Il 27 gennaio è sempre più la fiera dell’ipocrisia e dell’antisemitismo. In effetti è sempre stata la fiera dell’ipocrisia e dell’antisemitismo, l’affetto infinito degli ebrei morti e l’odio isterico contro quelli vivi. Quelli in coda davanti le camere a gas, quelli sì che erano ebrei per bene, mica come questi insopportabili israeliani armati fino ai denti che si permettano di rispondere al fuoco. La scelta della data è già discutibile. Quando i sovietici hanno liberato il campo di sterminio di Auschwitz, con molta calma, non era una loro priorità, il campo era praticamente vuoto. Le Ss. si erano fortunatamente dimenticate di sopprimere gli internati che in quel momento si trovavano nelle infermerie, dando anche probabilmente per scontato che sarebbero morti da soli di fame e di freddo prima dell’arrivo dei sovietici. È grazie a questo che Primo Levi si è salvato. Le migliaia di deportati non erano più nel campo di concentramento, ma erano state spostate verso ovest, verso la Germania, sia perché non fossero liberate, sia per sfruttarle come forze di lavoro, in un viaggio fatto in parte a piedi e in parte in vagoni ferroviari aperti nel gelido inverno polacco. Il numero di morti nelle marce è stato talmente alto che sono state chiamate marce della morte. Il 27 gennaio del ’45 gli ebrei non sono stati liberati: la schiavitù e gli assassinii sono continuati per ancora lunghi atroci mesi. Il 27 gennaio semplicemente l’Armata Rossa è arrivata in un campo di concentramento vuoto. Dovendo scegliere come data la liberazione di un campo di concentramento avrei scelto Buchenwald, 11 aprile 1945. Il campo era stato evacuato solo parzialmente grazie alla resistenza dei detenuti, per cui ne furono liberati più di 20.000. A Buchenwald però sono arrivati americani, il partito comunista preferiva la data della liberazione del campo di Auschwitz anche se abbandonato. Il Partito comunista sovietico con tutte le sue numerose ancelle, ha imposto la data, ha imposto anche un ricordo che non è spontaneo, né poteva esserlo ovviamente, e che, come tutte le cose calate dall’altro, ha creato fiumi di soffocato risentimento. Una delle linee di questo risentimento è il negazionismo: non erano 6 milioni ma 2 milioni e mezzo, anzi 50.000, forse 1200. Il 4 e il 6 ottobre 1953 a Posen, Himmler riconobbe in due discorsi ufficiali come i nazisti stessero sterminando sistematicamente tutti gli uomini, le donne e i bambini ebrei che trovavano sulla loro strada, tutti. Questo dovrebbe porre fine alle discussioni. Gli ebrei non potevano scappare da nessuna parte, visto che tutte le nazioni a cominciare la Svizzera avevano chiuso loro le frontiere, e meno che mai potevano scappare nemmeno nella terra di Israele visto che i palestinesi avevano costretto la Gran Bretagna a mettere il veto. Dello sterminio una parte di responsabilità l’hanno le nazioni che hanno chiuso le frontiere. Lo sterminio è stato reso possibile dalla collaborazione delle popolazioni locali. Dove le popolazioni locali non hanno collaborato, o hanno collaborato poco e male, Danimarca, Bulgaria e Corsica, le popolazioni ebraiche sono state in tutto o in parte salvate. Che l’Europa abbia collaborato allo sterminio degli ebrei fa sì che gli europei intendano superare i sensi di colpa con l’antica pratica della criminalizzazione della vittima, con le tesi più tragicamente idiote che comunque continuano a circolare: «Hitler era ebreo, o comunque aveva sangue ebraico, il nazismo è stato sostenuto dagli ebrei, ai quali ha fatto comodo avere un po’ di morti così hanno potuto mettere le mani sulla Palestina, dove stanno commettendo un genocidio, quindi siamo al pareggio». Queste bestiali idiozie continuano a circolare. Il popolo d’Israele ha riconquistato e difeso con il suo coraggio la terra dei suoi padri, che prima aveva acquistato a