Cobalto, il Congo riapre le frontiere. Fonderie cinesi contro i prezzi bassi. Incidente in Indonesia, il prezzo del rame decolla. La Cina decarbonizza a giorni alterni. Lo scisto USA preoccupato da Trump.
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2025-09-14
Il fanatismo green è dannoso. Per il clima che muta servono più nucleare e desalinizzatori
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)
La decarbonizzazione forzata ammazza l’economia e non porta benefici alla Terra. Bisogna «ecoadattarsi» con investimenti sensati, che si riveleranno pure redditizi.
Finalmente l’Ue ha fatto un primo passo verso l’ecorealismo ammettendo la neutralità tecnologica per scopi di decarbonizzazione e rinviando i tempi per il bando dei motori termici. La spinta è stata data dalla necessità di armonizzare le politiche sia ambientale sia industriale, divergenti a causa di un ecofanatismo più ideologico che tecnico, con grave danno per l’economia. Ma il passo è ancora molto lento. Per accelerarlo, ritengo necessario un cambio di paradigma: dall’ecologia conservativa all’ecologia artificiale.
Il punto è: il cambiamento climatico c’è ed è misurabile oggettivamente dall’aumento delle temperature del pianeta. Ma che la decarbonizzazione forzata sia la sola soluzione è messo in dubbio da dati che mostrano la difficoltà di abbandonare in tempi brevi l’economia basata sui combustibili fossili che producono (parte del) l’effetto serra riscaldante senza distruggere l’economia stessa. Inoltre, i dati glaciologici fanno vedere momenti di riscaldamento del pianeta in epoche decarbonizzate.
Ci sono altre cause per il cambiamento climatico? Nelle scienze fisiche dedicate ho notato un varietà di opinioni non ben riportate dalla stampa, con l’eccezione di questo quotidiano. Quindi, come economista, devo prendere atto che c’è un’ambiguità che suggerisce il disegno di sistemi umani non vulnerabili al cambiamento climatico e conseguenti fenomeni estremi, producendo gradualmente un’ecologia artificiale adattiva. Ne parlai tanto con il professor Vladimir Isaacovich Keilis-Borok nel 1988-90, ai tempi membro dell’Accademia sovietica delle scienze (e poi docente all’Università della California a Los Angeles) quando fummo entrambi parte del gruppo di consulenza al Segretario generale dell’Onu per la generazione di una politica mondiale di prevenzione dei disastri naturali (Un-Idndr). Egli era specializzato in geofisica matematica e scoprimmo una comune passione per gli scenari probabilistici.
Un giorno mi disse: «Anche se decarbonizziamo sul piano industriale, poi il solo disgelo del permafrost in Siberia e nel Circolo artico produrrà gas serra più che compensativi, senza dimenticare le emissioni animali e umane da miliardi di fisiologie e senza escludere un contributo riscaldante del moto planetario e delle dinamiche del Sole». Simulammo un rischio di aumento del livello del mare che avrebbe reso inabitabili le aree costiere dove abitava circa il 70% della popolazione mondiale entro due secoli, senza escludere rischi di desertificazione estesa. Per inciso, le previsioni attuali dei glaciologi stimano un aumento di 7 metri dei mari nel lungo termine. Alzando gli occhi dai fogli pieni di numeri che stavo inserendo nell’intervallo probabilistico 0-1, mi chiese: «Ma voi economisti cosa cavolo pensate di fare per prevenire il rischio catastrofico qui emerso, spostare miliardi di persone? Oppure?». Lì pronunciai per la prima volta i termini«ecoadattamento», «terraformazione», «ecologia artificiale».
Nei tanti decenni di insegnamento presso la University of Georgia (fino al 2015, poi presso Unimarconi, Roma) dove c’era l’obbligo in ogni disciplina di inserire temi ambientali (Environmental literacy), ogni anno ho chiesto agli studenti: volete salvare quello specifico bosco oppure salvare la possibilità che un bosco ci sia? Mediamente, il 30% era per l’ecologia artificiale-adattiva mentre il 70% per quella conservativa. Test più recenti mostrano la continuità di questa proporzione nella popolazione di parecchie democrazie. Ciò mi fa sospettare che la politica, vedendo i dati di consenso, abbia preferito l’illusione di una decarbonizzaizone rapida come soluzione pensando, soprattutto, che il suo costo sarebbe stato minore degli investimenti ecoadattivi.
