2025-07-09
Elena Donazzan: «Stop alle auto Euro 5 in Pianura Padana rimandato, prevale buonsenso»
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(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare di Fratelli d'Italia durante un'intervista al Parlamento europeo di Strasburgo.
Lo ha dichiarato l'europarlamentare di Fratelli d'Italia durante un'intervista al Parlamento europeo di Strasburgo.
Il frutto avvelenato dei diktat verdi di Bruxelles dopo le auto colpirà le caldaie, le case non ecologiche e persino tutti i manufatti in cemento armato, cui sarà applicata una data di scadenza. I provvedimenti tampone non bastano, bisogna fermare il Green deal. Finalmente Confindustria attacca la commissaria Ribera: «Ci sta mandando a sbattere».
Pare che un emendamento della Lega consentirà di evitare il blocco delle auto diesel Euro 5 che avrebbe dovuto scattare a ottobre. La norma, inserita nel decreto Infrastrutture, rinvierebbe di un anno l’applicazione della direttiva europea che vieta la circolazione delle vetture più vecchie, offrendo alle Regioni la possibilità di disapplicare anche il futuro lo stop. Tutto bene dunque? Non proprio. Il blocco dei veicoli Euro 5 costruiti tra il 2011 e il 2015 spiega meglio di qualsiasi chiacchiera gli effetti del Green deal e delle disposizioni che vengono prese a tavolino da Bruxelles. Ci vuole poco a scrivere un provvedimento, dicendo che bisogna ridurre le emissioni inquinanti. Ma poi una volta applicata, la misura messa a punto dagli occhiuti funzionari europei impatta sul portafogli dei cittadini, con conseguenze a dir poco devastanti. Sulla Verità abbiamo raccontato il numero delle auto coinvolte dallo stop: in totale fanno un milione e mezzo, a cui si sommano i sei milioni con motori Euro 4, Euro 3 ed Euro zero, cioè all’incirca una vettura ogni cinque fra quelle in circolazione. Fermare dunque le macchine Euro 5 significa lasciare a piedi milioni di italiani i quali, se non vorranno pagare una multa da 168 euro, con il rischio di dover poi contribuire con altri 168 euro e vedersi sospesa la patente, dovranno rottamare il mezzo o tenerlo parcheggiato in garage.
Qualsiasi persona di buon senso sa che chi guida un veicolo vecchio di dieci anni o più non lo fa né perché è affezionato alla sua quattro ruote, né perché ama inquinare. Se non ha cambiato la vettura è evidente che non si può permettere un’auto nuova. Con i salari che non aumentano e l’inflazione che negli anni è cresciuta, pochi hanno da parte un tesoretto da destinare alla macchina nuova e dunque tendono a farsi bastare quella che hanno, anche se ha già percorso centinaia di migliaia di chilometri e pure se sia il motore sia la carrozzeria richiedono un po’ di manutenzione. Insomma, se non hanno acquistato una vettura fiammante, in regola con i requisiti che tanto piacciono a Bruxelles, non lo hanno fatto per ragioni ideologiche, ma per una banale questione di portafogli. Cosa che, a quanto pare, ai funzionari europei importa poco e infatti minacciano sia le Regioni che non disporranno lo stop ai motori che inquinano sia il governo di impartire delle sanzioni.
Vedremo che cosa accadrà con l’emendamento del decreto Infrastrutture, se cioè il provvedimento allontanerà davvero nel tempo lo spauracchio di lasciare a piedi alcuni milioni di automobilisti. Tuttavia, oltre agli effetti pratici e immediati, il blocco delle auto a gasolio più vecchie spiega bene le follie dell’Europa verde, che da un lato impone revisioni annuali sui veicoli «anziani», ma poi decide di bloccarli nonostante siano in regola, senza curarsi delle conseguenze, continuando a emettere direttive a destra e a manca, con cui impone cambiamenti che pesano nelle tasche dei cittadini. Succede con le caldaie, che presto non potranno più essere a gas ma verranno sostituite da impianti «più efficienti» e probabilmente anche più costosi. Capita con le case a emissioni zero, che per garantire il risultato dovranno essere ristrutturate, pena non essere né affittabili né finanziabili. Accadrà con le auto a motore termico, che non saranno più prodotte e a cui - come nel caso delle vetture Euro 5 - entro una certa data molto probabilmente non sarà più consentito circolare. E, ultima delle ultime, avverrà anche con il cemento armato, a cui potrebbe essere applicata una data di scadenza come con lo yogurt, oltrepassata la quale si potrebbe dover demolire la casa per ricostruirla in sicurezza.