prezzi altissimi e come si dice in Toscana «chi vende non è più suo». Il progetto di sterminio nazista comprendeva anche gli ebrei già al sicuro nella terra che sarebbe poi diventata Israele, mediante un patto d’acciaio tra i palestinesi e nazisti. Ha ricostruito tutta questa oscura parte della storia il libro Nazi Palestine, the plans for extermination of the Jews in Palestine, di Klaus Michael Mallmann e Martin Cuppers. I campi di concentramento non sono stati fatti in un giorno. All’inizio ci fu un allontanamento dalle cariche pubbliche, il divieto di matrimoni misti, e ovvi progetti di espulsione. Alla Conferenza di Evian del 1938 tutte le nazioni con l’esclusione dell’Honduras rifiutarono di accogliere gli ebrei tedeschi, sia perché non avevano capito, era inconcepibile, che rischiavano la vita, sia per non destabilizzarsi accogliendo minoranze. La Gran Bretagna vietò che andassero in Palestina per evitare altri disordini. L’odio condiviso per gli ebrei creò una convergenza crescente che portò a un cambiamento epocale nella politica estera tedesca, che alla fine degli anni ’30 spostò il suo focus dal cercare di accelerare l’emigrazione ebraica al fornire sostegno diretto ai nazionalisti arabi. Nel momento in cui Hitler salì al potere è evidente e anche ovvio che divenne la speranza di chi voleva distruggere quell’embrione di nazione che sarebbe diventata Israele. Nel 1941 la Germania nazista sembrava invincibile. Nel Nord Africa la sua vittoria sembrava certa. A Berlino venivano elaborati piani molto specifici per garantire il genocidio degli ebrei in Palestina. Con l’invasione dell’Egitto alle porte, molti nazionalisti arabi che cercavano di eliminare la presenza britannica e francese nel Nord Africa e nel Vicino Oriente si rivolsero a un leader, il Gran mufti di Gerusalemme, Haj Amin el-Husseini, come guida. Il Mufti visitò le capitali dell’Asse e ebbe diversi incontri con Adolf Hitler. La Germania nazista non solo promise di porre fine alla «presenza coloniale» europea che aveva sostituito l’Impero Ottomano, ma si impegnò anche a spazzare via gli ebrei che vivevano in Palestina da tempo immemorabile, così come i nuovi arrivati con il movimento sionista moderno nel diciannovesimo secolo e in seguito alla Dichiarazione Balfour del 1917. Il processo di sterminio stava per essere attivato e gli ufficiali delle Ss e dell’Sd (Sicherheitsdienst Servizio di sicurezza) erano stati selezionati e assegnati al compito. Quando l’Afrika Korps fu sconfitto a EI Alamein, l’Einsatzkommando (nome dato a squadre della morte mobili come quelle che agirono in Ucraina) spostò le sue operazioni in Tunisia, dove per molti mesi attuò crudeli politiche antiebraiche. Fu uno specifico programma di sterminio regionale nel contesto dell’Olocausto, di cui resta traccia negli statuti di Hamas e Al Fatah, che prevedono al primo articolo la distruzione dello Stato di Israele. L’articolo 7 di Hamas afferma che saranno assassinati gli ebrei ovunque si trovino nel mondo. Questo è un programma genocidiario. Israele risponde al fuoco. Gaza spara su Israele, dopo lo spaventoso pogrom del 7 ottobre, Israele spara su Gaza. Lo stato di Israele è l’unico che durante le guerre avverte dove sta per bombardare, perdendo così l’effetto sorpresa, ma dando tempo ai civili, oltre che i miliziani nemici, di mettersi al sicuro. Se si difende da aggressioni rinunciando alla forza massimale per diminuire le perdite dei civili nemici, viene comunque tacciato di genocidio. Ai civili palestinesi però è vietato l’accesso ai rifugi antiaerei. Come nella fiaba di Pollicino, l’orco che vuole uccidere i bambini degli altri, uccide i suoi stessi bambini
Ecco #DimmiLaVerità del 27 gennaio 2025. Ospite il nostro esperto di Medio Oriente, Stefano Piazza. Argomento: il giorno della memoria e il fragile accordo su Gaza.