Ma non è così, in realtà, ed è in atto, appunto, una correzione dell’ambientalismo troppo semplificato. Per l’affermazione di un ecorealismo, dobbiamo considerare il rischio di lungo termine se il riscaldamento globale dovesse continuare: i dati correnti mostrano che difficilmente verrà contrastato. Quindi, la soluzione economica realistica, considerando che il cambiamento climatico, pur rapido, non è velocissimo e lascia tempo per contromisure, è quella di iniziare l’ecoadattamento nei punti più vulnerabili dei sistemi umani. Per esempio, desalinizzatori nelle aree in via di desertificazione, modifiche del territorio contro alluvioni, ecc.
Sarà chiave la disponibilità di energia pulita più abbondante e meno costosa. Il mio gruppo di ricerca ha simulato la sostituzione dei combustibili fossili con l’energia nucleare, sia minireattori a fissione sia grandi a fusione, con lo scopo di dare più spazio temporale alle fonti fossili o combustibili equivalenti, tipo biocarburanti, per non creare crisi economiche grazie al fatto che, poi, la diffusione del nucleare produrrà una decarbonizzazione rapida e un costo dell’energia minore: circa 30/40 anni. Ma va considerato che servirà moltissima energia per climatizzare gli ambienti urbani, costruire argini e nuove infrastrutture contro l’innalzamento del livello del mare e delle acque di foce. E servirà, probabilmente, tanta energia per una nuova agricoltura basata su serre climatizzate.
In sintesi, l’ecorealismo o ecopragmatismo prevede passi successivi di ecoadattamento attivo correlati all’evidenza del cambiamento climatico. Tale ecostrategia non implica solo un costo, ma uno stimolatore di sviluppo tecnologico con guadagni superiori al costo stesso di investimento. In conclusione, dal primo passo nell’Ue per una politica ambientale realistica bisognerebbe passare a un cambiamento completo dell’ecopolitica conservativa verso quella ecoadattiva. Non c’è ancora un consenso sufficiente? Penso sia compito della ricerca generare soluzioni innovative per aumentarlo.
www.carlopelanda.com
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William Happer, professore emerito di fisica a Princeton (Getty Images)
Il fisico William Happer: «Un suicidio spendere soldi per uscire dai combustibili fossili, che fanno bene all’umanità. Certa scienza fa politica, spero in Trump».
Classe 1939, membro dell’Accademia nazionale delle scienze degli Stati Uniti, William Happer è professore emerito di fisica all’Università di Princeton. In un fondamentale articolo, scritto in collaborazione con il prof. William van Wijngaarden (intervistato dalla Verità il 6 settembre 2023), Happer ha accuratamente calcolato che, rispetto al riscaldamento globale, l’attuale quantità di CO2 atmosferica è praticamente satura, e raddoppiarla provocherebbe un minuscolo, benefico, riscaldamento globale.
Prof. Happer, quand’è che la scienza del clima è diventata cosa politica?
«Iniziò nei primi anni Novanta. All’epoca lavoravo a Washington per il governo, e ho potuto constatare l’inizio di questa svolta, spinta dal senatore Al Gore. All’epoca c’erano ancora molti scienziati onesti che non condividevano l’allarmismo. Ma col passare degli anni essi sono stati gradualmente sostituiti da giovani che, per sopravvivere come ricercatori, han dovuto compiacere i loro sponsor governativi producendo i risultati di ricerca politicamente corretti che questi si aspettavano».
Qual è la qualità della ricerca climatica attuale, secondo lei?
«Molti programmi sperimentali - ad esempio le misurazioni satellitari - sono molto buoni. Ci sono invece enormi problemi nel settore dei modelli di calcolo: la maggior parte di essi non significa nulla e il denaro che è stato speso per i modelli climatici -e ne è stato speso molto - è stato per lo più sprecato».
La situazione migliorerà?
«Beh, abbiamo appena eletto un nuovo presidente, che ha molta energia e molte idee. Credo sia una cosa positiva. Vedremo quanto successo avrà».
La Terra si sta riscaldando?
