Sembra ancora piuttosto lontano il momento del possibile avvio di un negoziato tra Russia e Ucraina. La sensazione è che fino a quando le parti, in Donbass, riterranno di poter guadagnare terreno sul campo, la partita sarà tutta militare e non diplomatica: da un lato, ormai da settimane, l’avanzata russa prosegue, con oggettive e crescenti difficoltà degli ucraini; dall’altro, questi ultimi confidano nel prossimo arrivo di ulteriori armamenti per irrobustire una possibile controffensiva. La combinazione di questi fattori non rende vicino un cessate il fuoco, e tanto meno l’avvio di una trattativa.
E infatti anche ieri i toni delle dichiarazioni sono stati elevati. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha chiesto l’estromissione della Russia dalla Fao per ciò che la guerra scatenata da Mosca sta provocando in termini di crisi alimentare: «Non ci possono essere dubbi sul fatto che la Russia debba essere esclusa dalla Fao», ha detto Zelensky. «La Russia sta lavorando per far morire di fame almeno 400 milioni di persone, se non oltre un miliardo». E ancora: «In 105 giorni di guerra, la Russia ha lanciato circa 2.600 missili contro le città ucraine, soprattutto contro obiettivi civili: imprese, ferrovie, ponti, università ed edifici residenziali». Zelensky ha citato un episodio tra i tanti:il missile che a Odessa ha colpito una casa uccidendo tre generazioni della stessa famiglia: una bimba di nome Kira, sua mamma e sua nonna. «Kira aveva solo un mese quando la Russia ha iniziato la guerra. Che cosa ha visto nella sua vita? E a cosa può servire il suo assassinio all’influenza russa?», ha concluso Zelensky.
Sull’altro versante, le scelte di Mosca appaiono eloquenti. Ieri è giunta la conferma, nel quadro di una sorta di processo di russificazione, che dal prossimo settembre le scuole del Donbass seguiranno i programmi del sistema scolastico russo. Lo ha annunciato il ministro dell’Educazione di Mosca Serghei Kravtsov: «Sono state prese le decisioni sulla nuova formazione dei docenti, che comincerà il 14 giugno, e sulla fornitura di testi scolastici russi alle scuole delle repubbliche di Donetsk e Lugansk».
Dal canto suo, Vladimir Putin, che ieri ha rivolto un messaggio ai giovani imprenditori del suo paese, ha tenuto a rimarcare che, a suo avviso, la Russia non farà la fine dell’Unione sovietica: la Russia «non cadrà nella stessa trappola dell’Urss, la sua economia resterà aperta», ha detto, sottolineando che la sfida è quella di «tornare a rafforzarsi».
Nel quadrante occidentale, va registrata la dichiarazione del premier britannico Boris Johnson, che ha definito «ripugnante» la sola idea di forzare Kiev alla resa: spingere l’Ucraina a un «cattivo compromesso», cioè a un accordo di pace imposto dalla Russia, sarebbe «ripugnante» e «l’Occidente non deve farlo». Johnson ha anche collegato il peggioramento dell’inflazione a livello mondiale agli «effetti dell’aggressione decisa da Putin».
Intanto, Mario Draghi, che ieri parlava alla ministeriale Ocse a Parigi, ha insistito sulla necessità di sbloccare l’immensa quantità di cereali fermi nei porti dell’Ucraina. «Gli sforzi di mediazione delle Nazioni Unite - ha detto Draghi - sono un passo significativo, purtroppo gli unici. Dobbiamo offrire al presidente Zelensky le assicurazioni necessarie che i porti non verranno attaccati». Il primo ministro ha inoltre sottolineato che l’Ue ha approvato «sei pacchetti di sanzioni», che hanno dato un «colpo» significativo alla Russia, ma «affinché i nostri sforzi siano efficaci, devono essere sostenibili nel tempo e portare a bordo le economie in via di sviluppo. Dobbiamo mettere la stessa determinazione che abbiamo messo nell’aiutare l’Ucraina nell’aiutare i nostri cittadini e quelli delle parti più povere del mondo».
Tornando in Ucraina, c’è ancora dibattito sul ruolo controverso giocato da Lyudmila Denisova, ex commissaria per i diritti umani, recentemente rimossa dalla sua posizione, per decisione parlamentare quasi unanime (234 contro 9), con l’accusa di avere fatto un’opera di disinformazione che in ultima analisi ha danneggiato il suo stesso Paese: la Denisova avrebbe infatti ingigantito casi di violenza sessuale contro donne e bambini ucraini nei territori occupati dai russi, o comunque non avrebbe fornito le relative prove. Di qui, la sua cacciata. E in effetti la Denisova, sentita dalla testata online ucraina LB.ua, ha ammesso di aver forzato la mano, citando anche un suo intervento in Commissione al Parlamento italiano: «Ho parlato di cose terribili per spingerli in qualche modo a prendere le decisioni di cui l’Ucraina e il popolo ucraino hanno bisogno. C’era il partito M5s che era contrario a darci armi, ma dopo il mio discorso uno dei leader del partito ha espresso sostegno all’Ucraina, dicendo che l’avrebbe appoggiata, compresa la fornitura di armi».