In pratica, il Green deal non è affatto una passeggiata su un tappeto di fiori, ma una via crucis disseminata di spine e, soprattutto, di costi. La transizione energetica che tanto piace a Bruxelles non è gratis e non è neppure facile da realizzare, in quanto non si possono appiedare milioni di automobilisti, come non si può far crollare il mercato immobiliare decretando che le case più vecchie non possono più essere abitate. A tavolino si può decidere qualsiasi cosa, anche il suicidio di un Paese e di un’economia, ma poi bisogna spiegarlo ai cittadini ai quali, per mangiare, l’aria pulita non basta.
L’allarme lanciato ieri dalla Verità sull’imminente stop alla circolazione delle autovetture Euro 5 dal prossimo ottobre in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna scuote dal torpore le forze politiche di maggioranza, che promettono interventi. A partire dal Carroccio, che ha diffuso una nota combattiva: «Come già ribadito, la Lega è impegnata a livello locale e nazionale (a partire dal vicepremier e ministro Matteo Salvini) per scongiurare il blocco dei diesel Euro 5 previsto nei prossimi mesi in alcune regioni». «Siamo al lavoro», aveva detto l’altro ieri Salvini, «per fermare il blocco delle auto con motore Euro 5. È una delle follie della Commissione Von der Leyen, che ha approvato quella fesseria economico-industriale che si chiama Green deal. La strada è un emendamento al decreto Infrastrutture».
Come abbiamo scritto ieri, dal 1° ottobre e fino al 15 aprile nel Nord Italia scatterà il divieto di circolazione dal lunedì al venerdì dalle 7.30 alle 19.30 (con alcune variazioni di orario in certe regioni) per le auto Euro 5 alimentate a gasolio, costruite tra 2011 e il 2015, che non potranno circolare nei Comuni al di sopra del 30.000 abitanti. Alla prima infrazione la multa sarà di 168 euro; in caso di recidiva in due anni, si pagheranno altri 168 euro con la sospensione della patente da 15 a 30 giorni. In Veneto il blocco parte il 20 ottobre nelle fasce orarie dei giorni lavorativi dalle 8 alle 18 fino al 15 aprile. In tutto rischiano lo stop 7.609.000 veicoli.
Manco a dirlo, le Regioni applicano una direttiva europea, recepita dal governo guidato da Giorgia Meloni, con tanti saluti ai proclami sul «cancelleremo i deliri del Green deal!», con la variante «Ursula von der Leyen ha deciso di cambiare rotta». Come dicevamo, il nostro articolo pubblicato ieri ha smosso le acque e il centrodestra si è mobilitato. «Noi vogliamo rivedere dalle fondamenta», dice alla Verità il capogruppo al Senato di Forza Italia, Maurizio Gasparri, «le folli regole europee sulla transizione ecologica. Riteniamo in particolare che si debbano riconsiderare le tempistiche: vanno riviste tutte, non solo quelle che riguardano come in questo caso Piemonte, Lombardia, Veneto e Emilia Romagna». Da un capogruppo all’altro, anche il leader dei senatori della Lega, Massimiliano Romeo, illustra alla Verità il suo punto di vista: «Chiediamo al governo un piano di investimenti forti, un programma strutturale, per migliorare la situazione dell’inquinamento nel bacino padano, dove si sa benissimo che la circolazione dell’aria è più difficoltosa. Chiediamo che si prendano misure alternative, perché non si può andare a penalizzare in maniera così pesante chi non ha i soldi per acquistare un’auto più nuova». Una proposta concreta arriva anche da Tullio Ferrante, sottosegretario ai Trasporti e alle Infrastrutture di Forza Italia: «Il tema della sostenibilità», dice, «richiede un approccio pragmatico, in grado di coniugare le esigenze di salvaguardia ambientale con la tutela del tessuto economico. Lo stop per i veicoli Euro 5 avrebbe un impatto inaccettabile per i cittadini, per questo è necessario adottare una soluzione in grado di evitare il blocco alla circolazione degli stessi veicoli già in sede di conversione del decreto Infrastrutture. Occorrerà poi lavorare anche per cambiare il Green deal, frutto di una visione dogmatica che non combatte il cambiamento climatico ma affossa l’economia reale. Come ha ribadito il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, la decisione di imporre il passaggio all’auto elettrica nel 2035 va rivista. L’impegno di Forza Italia sarà massimo per fissare obiettivi realizzabili e non meramente ideologici che penalizzano in maniera sconsiderata milioni di persone».