«Sì, ma la maggior parte del riscaldamento è l’uscita naturale dalla Piccola era glaciale, quando faceva molto più freddo in tutto il mondo. Il riscaldamento è iniziato tra il 1.700 e il 1.800. Se si guarda agli ultimi 10.000 anni, dalla fine dell’ultimo periodo glaciale, ci sono stati molti riscaldamenti e raffreddamenti. Comprendere questi cambiamenti naturali sarebbe molto importante. Ma questa comprensione è stata ritardata di molti decenni a causa della folle attenzione sui gas serra. I gas serra non hanno molto a che fare con questi riscaldamenti e raffreddamenti del passato».
L’anidride carbonica è pericolosa?
«No. La CO2 atmosferica è alla base della vita sulla Terra. Viviamo perché le piante sono in grado di utilizzare l’energia della luce solare per trasformare chimicamente l’anidride carbonica e l’acqua in ossigeno e zucchero, la molecola organica fondamentale della vita. Dovremmo quindi essere tutti molto grati alla CO2: senza di essa la vita morirebbe. Nel passato geologico essa fu anche cinque volte più abbondante di oggi, e la vita fioriva rigogliosa. Il clima non è molto sensibile all’anidride carbonica, perché rispetto all’effetto serra essa è praticamente già saturata, per usare un termine tecnico. Se raddoppiamo l’anidride carbonica, l’aumento di temperatura risultante sarà probabilmente meno di 1 celsius».
Si dice spesso che l’aumento di CO2 sia legato a eventi meteorologici estremi. È così?
«No. Se si guardano i dati, non c’è la minima prova che oggi ci sia un clima più estremo rispetto a 100 anni fa. Nel mio Paese, ad esempio, il clima peggiore del secolo scorso è stato quello degli anni Trenta: un periodo terribile, con la gente che migrava dall’Oklahoma alla California per sopravvivere. Da allora non abbiamo avuto nulla di simile».
Alcuni temono feedback positivi. Dicono che il riscaldamento indotto dalla CO2 aumenta il vapore acqueo, che aumenta il riscaldamento, che aumenta la CO2, e così via fino al raggiungimento di un fatale punto di non ritorno.
«La maggior parte dei feedback in natura sono negativi. Esiste persino una legge in proposito, il principio di Le Châtelier. Nel lungo passato geologico, ci sono stati molti periodi in cui la Terra era molto più calda di oggi e periodi con molta più anidride carbonica, ma non s’è raggiunto alcun punto di non ritorno».
Se qualcuno non è dalla parte «giusta» di questo dibattito sul net zero, viene additato come «negazionista», e chi non è uno scienziato climatico non può parlare di clima. Tranne Greta Thunberg...
«Il clima è in realtà solo fisica e chimica, e chiunque abbia una buona base di fisica e chimica può sapere sul clima quanto uno scienziato del clima. A dire il vero, poi, a parte qualche lodevole eccezione, gli scienziati del clima non sono scientificamente molto istruiti: studiano poca fisica, chimica, geologia, tutte discipline essenziali per comprendere il clima della Terra. Gli scienziati del clima d’oggi, invece, sono ben addestrati a lavorare nel sistema politico. La climatologia è oggi più simile a una scienza sociale».
È preso di mira dagli attivisti politici?
«Sono stato preso di mira, ma non presto loro molta attenzione e ho poco rispetto per loro. Sono anziano, sono in pensione, e non dipendo dalle sovvenzioni governative».
Ci viene detto che c’è un consenso sul cambiamento climatico antropogenico.
«La scienza non ha nulla a che fare con il consenso. Chi usa l’argomento del consenso in realtà sta parlando di politica, non di scienza. La credibilità scientifica di una teoria è determinata non dal consenso ma da quanto essa concordi con le osservazioni sperimentali. I modelli climatici non concordano con le osservazioni e non meritano credibilità».
Da dove viene questa storia dell’allarme climatico?
«Non so davvero cosa spinga la frenesia climatica. I fattori principali, direi, sono la brama di potere, la brama di denaro, l’ignoranza».
Definirebbe l’allarmismo climatico una truffa o una bufala?
«Non è una distinzione molto importante. Tuttavia, credo che una buona bufala abbia il sapore di uno scherzo e ha una certa dose di umorismo. Una truffa è diversa. Si ha truffa quando si ingannano le persone per ottenere denaro o potere. Credo che ciò che sta accadendo con il clima possa ben qualificarsi più truffa che bufala. Si tratta di trilioni di dollari, riversati nella transizione energetica motivata dalla necessità di combattere il cambiamento climatico che, a sua volta, è attribuito all’uso dei combustibili fossili».
