Per Bacco! Anche a Matteo Salvini non tutte le battute riescono col buco e il vicepresidente del Consiglio nonché ministro per le Infrastrutture e segretario della Lega stavolta è scivolato su una buccia di vinaccia. Solo che non ha fatto i conti con i toscani, ai quali puoi toccare quasi tutto tranne che il vino. La faccenda ha anche risvolti abbastanza seri perché se il made in Italy pensa di andare in giro per il mondo a vendere facendosi la guerra in casa le prospettive non sono delle migliori, considerando che il vino sta soffrendo e non poco all’export. Ieri il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio di Fratelli d’Italia - e si potrebbe pensare che Salvini sia caduto in un trappolone etilico - s’è lasciato andare ad apprezzamenti non troppo lusinghieri sul vino toscano. Con orgoglio marsicano ha sostenuto che il Montepulciano d’Abruzzo - è il nome del vitigno a bacca rossa più coltivato in quella regione che è all’origine alla Doc e limitatamente alle Colline teramane alla Docg - è più conosciuto nel mondo, è più esportato del Nobile di Montepulciano - una delle migliori Docg italiane, esportata ovunque, si fa in provincia di Siena da Prugnolo gentile che è il nome locale del Sangiovese - e che è un vanto d’Abruzzo. Matteo Salvini ha chiosato: «Ah sì? Bene, perché questi toscani hanno rotto le palle!» Il fatto è che i due dovevano parlare di strade, ponti e ferrovie e non di botti. E Marsilio ha detto anche una fake news. Il Montepulciano d’Abruzzo prodotto in 90 milioni di bottiglie è coltivato su una superficie di 17.000 ettari, ha un prezzo medio di vendita all’estero di 8 dollari ed è esportato al 54%. Il Nobile di Montepulciano produce circa 7 milioni bottiglie su 2.000 ettari e viene esportato per circa il 70%. Il prezzo medio di cessione all’estero è di 18 euro franco cantina. Il Nobile di Montepulciano è citato come «d’ogni vino il re» da Francesco Redi e siamo a metà del 1600 e inoltre è stata la prima Docg (denominazione d’origine controllata e garantita) rilasciata in Italia a partire dal 1980 e porta obbligatoriamente in etichetta la dicitura Toscana. Il Consorzio del Nobile ha duramente protestato con una nota ufficiale ricordando peraltro che nel 2012 vi fu un’intesa - sottoscritta davanti all’allora ministro per l’Agricoltura Mario Catania - per evitare fraintendimenti tra i due vini e implementare una collaborazione che gli abruzzesi evidentemente non hanno intenzione di rispettare. È intervenuto il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani (Pd) stigmatizzando l’espressione del vicepremier e di fatto è insorta tutta la sinistra. Matteo Salvini ha provato a smorzare il tasso (alcolico) della polemica dicendo: «Sono sei anni che mangio toscano, bevo toscano e sono circondato con gioia da toscani, io che sono lombardo» facendo riferimento alla sua fiorentinissima compagna Francesca Verdini. Che però non deve averla presa benissimo. Viene un sospetto: non sarà che Salvini è invidioso di Emmanuel Macron preso a schiaffi da madame Brigitte?
Gode di alcuni sondaggi positivi a livello nazionale. E di certo le difficoltà di Donald Trump in North Carolina la fanno felice. Tuttavia, Kamala Harris deve fare i conti con non pochi grattacapi. E non ci riferiamo solo ai mancati endorsement del sindacato degli autotrasportatori e dell’estrema sinistra pro Pal riunita nell’Uncommitted Movement: sigle elettorali che potrebbero crearle grossi problemi in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin. No, la Harris deve affrontare anche altri nodi.
In primis, le condizioni psicofisiche di Joe Biden sono sempre più imbarazzanti. L’altro ieri, durante un vertice del Quadrilateral Security Dialogue, è apparso imbambolato, non sapendo quale dei leader sul palco avrebbe dovuto presentare. «Chi è il prossimo?», ha chiesto duramente a un membro dello staff, che gli quindi ha indicato il premier indiano Narendra Modi. È chiaro che il ripetersi di questi episodi ha un impatto negativo sulla Harris. Non solo è infatti la vice di un presidente sempre più in difficoltà a svolgere il proprio ruolo, ma qualche elettore potrebbe anche storcere il naso sul fatto che l’attuale candidata dem per anni ha di fatto coperto le condizioni dell’inquilino della Casa Bianca: condizioni che erano apparse problematiche già nel 2020, per poi peggiorare visibilmente a partire dal 2022.