La Lega si muove in Regione Lombardia: «Non possiamo essere i soli in Europa», sottolinea l’assessore regionale all’Ambiente Giorgio Maione, «con un blocco che coinvolgerebbe più di mezzo milione di veicoli. Bisogna riaprire la discussione con Bruxelles e Roma per trovare più risorse e soluzioni condivise». Ieri il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato una mozione sull’argomento che ha come primo firmatario il capogruppo della Lega Alessandro Corbetta: «La Lombardia decide di non piegarsi alle euro follie sull’ambiente imposte da Bruxelles», commenta Corbetta, «e chiede al governo di annullare il blocco Euro 5 diesel in Pianura Padana che colpisce lavoratori, pensionati e studenti. Vanno sospese e rinviate le limitazioni ai diesel Euro 5 e trovate soluzioni alternative che tengano in considerazione le caratteristiche geografiche, economiche e sociali della Pianura Padana». La mozione approvata ieri «impegna il presidente e la giunta regionale a chiedere al governo italiano l’istituzione di un tavolo tecnico/politico composto dalle Regioni aderenti all’Accordo di bacino padano e al ministero dell’Ambiente che, in tempi rapidi, concordi e definisca, anche sulla base delle migliori tecnologie oggi disponibile e con l’obiettivo di un costante incremento della qualità dell’aria, soluzioni alternative al blocco strutturale dei veicoli N1, N2 e N3 alimentati a diesel di categoria Euro 5».
Il conto alla rovescia è cominciato: da ottobre 2025 entrerà in vigore il divieto di circolazione per i mezzi diesel Euro 5 in molte aree del Paese, tra cui Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Ma il fronte del no si allarga, compatto e trasversale, dalle associazioni di categoria ai territori, passando per le voci degli imprenditori e dei cittadini.
A guidare la protesta è Paolo Uggè, presidente di Fai-Conftrasporto, che non usa mezzi termini: «Siamo e saremo fermamente al fianco del governo italiano in quella che si preannuncia come una battaglia di buon senso contro una misura profondamente irragionevole, figlia di un’interpretazione ideologica e miope del Green deal europeo», afferma. Per Uggè, il divieto rappresenta «un colpo durissimo per l’intero settore del trasporto merci su gomma», mettendo a rischio la sopravvivenza di centinaia di imprese, «molte delle quali a conduzione familiare». L’investimento degli autotrasportatori, sottolinea, è stato ingente: «Sono 597 milioni di euro che rischiano di andare in fumo», con ripercussioni «su oltre 8.000 Comuni» e in particolare «nelle aree interne, dove il trasporto merci è vitale per la sopravvivenza economica e sociale». Ma c’è anche un chiaro richiamo alla politica: «Nel cuore della Romagna molti cittadini hanno scelto di votare il Partito democratico. Ora quel partito ha il dovere di rispondere ai propri elettori e non assecondare gli interessi di qualche realtà finanziaria internazionale o ambientalismo ideologico sganciato dalla realtà produttiva del Paese». L’appello finale è netto: «La prima cosa da fare è rinviare immediatamente il termine di ottobre. Poi favorire incentivi per chi vuole cambiare veicoli. Fermare i camion significa fermare il Paese. Noi non lo permetteremo».
