’Ucraina. Per Panatta, vincitore al Foro Italico nel 1976, si tratta di «demagogia ottusa, una cosa assurda: I tennisti russi sono delle persone, non sono una nazione e, peraltro, hanno anche dissentito sulla guerra». Pietrangeli, anch’esso criticando la decisione inglese, aveva affermato ottimisticamente che l’Italia non avrebbe preso la stessa strada.
«Durante la crisi derivata dalla pandemia del biennio 2020-2021 lo sport system italiano è stato impattato più della media del sistema economico nel suo complesso. Inoltre la ripresa del 2021 risente ancora delle restrizioni alla partecipazione dal vivo». È l’Osservatorio sullo sport system in Italia condotto da Banca Ifis a dimostrarlo con un report presentato al Coni dal presidente Giovanni Malagò e dal vice presidente di Banca Ifis, Ernesto Fürstenberg Fassio. Il dato più rilevante si ha in termini di turismo sportivo. Ovvero il turismo legato al giro degli eventi, che con la pandemia in gran parte si sono svolti a porte chiuse. Si parla di una contrazione importante: nel 2019 l’indotto generato dal turismo sportivo legato agli eventi si attestava intorno ai 7,6 miliardi, ma nel 2020 è crollato a circa 2 miliardi bruciando di fatto 5,6 miliardi di euro. Un -74% dovuto al fatto che gli eventi sono stati sospesi nel mese di marzo 2020 ripartendo, ma solo a porte chiuse, nel giugno successivo.
«Il turismo sportivo è un volano importantissimo che vale quasi 8 miliardi di ricavi con oltre 30 milioni di presenze l’anno e che quindi è un valore su cui bisogna assolutamente investire». Carmelo Carbotti che ha condotto lo studio insiste molto su questo punto e aggiunge che «il 2020 è stato sicuramente critico. Ricordiamo tutti i vincoli legati alla mobilità delle persone e alla partecipazione degli eventi sportivi. Nel 2021 ricomincia l’attivazione, ma sappiamo che la maggior parte dell’anno tutti i vincoli sono rimasti soprattutto per quanto riguarda le attività sportive».
Già il ministro del Turismo Massimo Garavaglia ha dichiarato che chiederà a Roberto Speranza di ripagare i danni delle restrizioni prolungate soprattutto in relazione al periodo in cui nel resto d’Europa e del mondo i divieti si allentavano ovunque. «I dati per chiedere i danni anche nel settore dello sport ci sono» ha commentato Carbotti sollecitato da La Verità, «ma naturalmente sono le autorità a dover prendere una decisione su questo». Giovanni Malagò, presidente del Coni, intervenendo su questo punto ha commentato: «Noi non possiamo far altro che attenerci alle disposizioni di Stato».
Un’amara realtà questa, una contrazione economica che poteva essere di minore entità se le restrizioni fossero state gestite con più realismo. Oltre al turismo sportivo, che ha subito i danni maggiori, tutto lo sport system ha pagato il caro prezzo delle misure anti Covid. Il giro d’affari del comparto dell’impiantistica sportiva è sceso dai 6,2 miliardi del 2019 ai 2,3 miliardi del 2020, con una flessione di 3,9 miliardi (-63%). Gli impianti inoltre adesso hanno a che fare anche con i grossi rincari delle bollette che soprattutto per le piscine rappresentano una voce di spesa già di per sé enorme. In termini assoluti la flessione più grande l’hanno avuta le associazioni e le società sportive, che hanno visto il proprio fatturato passare dai 40,2 miliardi del 2019 ai 32,5 miliardi del 2020, con un calo di 7,7 miliardi, pari al 19% in meno. Questa flessione ha fatto calare l’occupazione di 30.000 unità (dai 189.000 posti del 2019 ai 159.000 del 2020). La ripresa si potrà avere solo grazie agli investimenti pubblici che secondo l’Osservatorio avrebbero un effetto moltiplicatore: sull’anno medio di riferimento (il 2019), 1 milione di investimenti pubblici attiva quasi 9 milioni di risorse private che generano un fatturato annuo di 20 milioni, 2,3 volte superiore agli investimenti privati. Puntare sullo sport significa poi ridurre l’impatto sulla spesa sanitaria, la criminalità e il fenomeno dei giovani Neet (né lavoratori, né studenti). E anche questo è dimostrato dall’Osservatorio di Banca Ifis.






