- Retromarcia (e figuraccia) di Giuseppe Provenzano che prima caldeggia il siluramento del politico dei Balcani, poi rettifica: «Non siamo i buttafuori del Pse». Da Romano Prodi a Matteo Renzi: dem in fila per l’uomo forte di Tirana.
- Sulla «Stampa» l’indizio della guerriglia giudiziaria per sabotare l’accordo sui Cpr: basterà una Apostolico a bloccare tutto. E la politica, così, perderà ogni autonomia.
Lo speciale contiene due articoli.
S’erano tanto amati. Anzi, tantissimo. Ma adesso la love story tra la sinistra italiana e il premier albanese è finita malamente. Edi Rama fuori dal gruppo: il rinomato partito socialista europeo, per intendersi. Con una sdegnata intervista a Repubblica, Peppe Provenzano, responsabile Esteri del Pd, protocolla la richiesta. Urgentissima. Già domani, a Malaga, l’incombenza sarebbe sottoposta ai demiurghi progressisti: dal primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, al cancelliere tedesco, Olaf Scholz. Ordine del giorno: visto il periglioso collaborazionismo con il nemico sovranista, il compagno Edi e il suo Pssh vanno esemplarmente puniti.
Fatale fu l’accordo con la collega italiana, Giorgia Meloni. Prevede di spostare parte dei migranti intercettati dalle navi italiane, fino a 36.000 l’anno, in strutture attrezzate nel porto di Shengjin e a Gjader. «Viola il diritto internazionale!» prorompe la segretaria dem, Elly Schlein. «E anche i valori della famiglia socialista!», sobilla Provenzano. Che già gongola pensando alla paventata espulsione: «Per Rama l’iter dovrebbe essere spedito, considerato che è un semplice osservatore e l’Albania non fa parte dell’Ue». Richiamato all’ordine, l’ex ministro è però costretto a rettificare: «Il Pd non è il buttafuori del Pse». Insomma: lui, Elly e la brancaleonica armata contano pochino in Italia. Figurarsi in Europa. Comunque, sfuma Peppe, «alla presidenza del Pse porremo la questione delle compatibilità tra questo genere di accordi e i valori del socialismo europeo». Anzi, ancora meno: «Una linea comune».
Resta lo scorno. Da adorato a reietto. Il caro Edi spalleggia l’atroce Giorgia. Non gli hanno chiarito che gli avversari politici vanno osteggiati sempre e comunque? O pensa di fare come il piddino Francesco Boccia che s’è maritato l’ex ministra forzista Nunzia De Girolamo? Qualunque sia la stravagante motivazione che l’ha convinto ad aiutare l’Italia, una cosa è però certa: al Nazareno pensavano fosse amore, invece è un calesse. Il passato, però, non si dimentica. Rama è in carica dal 2013. Anni di passione, preceduti da una corte serrata. I premier di centro sinistra non hanno mai nascosto i loro sentimenti. E sono sempre stati ricambiati con slancio. Nemmeno si comincia a discutere dell’ingresso del Paese nell’Ue che l’allora presidente del Consiglio, Enrico Letta, già scalpita: «Per noi non c’è nessun dubbio. Ci sono le condizioni per un risultato positivo» informa a dicembre 2013. «Abbiamo valutato forme e modi per un lavoro di convincimento verso alcuni Paesi che hanno ancora resistenze su dossier e aspetti particolari» spiega il Nipotissimo davanti al primo ministro albanese. La Rama story comincia da qui. Un decennio d’infuocato amore. Matteo Renzi, ad esempio, per Edi si prende una vera cotta. A fine 2014 l’ex premier e segretario del Pd si scapicolla a Tirana per una conferenza stampa congiunta più che simbolica: quella che conclude il semestre europeo a guida italiana. «L’Albania è già in Europa», sbaciucchia Matteo. Certo, non formalmente. «Adesso bisogna correre e far sì che i negoziati siano veloci. È importante che il popolo albanese sappia che l’Italia è il primo sponsor di questo progetto». Renzi rimarca i suoi sentimenti, sfidando chi osteggia lo spasimante: «Quelli che mettono in discussione l’ingresso dell’Albania nell’Ue sbagliano tutto». E quando Edi gli regala una cravatta viola in onore della Fiorentina, a Matteo brillano gli occhi: «Oggi in ogni squadra di calcio nel nostro Paese c’è un pulcino di origini albanesi» rivela.
Ma anche il cuore del machiavellico Massimo D’Alema palpita per il premier di Tirana. Nel 2018 l’ex leader della sinistra italiana riceve un premio in terra albanese: «Ho il piacere e l’onore di essere amico di Edi Rama» rivendica. «Un rapporto di amicizia e di collaborazione che, insieme a Giuliano Amato, ho coltivato pure con la Fondazione Italiani Europei». Capito? Il generoso compagno Edi se la intende persino con l’algido dottor Sottile. Anche negli anni seguenti, comunque, Baffino non smette di tubare. E quando viene invitato a Tirana per vedere la Roma, che si scontra con il Feyenoord nella finale di Conference League, placidamente ammette come diavolo ha trovato il biglietto: «Sono consulente del governo di Rama: gratuito, ma con il privilegio raro di entrare con la delegazione in tribuna».