A Dimmi La Verità il nostro esperto di Medio Oriente, Stefano Piazza, ci parla del giorno della memoria e del delicato accordo su Gaza.
Manifestazioni pro Palestina, congressi diffusi di organizzazioni «comuniste» antisistema e partiti «clandestini» che allungano la lista dei nemici «sionisti» da abbattere. Sono questi gli ingredienti di un gennaio politicamente caldo, nonostante le rigide temperature. Partiamo dai cortei. Tutto si gioca sull’equivoco: l’iniziativa è ufficialmente dedicata al Giorno della memoria, istituito per legge, ma i cortei saranno anche Pro Pal. Le Digos non le ritengono iniziative ad alto rischio sul fronte degli scontri, ma non si esclude che possano verificarsi azioni antisioniste da parte di militanti dell’ultrasinistra, come gli irriducibili dei Carc, acronimo di Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo, quelli che sognano ancora di poter guidare una rivoluzione proletaria, e cani sciolti. Le piazze monitorate sono soprattutto quelle delle grandi città. Da Milano a Bologna, da Torino a Firenze. Dove domani sono previste le cerimonie organizzate dalle istituzioni, con deposizioni di corone ed eventi. La Comunità ebraica in alcuni casi si è sfilata, in altri si è divisa. «Non possiamo accettare di avere a che fare con l’Anpi che usa il termine genocidio per definire quanto accade a Gaza», ha affermato, interpretando il sentire comune, il presidente della comunità ebraica milanese Walker Meghnagi. A due passi da Firenze, a Bagno Ripoli, i compagni di Potere al popolo sono arrivati a sostenere che «ci si focalizza ossessivamente sulle sofferenze occorse agli ebrei per mano nazifascista». E hanno aggiunto: «Ci sta a cuore che questa giornata non diventi un’occasione di prostrazione dell’amministrazione ripolese a consoli onorari (probabilmente qui il riferimento è all’imprenditore fiorentino Marco Carrai, ndr) e sgherri vari del noto Stato genocida (ovvero Israele, ndr)».
Valicando l’Apennino ci trasferiamo a Reggio Emilia, dove la Questura ha vietato l’evento pro Palestina progettato per domani. Ma i fiancheggiatori più o meno consapevoli di Hamas non si sono arresi e hanno invitato gli attivisti a partecipare al Consiglio comunale, durante il quale sono previste le commemorazioni ufficiali, e a un secondo evento, organizzato dall’Arci, con «proiezioni contro il genocidio e l’occupazione». È questa un’altra piazza potenzialmente calda. Come Torino, dove, benché non ci siano state polemiche, la mole di eventi previsti (una ventina nel corso della giornata) potrebbe attirare i facinorosi con la kefiah. Sono previste iniziative Pro Pal anche a Bari, dove gli odiatori di Israele si riuniranno per la proiezione di un docufilm di Al Jazeera nel corso di una iniziativa intitolata «Crimini di guerra a Gaza».
Il crocevia della tensione potrebbe, però, essere Milano. Qui il Partito dei Carc ha organizzato un presidio. L’appuntamento è in Piazza Novelli. Questi reduci del Novecento hanno invitato «le realtà della Zona 3, quelle aderenti al Coordinamento No Nato, quelle che sono sensibili al tema e i singoli individui, ad aderire». Il presidio nel Giorno della memoria non è dedicato alla Shoah ma, spiegano i Carc, alla «nostra posizione sulla guerra», per «denunciare il ruolo di Milano nello scacchiere della guerra mondiale». L’idea è quella di «raccogliere contatti e diventare punto di riferimento per chi nella nostra zona vuole attivarsi e mobilitarsi contro i sionisti, la Nato e la partecipazione del nostro Paese alle loro guerre».