Quindi ha dei dubbi sulla transizione energetica? Non crede che dovremmo smettere di bruciare combustibili fossili?
«Certamente non dovremmo smettere di bruciare combustibili fossili. Non possiamo smettere. Sarebbe un suicidio non solo economico, ma un vero suicidio, o forse un omicidio. Le persone moriranno. Ci hanno provato in Sri Lanka, quando il governo estremista ha bloccato l’uso di fertilizzanti chimici prodotti da combustibili fossili. Il risultato è stato che le coltivazioni di riso e di tè sono fallite, i prezzi dei prodotti alimentari sono aumentati e la gente moriva di fame per le strade. Lo stesso accadrà se insistiamo col voler azzerare l’uso dei combustibili fossili. Non possiamo gestire il mondo senza di essi, ne siamo completamente dipendenti. Non c’è nulla di male nell’uso responsabile dei combustibili fossili: portano davvero benefici all’umanità».
C’è la questione di quanto dureranno ancora.
«Non è un problema immediato. In ogni caso, i nostri discendenti li sostituiranno con idrocarburi sintetici, diesel e benzina sintetici. E continueranno a utilizzare motori a combustione interna: nessuno ha inventato un motore migliore di quello a combustione interna per i trasporti. E nessuno ha mai inventato un carburante migliore degli idrocarburi».
Bene, professor Happer, per chiudere: quali pensa siano i veri problemi dell’umanità?
«Il problema principale è sempre stato quello di vivere insieme, in pace e con giustizia, ed evitare che l’umanità si autodistrugga».
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La politica energetica di Italia e Ue punta da anni solo ad affrontare e risolvere il falso pericolo della CO2. Ma la sua presenza produce risultati positivi, perché diminuisce l’effetto delle radiazioni emesse dalla Terra.
Se mi è concesso, vorrei dedicare questo articolo a Sergio Mattarella, sperando che ci legga. La politica energetica che stiamo adottando da anni, in Italia e in Europa, è tutta improntata su un’unica buzz-word: decarbonizzare. Sotto forma di Co2, il carbonio che noi aggiungiamo sarebbe una minaccia esistenziale per il pianeta, giacché indurrebbe cambiamenti climatici con effetti disastrosi.
Purtroppo, l’impegno a decarbonizzare è sciocco perché è fondato su premesse sbagliate, in quanto aggiungere Co2 in atmosfera non comporta alcun effetto sul clima, né in male né in bene. Prima di continuare, devo premettere che la cosa è leggermente tecnica e che io non nutro alcuna fiducia sulla cosiddetta divulgazione scientifica – lodevole impegno cui pur si dedicano alcuni miei stimati colleghi. Cercherò di imitarli solo perché la cosa è veramente importante, ed è tale proprio perché è stata fatta propria dai decisori politici ai massimi livelli; come, appunto, il nostro Presidente della Repubblica.
Secondo le convinzioni più accreditate, nella nostra atmosfera vi sono alcuni gas (detti gas-serra) – il principale dei quali è il vapor d’acqua e, a seguire in ordine d’importanza, la Co2 – che mantengono il pianeta più caldo (a quanto pare, circa 33 gradi più caldo rispetto alla ipotetica situazione di totale assenza di questi gas). Proviamo a spiegare il meccanismo che realizzerebbe tutto ciò. È un fatto certo che ogni corpo – anche il nostro corpo! – emette energia sotto forma di radiazione elettromagnetica, cioè onde elettromagnetiche. Queste, a loro volta, sono caratterizzate da una quantità che è loro propria: la lunghezza d’onda (per esempio, passando da lunghezze d’onda minori a lunghezze d’onda maggiori si ha radiazione gamma, X, ultravioletta, visibile, infrarossa, microonde, radio-onde). Orbene, le lunghezze d’onda emesse dipendono dalla temperatura del corpo. Nel caso della Terra, la lunghezza d’onda principale è di 10 micron, nel senso che la radiazione di massima intensità emessa dalla Terra è quella con lunghezza d’onda di 10 micron. Di fatto, la Terra emette tutte le lunghezze d’onda comprese fra 4 e 50 micron, come illustrato nella curva della figura. Al di sotto di 4 micron e al disopra di 50 micron l’intensità della radiazione emessa è irrilevante: il “grosso” è radiazione fra 4 e 50 micron (con 10 micron