Una voce altrettanto critica arriva da Simonpaolo Buongiardino, presidente di Assomobilità, che focalizza l’attenzione sul parco veicoli interessato dal divieto: «Parliamo di un milione di automezzi, soprattutto veicoli commerciali, immatricolati nel 2014. Mezzi che hanno quindi solo 11 anni di vita, e che rappresentano investimenti importanti per le imprese», spiega.
Buongiardino evidenzia lo squilibrio tra il costo di questi mezzi - anche 50.000 euro - e la loro estromissione anticipata dalla circolazione: «Sono ancora efficienti e funzionali. Mettere fuori uso queste flotte significa colpire una larga fascia della popolazione che lavora, produce e sostiene la città. A pagarne le conseguenze saranno le famiglie». Non manca una stoccata alle istituzioni regionali: «È vero che ci dovrebbe essere una linea comune a livello nazionale, ma la Regione Emilia Romagna si muove con criteri diversi. E poi ci si chiede perché i cittadini si allontanano dalle istituzioni». E infine il tema milanese, dove il divieto assume contorni paradossali: «È assurdo che questi stessi veicoli possano circolare nei Comuni con meno di 30.000 abitanti, ma possono essere multati nelle strade interurbane».
Anche la Cgia di Mestre si è più volte espressa con fermezza contro il provvedimento, sottolineando che il blocco degli Euro 5 colpirebbe in particolare le piccole imprese artigiane, spesso impossibilitate a rinnovare i veicoli in tempi così ristretti.
La Cgia ha chiesto a più riprese una moratoria e un piano nazionale coerente evitando decisioni a macchia di leopardo che «spiazzano gli operatori economici e danneggiano la competitività delle nostre imprese».
E mentre il tema dei diesel Euro 5 continua ad alimentare il dibattito, a Milano si apre un altro fronte: quello dei motocicli. Le restrizioni annunciate vengono percepite da molti come punitive e scollegate dalla realtà cittadina. «Le due ruote rappresentano un’opzione ecologica ed efficiente, ma vengono trattate come un problema», denuncia Buongiardino.
Potrebbe essere un’idea: prendere i circa 7 milioni di automobilisti di Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna che si vedranno «sequestrare» l’auto dal primo ottobre e far fare a loro un video come quello che ha postato ieri Greta Thunberg: «Se vedete questo video è perché siamo stati intercettati e sequestrati dalle forze d’occupazione israeliane», grida la ex pasionaria ambientalista che è passata al gioco dei pacchi di aiuto per la popolazione di Gaza. Ecco i possessori di auto potrebbero fare la stessa cosa: «Se vedete questo video è perché siamo stati sequestrati da un diktat europeo a cui il centrodestra si è adeguato seguendo le invettive di Greta Thunberg». Non è uno scherzo.
Dal primo ottobre e fino al 15 aprile in Piemonte, in Lombardia e in Emilia-Romagna scatterà il divieto di circolazione dal lunedì al venerdì dalle 7.30 alle 19.30 - anche se sono ammesse alcune variazioni di orario - per le auto Euro 5. Si tratta solo di quelle alimentate a gasolio, costruite tra 2011 e il 2015. Queste auto non possono circolare nei Comuni al di sopra del 30.000 abitanti. Le sanzioni sono pesanti: alla prima infrazione la multa sarà di 168 euro; in caso di recidiva in due anni, si pagheranno altri 168 euro con la sospensione della patente da 15 a 30 giorni. A queste tre Regioni si è aggiunto ora il Veneto che incurante dell’imminente campagna elettorale, visto che si discute ancora sul terzo mandato, ha deciso di bloccare i diesel euro 5 dal 20 ottobre nelle fasce orarie dei giorni lavorativi dalle 8 alle 18 fino al 15 aprile.