Ricordiamo che i Carc hanno una specie di organizzazione parallela occulta, denominata (nuovo) Partito comunista italiano. In un’intervista pubblicata su loro sito a tale Umberto Corti, sedicente membro del comitato centrale, si sottolinea come si tratti di un’organizzazione clandestina di stampo marxista-leninista che si pone come obiettivi la lotta al sionismo, alla borghesia e promuove la lotta di classe per l’instaurazione del socialismo.
Ad agosto destò molta preoccupazione e scandalo una lista di proscrizione pubblicata sul loro sito e intitolata «Lista degli agenti dell’Entità sionista in Italia e dei loro collaboratori».
Conteneva 152 nominativi di aziende, imprenditori, politici e giornalisti (compresi i nostri Maurizio Belpietro, Mario Giordano e Paolo Del Debbio). Ma nelle settimane successive i bersagli, contenuti in un elenco aggiornato, solo saliti a 248, con l’individuazione di 96 nuovi soggetti. Tra questi molti esponenti del governo e dei partiti della maggioranza: da Antonio Tajani a Francesco Lollobrigida, dall’ex ministro Gennaro Sangiuliano a Giuseppe Valditara ed Eugenia Roccella, da Galeazzo Bignami a Lucio Malan. Non mancano i rappresentanti delle opposizioni: Matteo Renzi, Carlo Calenda e Giuseppe Provenzano, solo per citarne alcuni.
La maggior parte dei nuovi «obiettivi» fa parte delle comunità ebraiche, un tipo di segnalazione che denota una preoccupante conoscenza dei ruoli interni a quel mondo. Come i vecchi brigatisti, gli epigoni del (nuovo) Pci sembrano aver studiato nel dettaglio i propri nemici.
Sul sito compaiono tre comunicati molto freschi, gli ultimi datati 24 e 11 gennaio, e uno del 31 dicembre 2024. Nel comunicato del 24 gennaio, i neocomunisti si rivolgono «ai promotori e ai partecipanti» alle assemblee di Roma e Bologna in programma ieri. Nelle due città si sono riuniti piccole organizzazioni che puntano alla restaurazione del partito comunista.
I clandestini commentano queste iniziative sostenendo che la «rivoluzione socialista è necessaria» e «la situazione è favorevole».
Nel comunicato del 31 dicembre, intitolato «Osare sognare, lottare e vincere!», la parola «rivoluzione» compare ben 19 volte. Non mancano, però, gli ammiccamenti alla «sinistra borghese» e ad «alcuni personaggi» che si sarebbero «radicalizzati» (sembrano apprezzare l’ex sindaco di Napoli, Luigi de Magistris) e vengono giudicati più schierati contro il governo Meloni e inclini a parlare di «lotta dal basso», perché spinti dal sostegno al popolo palestinese e dal «genocidio sionista».
Intanto le indagini sugli autori della lista continuano. Sono molte le Digos italiane coinvolte, dal momento che sono molti i soggetti finiti nel mirino dei comunisti antisionisti. Il sito risulta avere i server in Francia, dove sono stati latitanti i fondatori dei Carc e, sembra, anche del (nuovo) Pci, ovvero l’ottantaseienne ingegnere ed editore bergamasco Giuseppe Maj e il sessantacinquenne milanese Giuseppe Czeppel.
Tra gli investigatori che stanno cercando di identificare gli incendiari del Web circolano diversi nomi e due sono arrivati anche alla Verità.
Dietro al sito del (nuovo) Partito comunista italiano, secondo fonti investigative, ci sarebbe una coppia, composta proprio da Czeppel e dal trentanovenne romano R.M., impiegato saltuariamente, come tecnico nel mondo del cinema, che bazzica gli ambienti dell’anarco-insurrezionalismo romano.
Czeppel risulta residente a Campomarino, in provincia di Campobasso, nella casetta in cui trascorreva le villeggiature estive (la madre è molisana). Nell’agosto scorso, proprio nei giorni della pubblicazione dell’elenco antisionista, era stato avvistato dopo molti mesi in paese.