Sentimento ricambiato, si diceva. Quando, nel 2020, invia 30 medici albanesi in Italia ai tempi del Covid, Edi rimarca l’amicizia per i leader della sinistra tricolore: «Al tempo degli sbarchi sembrava che dovessimo far paura ai bambini. Ma l’amore per l’Italia fa resistere un albanese. E poi, per noi, Romano Prodi e Massimo D’Alema sono due eroi». Anche lui era un eroe. Ma ora ha l’ardire di sostenere Meloni sulla crisi migratoria, mandando la sinistra italiana in cortocircuito. «È paradossale. Come si fa sostenere che l’Albania debba entrare nell’Ue guidata da Rama, ma al contempo chiedere di buttare fuori Rama dalla famiglia socialista?» ironizza Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia a Bruxelles.
Già, paradossale. Eppure il premier albanese, pazientemente, spiega: «In pieno rispetto del Pd, vorrei ripetere il mio unico punto di vista. Cercare di aiutare l’Italia in questa situazione, dove nessuno in Europa sembra avere una soluzione condivisibile da tutti, forse non è il massimo, ma è sicuramente il minimo che Tirana deve e può fare! Se poi questo non è di sinistra in Italia, pazienza. Forse è semplicemente giusto».
Non gli importa dei dispettucci di Beppe ed Elly. Il fedifrago Edi tira dritto. Insensibile davanti alle patetiche recriminazioni dei vecchi amanti.
Le toghe pronte a sabotare il patto
Il coniglio dal cilindro tirato fuori da Giorgia Meloni in Albania verrà strozzato dai magistrati. Basta una mezza dozzina di Iolande Apostolico, il varco giusto in Cassazione e una sentenza «riparatoria» della Corte Costituzionale e il gioco è fatto. Da sinistra, e da quei settori dell’opinione pubblica che vedono i migranti come «una risorsa» (magari da sfruttare economicamente), il piano per affossare lo sbarco dei clandestini salvati in mare in Albania è già pronto. Contro il patto con Tirana si scatenerà la controffensiva dei tribunali, per far prevalere l’impostazione «avanti c’è posto» delle toghe. Con tanti saluti ai legittimi spazi di manovra della politica.
Non avendo i numeri in Parlamento per fermare la politica migratoria della maggioranza, il centrosinistra aspetta con fede le prime sentenze. Per ora c’è solo un accordo politico tra due governi e il testo degli eventuali decreti ancora non c’è, ma la linea è già chiara. Ieri, sulla Stampa, c’era una paginata molto istruttiva di Donatella Stasio, esperta di questioni della giustizia ed ex firma del Sole 24 Ore, titolata a slogan: «E il patto con Tirana dimostra la distanza tra Meloni e la Costituzione». Il patto di lunedì scorso veniva definito «un’altra forzatura giuridica, frutto di una cultura estranea alla Costituzione e destinata a creare un nuovo fronte di scontro tra governo e giudici». Il tutto avverrebbe in una fase di «attacco delegittimante (ben diverso dalla legittima critica) contro il giudice “colpevole” di decisioni sgradite e al tentativo di “punirne uno per educarne cento”». E qui Stasio cita come «emblematica» l’ormai famosa vicenda della giudice Apostolico. Difficile capire come si possa già arrivare a immaginare un nuovo caso Apostolico visto che non ci sono ancora leggi o decreti sull’accordo albanese, ma il segnale è chiaro: scrivano quel che vogliono, tanto ci penseranno i giudici.
Per l’editorialista del giornale degli Agnelli-Elkann, all’immigrazione si guarda troppo spesso con un’ottica politica che è schiava delle paure per l’ordine pubblico e che quindi ragiona in termini di repressione, segregazione e respingimento, anziché di integrazione e accoglienza. Ma per fortuna che ci sono le toghe, scrive Stasio, con la loro «ottica di garanzia, doverosamente attenta ai diritti fondamentali dell’individuo, italiano o straniero, a maggior ragione se fragile, come lo è un migrante, anche nel bilanciamento con altri diritti».
Va detto che la collega riconosce che spesso anche il centro sinistra ha ceduto a «forzature» sui diritti dei migranti nella sua legiferazione, lasciando poi ai tribunali di fare «il lavoro sporco». Ma se si accetta questa bipartizione tra ottica politica e ottica giudiziale, anche un po’ manichea, si finisce per azzerare gli spazi di manovra della politica e si abbraccia, magari involontariamente, la filosofia oscena di giudici che dovrebbero fare le leggi, anziché applicarle. La politica, né superiore né inferiore per qualità delle persone, ha il pregio di rispondere a qualcuno (gli elettori), mentre per la magistratura non si sa. Curioso che la Stampa concluda la sua paginata con una citazione del magistrato liberal americano Ruth Bader Ginsburg, scomparso nel 2020, che sulla pena di morte diceva: «L’America è un paese democratico, ma ci sono temi che non possono essere lasciati alla gente e che richiedono un livello diverso di decisione». Forse per alcuni anche il contrasto all’immigrazione clandestina e gli orrendi traffici che ne derivano vanno sottratti al popolo. Ma che succederà dopo i primi salvataggi di migranti che verranno fatti sbarcare in Albania? Graziano Delrio, presidente della Commissione Schengen ed esponente del Pd, tre giorni fa ha affermato che il patto con Edi Rama «potrebbe rivelarsi una misura di propaganda: basterà un ricorso e una pronuncia di un tribunale italiano per bloccare tutto». Bloccare tutto, del resto, è da sempre la filosofia dell’immarcescibile «partito del Tar».