Nel frattempo, la Harris ha accettato l’invito della Cnn per un nuovo dibattito con Trump: un invito che il tycoon ha però rifiutato, dicendo che è ormai «troppo tardi», visto che in alcuni Stati, come Virginia e Minnesota, è già possibile votare. D’altronde a maggio, quando era a capo della campagna di Biden, la presidentessa del team della Harris, Jen O’Malley Dillon, aveva sostenuto che i dibattiti avrebbero dovuto tenersi prima dell’apertura delle votazioni. Ora, premesso che Trump farebbe comunque bene ad accettare per riscattarsi dalla debole performance al confronto televisivo del 10 settembre, va detto che la vicepresidente rischia l’effetto boomerang.
Sì perché, mentre Trump ha già accettato due dibattiti in network a lui storicamente ostili (Cnn a giugno e Abc a settembre), la Harris ha rifiutato un duello tv offerto da Fox News, la cui linea editoriale è notoriamente conservatrice.
Insomma, la vicepresidente accetta di dibattere e di farsi intervistare solo sui network amici. Una strategia non così geniale, perché una delle necessità più urgenti della Harris è quella di scrollarsi di dosso l’immagine di candidata preimpostata e fumosa: un obiettivo che di certo non riuscirà a conseguire, accettando confronti e interviste solo in ambienti protetti, con intervistatori più o meno compiacenti e moderatori apertamente dalla sua parte. E infatti attenzione: nonostante al dibattito del 10 settembre Trump abbia deluso le aspettative, The Hill ha riferito che la performance della Harris, quella sera, non è riuscita a darle un netto vantaggio negli Stati in bilico.
Ma la Harris deve guardarsi anche da un altro problema: un sondaggio Ipsos ha rilevato che il 54% degli americani è favorevole ai rimpatri in massa degli immigrati irregolari. Trump, che ha escluso di ripresentarsi nel 2028 in caso di sconfitta a novembre, ha detto che, se tornerà presidente, chiederà al Congresso di approvare una legge per vietare le cosiddette «città santuario»: quei Comuni, cioè, che ospitano clandestini, rifiutandosi di cooperare con le forze dell’ordine federali. Dall’altra parte, il vice della Harris, Tim Walz, ha adottato misure assai aperturiste in materia migratoria da governatore del Minnesota. Inoltre, nel 2018, disse che le autorità statali non avrebbero dovuto collaborare con quelle federali sull’immigrazione clandestina. Va da sé che, visti i sondaggi, questa posizione potrebbe tornare a perseguitare la Harris.
Infine, la vicepresidente ha annunciato che non parteciperà alla Al Smith Dinner: storica cena di gala, organizzata dall’arcidiocesi di New York per scopi caritatevoli, a cui tradizionalmente prendono parte i candidati presidenziali. La Harris, che ha rilevanti problemi con il voto dei cattolici, vuole alienarsi ancora di più le loro simpatie?
Il degno mandante di Luigi Di Maio ha problemi con la geografia e confonde Belgorod, in Russia, con Belgrado. Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera, durante una conferenza stampa non è stato in grado di commentare una sanguinosa incursione nella regione di Belgorod perché la città sembrava non dirgli assolutamente nulla e l’ha confusa con la capitale della Serbia. Per carità, potrebbe essere stato un raffinato stratagemma da interrogazione delle medie, allo scopo di non rispondere (non sarebbe comunque una bella figura) a una domanda sulla quale non era preparato, ma il settantaseienne spagnolo è sembrato globalmente confuso. Almeno quanto lo era quando ha preso l’eccentrica decisione di nominare uno con il curriculum di Di Maio come inviato per il Golfo Persico. In ogni caso, basta guardare il filmato della figuraccia di martedì, per farsi una domanda più che legittima. Ovvero, quando parliamo di Europa, in che mani siamo esattamente?
Martedì teneva banco in tutta Europa un sanguinoso attacco nella regione russa di Belgorod, la cui paternità, come spesso accade, era contestata. Secondo Mosca, sarebbe stato opera di forze ucraine, mentre l’Ucraina ha risposto che sarebbero stati partigiani russi che combattono contro il governo di Vladimir Putin.