Nei primi anni del 2000 era stato coinvolto insieme con l’amico Maj nelle indagini sulle nuove Brigate rosse e nel 2007 era stato rinviato a giudizio con l’accusa di terrorismo. Nel 2016 è stato condannato in via definitiva, dopo una prima sentenza francese, a cinque anni di prigione per associazione per delinquere, possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi. In pratica gli estremisti rossi trovavano a casa Czeppel una sorta di copisteria clandestina.
Il curriculum criminale di R.M. è frizzante: sul suo conto ci sono decine di segnalazioni per reati contro l’ordine pubblico. Si va dalla radunata sediziosa alla violenza e resistenza a pubblico ufficiale, dall’interruzione di pubblico servizio alle accensioni pericolose, dal danneggiamento al getto pericoloso di cose, dall’istigazione a delinquere al vilipendio di tombe e della nazione italiana, all’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità. Ma la segnalazione più inquietante è quella per detenzione illegale e porto abusivo di armi.
Dall’analisi dei social si scopre che questo signore, che risiede in un’anonima palazzina in zona Centocelle, d’estate fa lo skipper in Grecia, terra fertile per i movimenti antagonisti e insurrezionalisti.
Chissà se domani saranno in piazza pure lui e Czeppel per manifestare il proprio odio antisionista.
Voleva trasformarlo nel giorno della Memoria corta. Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, è alle prese con una polemica destinata a deflagrare a livello nazionale: la Comunità ebraica ha posto un netto rifiuto alla partecipazione all’evento cardine delle celebrazioni del Giorno della memoria, il 27 gennaio. Il borgomastro ha organizzato per lunedì prossimo a palazzo Marino un solenne momento di dialogo con le istituzioni, inserendo fra gli invitati anche Anpi e associazioni studentesche, vale a dire i rappresentanti dell’ala dura dei pro Pal, coloro che da oltre un anno incendiano le piazze in nome di un presunto «genocidio» da parte di Israele a Gaza. Morale: l’Ucei ha detto no. Con simili compagni di strada, per la prima volta nella storia, non parteciperà.
Il clamoroso rifiuto è dovuto «a un’eccessiva politicizzazione di alcune associazioni promotrici» e smaschera l’ipocrisia del Pd. Il presidente della Comunità ebraica di Milano, Walker Meghagi (al quale è stato rifiutato l’Ambrogino d’oro), non usa mezzi termini. «Non abbiamo nessun dissidio col Comune di Milano e con l’Aned (l’associazione che pone le pietre d’inciampo, ndr) ma non possiamo accettare di avere a che fare con l’Anpi che usa il termine genocidio per definire quanto accade a Gaza e ha paragonato quella situazione alla Shoah. Perché dovremmo andare a un’iniziativa con chi ci spara sempre addosso? Con chi parla di genocidio e attacca gli ebrei? Troppo comodo farsi vivi solo il 27 gennaio e poi stare zitti per gli altri 365 giorni dell’anno. Mi sembra tutto molto ipocrita». A confortarlo nella decisione è stata la scelta dell’ex presidente dell’Anpi milanese, Roberto Cenati, che a sentir parlare di «genocidio» se n’è andato mesi fa sbattendo la porta.
Ad aumentare il fastidio contribuisce la presenza delle associazioni studentesche, nel ricordo degli attacchi antisemiti dei collettivi di sinistra a Liliana Segre. Meghagi parla anche di lei: «Guardiamo ciò che sta accadendo con gli insulti a Segre. Gli studenti mandiamoli a vedere il film Liliana, parliamo della memoria e non di altro». Lo strappo è condiviso a livello nazionale, anche se la presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche, Noemi Di Segni, ha una posizione più istituzionale e invita a partecipare alle «manifestazioni alte», come quella del Quirinale. «Premesso che ciò che è avvenuto in questi mesi laceranti, con manifestazioni di odio, ci porterebbe a non partecipare a nulla, non possiamo essere istintivi. Quindi andremo a momenti alti. Ma non andremo a manifestazioni con l’Anpi, dove la narrativa è distorta».