il contributo massimo). Si noti che ho iniziato il paragrafo precedente con «è un fatto certo»: la teoria è consolidata e gli esperimenti l’hanno verificata al di là di ogni ragionevole dubbio. Il paragrafo ancora precedente l’avevo invece iniziato con «secondo le convinzioni più accreditate». Questo perché tutta la narrazione dell’effetto serra è ancora in discussione – contrariamente a quel che a tutti ci viene continuamente detto. Mi spiego meglio: secondo rispettabili fisici, la temperatura del nostro pianeta è quella che è per ragioni completamente diverse dell’effetto serra. Magari un’altra volta vi racconto quali sono queste altre ragioni, ma per il momento atteniamoci alle convinzioni più accreditate, e torniamo alla curva di figura che vedete in pagina. L’area sotto essa rappresenta l’energia (sotto forma di radiazione elettromagnetica) emessa dalla Terra. È energia che torna nello spazio, ed è necessario che vi torni altrimenti la Terra sarebbe insopportabilmente calda. Invece, grazie al fatto che smaltisce quell’energia, la Terra risulta più fredda. Ma non troppo, grazie proprio ai gas-serra, i quali assorbono parte dell’energia liberata dalla Terra e, per far breve una storia lunga, la tengono più calda di quel che sarebbe senza i gas-serra. Questi assorbono solo radiazione con lunghezza d’onda specifiche di ogni gas. Del gas-serra acqua ci disinteressiamo perché è comunque lì, e non possiamo farci niente. Interessiamoci quindi solo al gas-serra Co2 che, oltre ad essere presente di suo in Natura, è anche aggiunto da noi. Nell’intervallo delle lunghezze d’onda emesse dalla Terra (4-50 micron), la Co2 assorbe solo radiazione con lunghezza d’onda pari a 15 micron: la molecola è di fatto trasparente a tutte le altre lunghezze d’onda. Allora, di tutta l’energia radiante emessa dalla Terra (l’area sotto la curva in figura) solo l’area coperta dalla sottile striscia colorata in rosa è la porzione d’energia massima assorbibile dalla Co2. Senza Co2, questa porzione d’energia verrebbe liberata nello spazio e la Terra sarebbe più fredda; in presenza di Co2, una porzione dell’energia corrispondente alla radiazione nell’intorno di 15 micron (diciamo fra 14 e 16 micron) mantiene il pianeta più caldo. (V’è anche un assorbimento a circa 4 micron ma, come si vede in figura, il contributo di questa lunghezza d’onda è insignificante). Oggigiorno, bruciando combustibili fossili e aggiungendo di conseguenza Co2, l’umanità si preoccupa di rischiare di rendere il pianeta pericolosamente più caldo. Senonché, questo rischio è praticamente nullo: è stato calcolato che la porzione d’energia coperta dalla fascia rosa in figura è già tutta assorbita dalla Co2 naturalmente presente. Questa circostanza è chiamata «saturazione». Anzi è stato calcolato che si ha saturazione già con una concentrazione atmosferica di Co2 inferiore a 200 ppm (parti per milione). Il valore pre-industriale di circa 300 ppm era quindi già un valore «a saturazione», e l’effetto serra non è aumentato elevando noi a 400 ppm la concentrazione di Co2, cosicché il clima resta ininfluenzato da queste aggiunte (naturalmente il clima è mutabile per altre ragioni, le stesse che lo hanno reso sempre mutabile). Se può servire un paragone: aggiungere acqua ad un secchio vuoto fa aumentare il volume dell’acqua finché si raggiunge il bordo del secchio, ma versare altra acqua oltre questo livello di saturazione non fa aumentare il volume d’acqua nel secchio; parimenti, aggiungere Co2 in atmosfera fa aumentare la temperatura del pianeta solo finché si è al di sotto del livello di saturazione.
In conclusione, la Co2 antropogenica nulla fa all’effetto serra, cioè nulla fa al clima: decarbonizzare la nostra fonte energetica è quindi un impegno sciocco. Tanto più sciocco in quanto è anche dannoso: la Co2 è il cibo delle piante, e aggiungerla in atmosfera fa bene all’ambiente; inoltre, rinunciare ai combustibili fossili comporta costi energetici elevati rendendo coloro che lo fanno poco competitivi al confronto di chi non fa quella rinuncia, con perdita di posti di lavoro tra i primi. Cioè noi italiani ed europei.