Luca Zaia, su suggerimento dell’assessore all’Ambiente e al clima Giampaolo Bottaccin, che pure ha un approccio soft ai divieti ambientali, ha recepito la direttiva europea. Per la verità, è dal 2023 che l’Ue insiste con l’Italia perché si limiti in Pianura padana l’uso delle auto. Da questo punto di vista il sindaco di Milano, Beppe Sala, è il campione del divieto a prescindere ma il governo Meloni ha attivato delle proroghe invitando le Regioni a fare dei piani mobilità. Qualcosa hanno prodotto.
Proprio Bottacin ha promosso il progetto Mov-In che ha coinvolto le altre tre Regioni padane: si tratta di montare nei veicoli più vecchiotti (dall’Euro 5 in giù), sborsando 30 euro, una scatola nera che registra i chilometri percorsi nelle Ztl. C’è un tetto che non si può sforare, ma non si è per forza costretti a cambiare l’auto o il furgone. Ma è un’agevolazione marginale. Scaduta la proroga chiesta dal governo all’Ue (sembra la storia delle licenze balneari), nel decreto Infrastrutture si recepisce il diktat di Bruxelles. Giorgia Meloni è andata in Ue a chiedere il rinvio delle multe ai costruttori di auto, lo slittamento dello stop ai motori endotermici previsto per il 2035 - previsione che ha distrutto l’industria dell’auto - e a pretendere l’inserimento del biodiesel tra i carburanti ammessi, ma sullo stop agli Euro 5 i risultati non ci sono. E passi che l’Emilia-Romagna, che aveva per assessore al Clima Elly Schlein, sia la più rigida contro le auto, ma che Attilio Fontana, leghista presidente della Lombardia, si metta a fare concorrenza a Beppe Sala sul green e che la stessa cosa faccia Alberto Cirio (Forza Italia) che guida il Piemonte seguendo la via verde di Luca Zaia si capisce meno. Sempreché l’incertezza sul terzo mandato non abbia convinto i presidenti che è meglio lasciare con coup de thétre accontentando Greta Thunberg piuttosto che assecondare gli elettori moderati.
Se il centrodestra vuole contrastare le follie green di Bruxelles deve cominciare da dove governa. Perché è sicuro che l’Ue una retromarcia non la fa. Teresa Ribera, ex ministro socialista spagnolo e attuale vicepresidente della Commissione con delega al Green deal, è stata ultimativa: «Nessuna marcia indietro della Commissione Ue sullo stop ai motori diesel e benzina dal 2035». A metterci una pezza in Italia ci prova il segretario della Lega nonché vicepremier e ministro della Infrastrutture, Matteo Salvini che promette: «Siamo al lavoro per fermare il blocco delle auto con motore Euro 5. È una delle follie della Commissione Von der Leyen, che ha approvato quella fesseria economico-industriale che si chiama Green deal. La strada è un emendamento al decreto Infrastrutture».
Va detto, però, che il percorso è tortuoso: se va bene, si riesce a varare una norma tampone a luglio cercando di far diventare legge alcune proposte che le Regioni del Nord hanno avanzato. Per ora rischiano lo stop 7 milioni e 609.000 veicoli considerando che, nei divieti, sono comprese anche le Euro 1 e 2 a benzina e tutti i diesel fino alle Euro 5. È il 44% dei veicoli circolanti nelle Regioni padane. Resta, però, l’interrogativo se questi blocchi servano davvero a qualcosa. La riprova si è avuta durante il lockdown causa Covid e Dpcm di Roberto Speranza- Giuseppe Conte. Azzerando, di fatto, il traffico si è avuta si una riduzione del monossido di azoto, compensata da un aumento dell’ozono (nocivo) e un effetto trascurabile sia sulla CO2 sia su Pm10 e Pm 25, le famigerate polveri sottili.