Il vento della protesta è forte, il timore di sceneggiate e contestazioni durante un momento sacro è concreto. Davide Romano, presidente della Brigata ebraica che ogni 25 aprile viene fischiata nei cortei, è categorico: «Non prenderò parte ad alcun evento perché oggi vedo nella società italiana e in alcune istituzioni muoversi un odio antiebraico che strizza l’occhio a regimi teocratici e totalitari come quelli di Iran, Hamas e Hezbollah. Se in Germania e Austria le pulsioni antisemite provengono dall’estrema destra, in Italia è una certa sinistra a preoccupare di più. È quella che solidarizza con i musulmani che non piangono neppure le donne ebree stuprate e i bambini bruciati o arrivano a negare che il pogrom del 7 ottobre sia avvenuto».
La pietra d’inciampo politica fa barcollare il Pd di Elly Schlein, che dal 7 ottobre 2023 ha una posizione ambigua e sfila nelle piazze pro Pal con derive antisemite. Il segretario dem milanese, Alessandro Capelli, maschera male l’imbarazzo: «Parteciperemo orgogliosamente alle iniziative al fianco delle associazioni che da sempre si battono contro tutte le forme di fascismo, razzismo e antisemitismo. La memoria non si dimentica». Vero, ma senza gli ebrei è solo memoria selettiva, un happening. In difficoltà Emanuele Fiano, già deputato dem e figlio di Nedo sopravvissuto ad Auschwitz: «La memoria della Shoah deve essere onorata dalle Comunità ebraiche sempre. Per questo sono in completo dissenso da chi non partecipa».
Il malessere milanese rischia di contagiare altre città a cominciare da Bologna dove, lo scorso anno, la Comunità ebraica rimase esterrefatta dal gelo della giunta di Matteo Lepore nella cerimonia a palazzo d’Accursio; il sindaco uscì per protesta durante un intervento sull’antisemitismo. Quest’anno, mentre il presidente della comunità Daniele De Paz sarà in Comune, gli ebrei progressivi di «Or ‘Ammim» hanno deciso di disertare le iniziative. La numero uno Carmen Dal Monte sintetizza così: «Bologna vuole ricordare ipocritamente i nostri nonni uccisi mentre sventola la bandiera (anche sul pennone del municipio) di chi vuole uccidere noi e i nostri figli».
Gastriti a sinistra, il corto circuito è completo. E il pensiero torna in quella Milano «inclusiva» dove Liliana Segre giovedì è stata costretta a disertare una cerimonia al Memoriale della Shoah. Chi sgomitava per sedersi accanto a lei nel palco d’onore della Scala, ora tace. Per non urtare la suscettibilità dei barbari in kefiah.
Come da copione, nessun filopalestinese d’Italia ha seguito le indicazioni del Viminale per spostare di un giorno i cortei contro Israele e pro Hamas convocati provocatoriamente in concomitanza del Giorno della memoria. Praticamente tutte le manifestazioni inizialmente indette per ieri con un’implicita intenzione provocatoria, hanno fatto leva sulle raccomandazioni del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi per alzare il livello dello scontro con le forze dell’ordine. Il picco della tensione si è toccato a Milano, dove le associazioni filopalestinesi a parole avevano accettato il rinvio a oggi, ma poi hanno approfittato della conferenza stampa convocata per annunciare il rinvio, per ritrovarsi all’angolo tra piazzale Loreto e via Padova, tentando a più riprese di far partire il corteo. Gli agenti in tenuta antisommossa sono dovuti ricorrere a delle cariche di alleggerimento per evitare che le circa 1.200 persone presenti in piazza sfondassero il cordone e attraversassero le vie della città. Una volta fatti confluire i manifestanti all’inizio di via Padova, si è avuto il momento più teso, con questi ultimi che scandivano cori anti Israele e la parola «corteo» con l’intenzione di riprovare a sfondare, colpendo gli agenti con le aste delle bandiere o scagliando verso di loro delle bottiglie, prima di arrendersi e tornare a casa alla spicciolata verso sera.