Nel pomeriggio, nel corso di una conferenza stampa dopo la riunione dei ministri della difesa dell’Unione, un giornalista chiede in inglese se il Consiglio avesse discusso «le allarmanti notizie che arrivando da Belgorod, in Russia». Borrell, dritto come un fuso, chiaramente senza occhiali e con un auricolare nell’orecchio destro per le traduzioni che forse lo ritarda, guarda il giornalista con la medesima espressività di un vitello tonnato e in un discreto francese risponde, un po’ balbettando: «Veramente io non so che cosa stia succedendo a Belgrado». Il cronista riprende brevemente il microfono e ripete: «Belgorod in Russia. Belgorod Oblast in Russia», ovvero l’omonimo distretto amministrativo della Federazione russa. A quel punto, all’Alto Rappresentante si avvicina una funzionaria della Commissione che gli parla nell’orecchio e inizia a spiegargli qualcosa. Lui la guarda con un sorriso un po’ fisso, riprende il microfono e chiede al giornalista, con una punta di sarcasmo: «Magari può dircelo lei che cosa sta succedendo». Vecchio trucco, Josep. Ma nessuno ride e il giornalista, saggiamente, non cade nella piccola provocazione.
Allora il povero Borrell si riavvicina alla sua assistente, che in un minuto finisce probabilmente di raccontargli le notizie da Belgorod, accolte dall’economista spagnolo sempre con il solito, incomprensibile, sorrisetto.
Ma è a questo punto che la conferenza stampa prende una piega surreale. Essere sorpresi da una domanda è un inconveniente che capita anche ai politici più esperti e preparati. A certi livelli, quando c’è un problema del genere, assistenti, collaboratori e addetti stampa sono lì apposta per dare una mano. Invece che ha combinato l’inventore di Di Maio «inviato»? Dopo essersi fatto spiegare i fatti di Belgorod dalla sua eurobadante, è tornato al microfono e ha scelto di non rispondere, ma in maniera creativa. «Io non so che cosa è successo né a Belgrado, né a Belgorof…Non posso pronunciarmi su cose che non conosco completamente». Ora, vi sono alcune possibili spiegazioni di un comportamento del genere. La prima, che ovviamente non vogliamo neppure prendere in considerazione, è che l’Alto rappresentante abbia seriamente bisogno di una lunga e riposante vacanza, vacanza che meriterebbe se non altro in considerazione dell’età. La seconda è che Borrell abbia capito benissimo che cosa gli raccontava l’assistente, ma abbia scelto di non fidarsi. La terza ipotesi è che l’astuto Borrell non avesse nessuna intenzione di rispondere su una questione ancora molto controversa e abbia montato questo teatrino. A costo di sembrare vagamente rintronato. Va anche detto che già la prima domanda del cronista era stata precisa, perché parlava di «Belgorod, in Russia». Difficile scambiarla per «Belgrado, in Serbia».
In ogni caso, resta la figuraccia di Borrell, che nell’occasione ha ricordato alcune performance non proprio brillanti di Joe Biden, il presidente degli Stati Uniti che ha ben 80 primavere e che il rivale Donald Trump (76 anni, come Borrell) chiama con sarcasmo «Sleepy Joe». Non solo, ma martedì Borrell ha anche fatto una seconda gaffe quando si è detto «lieto» che fosse «finalmente iniziato l’addestramento» dei piloti ucraini di F-16 in Polonia. Varsavia, poche ore dopo, ha smentito la notizia, spiegando che non è ancora cominciato un bel niente. Giornataccia, insomma.
L’uomo che si è invaghito delle doti diplomatiche di Di Maio, comunque, ha dei margini di crescita anche sui social, dove invece l’ex grillino va forte. Una delle ultime gaffe è del febbraio dell’anno scorso. Si era nel pieno di trattative complicate con Mosca sulla possibile guerra in Ucraina e Borrell twittò, riferito agli oligarchi: «Adesso basta shopping a Milano, basta feste a Saint Tropez, basta diamanti ad Anversa». Protestò mezzo europarlamento e il tweet dar bar dello sport sparì in poche ore. È un peccato, perché oggi dimostra che quando vuole, l’Alto Rappresentante dell’Unione europea la geografia la sa. Almeno quella di base.