Nel 2020 un gruppo di ricerca dell’Università di Birmingham ha preso in esame 11 città (Pechino, Wuhan, Milano, Roma, Madrid, Londra, Parigi, Berlino, New York, Los Angeles e Delhi) e ha concluso che «il calo di inquinanti tanto decantato non è stato così netto e non si è verificato ovunque». Ormai è acclarato che il traffico incide per circa l’10% dell’inquinamento. Ma il 10% dei voti, invece, incide assai sui governi regionali e almeno Matteo Salvini lo sa.
L’ossessione green della Ue non ha un limite. Non basta la normativa sulle case a zero emissioni che impone, nell’ambito delle ristrutturazioni, di cambiare anche le caldaie bandendo, nel breve termine, quelle a gas e a metano. A ventiquattr’ore dal via libera della direttiva europea, ecco che un’altra tegola si abbatte sull’Italia. Il pacchetto mensile d’infrazione della Commissione mette nell’angolo il nostro governo. Il tema è quello dell’aria e delle acque reflue. Nonostante le domeniche a piedi, i divieti sempre più estesi alla circolazione nelle aree urbane, le penalizzazioni per chi ha un’auto con qualche anno, le multe salate, l’Europa ritiene che non sia stata rispettata la direttiva sulla qualità dell’aria. Il verdetto è che ci sono ancora troppi sforamenti di Pm10, le polveri sottili rappresentate da ossidi di zolfo e di azoto, ammoniaca e composti organici volatili.
La Corte di giustizia aveva riconosciuto l’Italia colpevole nel 2020 ed aveva emesso una sentenza. A distanza di quattro anni, ecco che la Commissione torna sul tema, per vedere se «i compiti sono stati fatti», dicendo di aver concesso tempo sufficiente per mettersi in regola ma che questo non è stato utilizzato in modo efficace per arrivare a risultati convincenti. «Sebbene dalla data della sentenza l’Italia abbia adottato alcune misure, nel 2022 si registravano ancora superamenti dei valori limite giornalieri in 24 zone, mentre una zona segnalava superamenti dei valori limite annuali» afferma la Commissione e lancia un vero e proprio ultimatum. Il governo ha due mesi di tempo per correre ai ripari e convincere Bruxelles a non andare avanti con la procedura di infrazione. I limiti previsti dalla normativa Ue per le emissioni sarebbero stati sforati a più riprese a partire dal 2008, e da giugno 2010 si chiedevano correttivi adeguati e definitivi. Qualora il nostro Paese non dovesse mettersi in regola e quindi si arrivasse alla condanna della Corte di Giustizia, la multa sarebbe più salata proprio perché ci sono stati ripetuti avvertimenti. Una tenaglia che non lascia scampo.
Eppure è stato proprio il problema delle Pm10 ad indurre gli amministratori dei comuni del Piemonte a vietare la circolazione dei diesel Euro5, tra mille polemiche per i disagi che ne seguivano. Quando poi proprio uno studio dell’Arpa Lombardia ha dimostrato come il traffico non sia la principale causa dell’inquinamento, le rilevazioni durante il lockdown pandemico hanno confermato che la riduzione delle polveri sottili è stata insignificante. Piuttosto le concentrazioni di Pm10 seguono un andamento modulato principalmente da fattori meteorologici. Quindi demonizzare l’auto sarebbe semplicistico oltre che sbagliato.
L’altra comunicazione della Commissione riguarda la direttiva sulle acque reflue. Siccome «gli sforzi profusi finora dalle autorità italiane (sul trattamento dell’acqua urbana inquinata che si libera sui campi e sui fiumi) sono stati insufficienti» il Paese sarà deferito alla Corte di giustizia dell’Unione europea. La decisione è solo l’ultimo atto di un atteggiamento persecutorio di matrice ideologica che arriva, con tempismo sospetto, proprio alla vigilia del voto per il rinnovo del Parlamento europeo. Ci sono diverse procedure aperte per lo stesso motivo. Una condanna dalla Corte è arrivata a ottobre 2021 e un deferimento risale a giugno 2023.
Una terza procedura riguarda le garanzie ai minori in caso di processi penali. Due mesi di tempo per adeguarsi alle norme comunitarie o il dossier va avanti.