Sulla piattaforma politica di questa e delle altre manifestazioni, pochi i dubbi: sono rimbalzate sui social le immagini di un giovane ragazzo milanese che da una finestra ha mostrato ai filopalestinesi di Milano il cartello «Gaza libera da Hamas», ottenendo come risposta dagli interlocutori in piazza insulti e fischi. Anche a Roma, a Piazza Vittorio, il canovaccio non è stato differente: era stato convocato un corteo che avrebbe dovuto raggiungere piazza San Giovanni, poi vietato, ma un migliaio di persone si sono raccolte nonostante le prescrizioni della questura. Anche nella Capitale, la simbologia esposta da alcuni dei manifestanti ha confermato l’intento provocatorio e anti israeliano. Tra le «produzioni» più originali, un manichino rappresentante il premier israeliano Benjamin Netanyahu vestito come un deportato ma con una svastica accanto alla stella di David. Molti, d’altra parte, a Roma come nelle altre città, i cartelloni che associavano gli ebrei ai nazisti. All’ombra del Colosseo non sono mancate nemmeno «star» anti Israele come Gabriele Rubini, in arte Chef Rubio, non nuovo a dichiarazioni contro lo Stato ebraico e intercettato nei giorni scorsi dalla polizia con cinque litri di sangue animale in macchina per un uso non molto chiaro, verosimilmente al corteo in questione.
Proseguendo verso Sud, anche a Napoli esponenti dell’antagonismo locale sono scesi in piazza scegliendo piazza San Domenico Maggiore come luogo di raccolta, mentre a Cagliari 300 persone hanno dato vita a un sit-in (anche questo non autorizzato) senza però dare vita a un corteo. Stessa situazione all’estremo Nord, a Trento, dove la manifestazione non autorizzata filopalestinese è stata organizzata dagli anarchici.
Sul versante politico, tutte le cariche istituzionali e i leader politici hanno rilasciato dichiarazioni per ricordare l’orrore dei campi di sterminio nazisti e l’assassinio di sei milioni di ebrei nel corso della seconda guerra mondiale. «Con la Shoah», ha dichiarato il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, «l’umanità ha toccato il suo abisso. Un evento storico la cui unicità è necessario ribadire con chiarezza». Il premier ha fatto poi un riferimento alle vicende degli ultimi mesi: «Questi sono giorni particolarmente difficili per le comunità ebraiche. Il feroce attacco di Hamas del 7 ottobre scorso ha scatenato una nuova ondata di odio contro il popolo israeliano e ha rinvigorito quei focolai di antisemitismo, che non si erano mai spenti».
Per il presidente del Senato, Ignazio La Russa, «la Shoah è senza ombra di dubbio il male assoluto, una tragedia immane, il simbolo di un odio bestiale che mai più deve ripetersi, per questo è necessaria, anzi indispensabile, una memoria condivisa che ripudi con forza ogni forma di odio, di razzismo, di antisemitismo e antisionismo».
Il segretario della Lega Matteo Salvini ha annunciato un ddl del suo partito «per adottare concretamente nel nostro Paese le misure contro l’antisemitismo», mentre il ministro degli Esteri e segretario di Fi, Antonio Tajani, ha sottolineato che «l’antisemitismo e Hamas sono le nuove SS, la nuova Gestapo, perché la caccia all’ebreo è stata compiuta in maniera scientifica».
Dall’opposizione, la segretaria del Pd Elly Schlein osserva che «la Shoah è il male assoluto, ma ci sono dei colpevoli, dei responsabili e dobbiamo ricordarlo nel momento in cui c’è un tentativo pericoloso di riscrivere pagine della nostra storia».
Chi si aspettava una presa di posizione anche dal sindaco di Milano, Beppe Sala, è rimasto deluso. Il primo cittadino, dopo aver parlato a lungo negli ultimi tre giorni, proprio ieri ha deciso di tacere. Chissà perché.