L’europarlamentare dei Verdi che voleva lasciare i giovani agricoltori al verde ora prende di mira gli italiani. Protagonista di un caso curioso quanto sintomatico della esasperazione del concetto di salvaguardia dell’ambiente, è l’eurodeputato irlandese dei Verdi Ciarán Cuffe, che due giorni fa si è fatto notare per un suo intervento in aula, a difesa della direttiva sull’efficientamento energetico delle case, pronunciato (malamente) in italiano. Il motivo della scelta di Cuffe, relatore della direttiva alla quale molti esponenti della maggioranza di governo in Italia sono contrari, era di rivolgersi direttamente ai colleghi critici nei confronti della norma, che se entrasse in vigore renderebbe automaticamente «fuorilegge» circa 9 milioni di immobili nel nostro Paese, che dovrebbero essere ristrutturati per rientrare nei parametri relativi alle emissioni nell’atmosfera previsti dal progetto di legge europea. «Onorevoli colleghi», ha detto tra l’altro Cuffe nel suo intervento in aula, «per far fronte alla crisi del costo della vita provocato dall’aumento del costo dell’energia, e per affrontare l’emergenza climatica, abbiamo a disposizione una soluzione facile, che inoltre isola anche Putin: isolare le case». Non solo: «Voglio che l’Unione europea e gli Stati membri affrontino queste crisi contemporaneamente», ha aggiunto Cuffe, «gli edifici sono responsabili di più di un terzo delle emissioni ad effetto serra nell’Ue. Lo scopo della direttiva sulle case green, fissando delle ambiziose norme minime di prestazione energetica, è strappare alla povertà energetica milioni di europei». In realtà, se la direttiva venisse approvata, in povertà finirebbero milioni di italiani proprietari di case, che dovrebbero spendere decine di migliaia di euro tra rifacimento di caldaie, sostituzione di infissi, isolamento delle pareti. Ma Cuffe è uno che quando si tratta di hard green non guarda in faccia a nessuno: nel dicembre del 2021 fece arrabbiare molto (eufemismo) i suoi stessi compagni di partito, con una iniziativa assai discutibile. Come riporta il sito irlandese Independent.ie, infatti, il partito dei Verdi di Dublino fu costretto a prendere le distanze dall’europarlamentare dopo che questi aveva scritto una lettera alle principali banche irlandesi, esortandole a non concedere prestiti ai giovani agricoltori. In questa lettera Cuffe sosteneva che «nel contesto irlandese, il nuovo Piano d’azione per il clima del governo intende ridurre le emissioni dell’Irlanda del 62-81% entro il 2030. È chiaro che per realizzare la transizione verso un’economia pulita, verde e rinnovabile, dobbiamo ridurre le emissioni in tutta l’economia irlandese. A questo proposito, sono preoccupato per le notizie secondo cui vengono concessi ingenti prestiti a giovani agricoltori per espandere le loro mandrie di bestiame». Incredibile ma vero, Cuffe era preoccupato perché ai giovani agricoltori veniva concesso credito per espandere le loro aziende. Il Partito Verde si dissociò da questa iniziativa, dichiarando all’Irish Independent: «Ciarán Cuffe ha scritto alle banche su questa questione in qualità di europarlamentare. Il partito non era a conoscenza delle lettere». John Paul Phelan, esponente del partito Fine Gael, ci andò giù pesante: «Va bene», attaccò il politico irlandese, «che Ciarán Cuffe si faccia pubblicità a buon mercato su un argomento che non avrà ripercussioni negative sui suoi elettori, ma cosa ne sa lui della realtà di un giovane agricoltore in Irlanda oggi? La sua lettera alle principali istituzioni finanziarie è stata inappropriata e poco informata. Ha individuato non solo un settore, ma una piccola parte, attribuendo tutta la colpa ai giovani agricoltori. Se vogliamo davvero una giusta transizione», aggiunse Phelan, «abbiamo bisogno di investimenti e finanziamenti per sviluppare nuovi metodi e innovazioni. Come si aspetta l’eurodeputato Cuffe che gli agricoltori paghino le nuove tecnologie se non hanno accesso al sostegno finanziario delle principali banche?». Non si sa. Quello che si sa è che lo scorso marzo Cuffe è tornato a far parlare di sé con un’altra iniziativa paradossale: come riportato dal sito Irishmirror.ie, infatti, il vispo politico verde si è scagliato contro i voli low cost: «I voli da 10 euro in tutta Europa», ha sentenziato Cuffe, «devono finire se il mondo vuole affrontare seriamente il cambiamento climatico». Intervenendo alla trasmissione The Hard Shoulder di Newstalk, Cuffe ha dichiarato: «Siamo in un’emergenza climatica, dobbiamo agire. Una delle prime cose che possiamo fare è volare di meno, e credo che con l’aumento del telelavoro in quest’era Covid abbiamo tutti imparato come farlo e come farlo con successo. Credo che non si possa continuare a volare a 10 euro per mezza Europa mentre il pianeta brucia». Cuffe ha quindi suggerito di usare i treni per spostarsi da un paese all’altro, lavorando mentre si è a bordo. Un’altra genialata, la specialità dell’eurodeputato verde.







Le battute da caserma dell’ex capo dei giudici
Lo screenshot circola ormai da un paio di giorni nelle chat del magistrati. Ed era facile immaginare che, per la portata del commento, prima o poi da quelle chat dovesse saltarne fuori. Sotto un articolo del quotidiano online Today, intitolato «Ronaldo e Giorgina cercano personale, stipendio da 6.000 euro, quali sono le mansioni» e pubblicato il 2 gennaio sulla pagina Facebook della testata (quasi 3 milioni di follower, quindi non un circuito ristretto), scatenando oltre 500 opinioni di utenti, è comparso un commento dai toni pesantemente sessisti: «Ma il personale deve anche mettere incinta Giorgina? E se sì, quante altre volte ancora?».
Se fosse stato il post di un hater o anche di un qualsiasi cittadino con molta probabilità sarebbe passato inosservato. Ma il nome di Luca Poniz, ex numero uno dell’Anm ed esponente di Magistratura democratica, accanto a quelle parole, lo ha trasformato in uno screenshot virale. Con tanto di like di quanti ne condividevano probabilmente il pensiero.
Contattato telefonicamente dalla Verità, Poniz ha liquidato la questione spiegando di non essere stato lui e di non essere a conoscenza di quel commento: «Impossibile», afferma subito. E dopo aver ascoltato la lettura del titolo del giornale online e anche del commento a lui attribuito, ha inanellato una lunga serie di «no». Per concludere con un «non so di cosa sta parlando». Impossibile cercare di approfondire. Neppure dopo la scomparsa del commento dalla pagina social di Today, che ovviamente ha alimentato il giallo. La foto del profilo usato per commentare l’articolo coincide con quella dell’user di Poniz, che si presenta subito come l’utenza di un giurista: due foto della bilancia a due piatti, l’immagine di una toga (con like di Mimmo Truppa, toga bolognese di Md, di Eugenio Albamonte, segretario di Area ed ex presidente dell’Anm, di Jole Milanesi, ex consigliere della Corte di Cassazione in pensione e del professore di diritto penale Marco Pellissero), magistrati e criminologi tra gli amici (tra i quali il pm genovese della Direzione distrettuale antimafia Anna Canepa, ex segretario di Md ed ex vicepresidente dell’Anm). E se non è stato il magistrato a commentare sotto quell’articolo di Today (come lui stesso ha confermato) ci sono solo due alternative: il suo profilo è stato hackerato, oppure qualcuno si è divertito a fare un collage e a creare ad arte uno screenshot per far divertire le toghe alle spalle di Poniz. Che alla ulteriore domanda sugli hacker, inviata sulla sua utenza Whatsapp, però, non ha risposto. Nonostante la doppia spunta blu abbia certificato la ricezione e anche la lettura. Di certo, se di taroccamento si tratta, l’autore ha cercato di usare (esasperandolo), oltre alla foto del profilo, pure lo slang social del collega, che all’indomani della nomina di Carlo Nordio a via Arenula, in modo poco elegante aveva commentato un post di Davide Steccanella, avvocato milanese molto conosciuto e stimato. Steccanella, noto anche per le sue posizioni politiche di estrema sinistra e per essere il difensore dell’ex terrorista rosso Cesare Battisti, un po’ a sorpresa, aveva definito il neo ministro della Giustizia Nordio, «sulla carta, il miglior ministro della Giustizia degli ultimi trent’anni», dal momento che, «pur essendo stato per anni pm, non crede (caso più unico che raro) che la galera sia l’unico rimedio ai mali del mondo».
Poniz, forse dimentico di aver fatto il presidente dell’Anm in quota Md ai tempi della crisi dell’hotel Champagne e di essere su una bacheca di Facebook molto seguita (soprattutto nell’ambiente giudiziario milanese), se ne è uscito con un «ma chi è il tuo pusher?». E quando Steccanella, per evitare di innescare una lotta sulla propria bacheca, ha tentato di ammorbidire i toni con un «Dai su», Poniz ha rincarato la dose: «Dai su lo dico io». Poi ha aggiunto sprezzante: «Dovresti informarti prima di fare certe uscite. E vedo che raramente lo fai».
Steccanella a quel punto deve aver contato fino a dieci prima di rispondere così: «Allora, non è che se qualcuno dissente dalla tua (legittima) opinione ciò significa che è disinformato. Almeno io non ragiono così». Ma Poniz è andato avanti deciso. E anche nella successiva risposta ha usato nei confronti dell’avvocato parole piuttosto pesanti: «Nel caso di specie lo sei eccome. Non sei informato sul profilo del ministro, che certo non si desume da quello che scrive nei fondi per il Gazzettino. Poi ognuno giudica da quello e come ritiene. Resto però sbalordito». Nel caso del commento sulle mansioni per i dipendenti ricercati da Giorgina e Ronaldo, invece, devono essere rimasti sbalorditi i colleghi che si sono ritrovati nelle chat lo screenshot dal commento sessista con la foto profilo dell’ex numero uno dell’Anm.