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Gilberto Pichetto Fratin (Ansa)
Il ministro Pichetto Fratin ha presentato ieri il disegno di legge che delinea un percorso per tornare ad avere energia dall’atomo. Linfa vitale per sostenere gli investimenti nel campo dell’Ia e non solo.
Bene. Era ora. Il disegno di legge sul nucleare è stato partorito. Sarà a breve inviato all’Aula e delinea un percorso di due anni (avremmo preferito meno, ma pazienza) per portare l’Italia di nuovo nelle braccia dell’atomo. L’unica fonte di energia che assomma i tre pilastri fondamentali del futuro e del sostegno all’industria.
Primo aspetto: il nucleare è pulito e non inquina. Oltre, nelle sue versioni di terza e quarta generazione, a essere sicuro. Secondo aspetto: è una fonte stabile che permette di ridurre i prezzi ed evitare al Paese che ne beneficia il cosiddetto carico di base. Cioè il flusso minimo da garantire e che, come tale, impatta pesantemente negli sbalzi di prezzo di fonti come il gas. Infine, terzo elemento, è la sovranità che si somma all’obiettivo della neutralità tecnologica. Significa, in parole povere, che il giorno in cui l’Italia tornerà ad avere l’atomo, avrà dal suo interno garantiti i fornitori di know how e dovrà molto meno dipendere da Paesi governati da banditi o dalla Cina, regina indiscussa delle rinnovabili. Se questi tre motivi ancora non convincono gli avversari del nucleare, è molto probabile che siamo di fronte a qualcuno in malafede o che ha interessi di natura specifica.
Per questo non si può che gioire per il ddl annunciato ieri dal ministro Gilberto Pichetto Fratin. Anche per il fatto che delinea un percorso razionale e un obiettivo numerico finale abbastanza importante. L’idea è quella di arrivare a gestire con l’atomo il 22% del fabbisogno totale. Una percentuale che va a riequilibrare le rinnovabili pur non accoppandole del tutto con il rischio di vedere l’Europa pronta a metterci i bastoni tra le ruote.
Nel dettaglio, il testo del ddl spiega che «assumono priorità, da un lato, l’elettrificazione dei consumi e, dall’altro, la progressiva decarbonizzazione della generazione elettrica, prioritariamente attraverso le fonti rinnovabili e, poi, per mezzo di altre fonti a bassa impronta carbonica tra cui, come riconosciuto a livello internazionale, l’energia nucleare, che rappresenta la fonte energetica più pulita (ovvero con le minori emissioni di CO2 per unità di energia generata, rinnovabili incluse) in grado di garantire una produzione di energia stabile e programmabile, indipendentemente dalle condizioni atmosferiche, a integrazione delle rinnovabili non programmabili».
In parole più semplici, al di là degli obiettivi quantitativi, il messaggio portante della futura legge è l’utilizzo che si farà dell’energia atomica. «La domanda energetica, soprattutto per i settori industriali in grado di elettrificare almeno alcuni dei loro processi produttivi, richiede fornitura di energia elettrica decarbonizzata in modo continuativo nel tempo», viene evidenziato, e «difficilmente questo servizio può essere fornito dalle sole fonti rinnovabili, caratterizzate intrinsecamente dalla non-programmabilità e dalla non completa prevedibilità della produzione, specie con riferimento all’eolico e al fotovoltaico». E, quindi, gli investimenti massicci previsti per l’Intelligenza artificiale e per i grandi poli di data base possono avere ritorni e sostenibilità finanziaria solo se a far girare la macchina è il nucleare. Il resto è fuffa raccontata dai pro green estremi. Certo, il percorso è solo all’inizio e il Paese tende a perdersi quando gli obiettivi sono di medio termine. Stavolta, però, c’è in ballo la sopravvivenza delle aziende. I vertici di Confindustria lanciano da mesi gli alert. Le bollette sono insostenibili. Per giunta gravate dal fardello (che vale 10 miliardi all’anno) degli oneri per le rinnovabili. La possibilità di fornire a singoli distretti industriali degli Smr (small modular reactor) può significare la svolta attesa. Innanzitutto perché si tratta di uno schema che marcia sulle economia di scala e, secondo, perché può permette di coinvolgere i privati, i cui investimenti sul nucleare erano un tabù.
A mettere nero su bianco la novità è anche in questo caso il ddl di Pichetto, secondo cui il «Programma nazionale per lo sviluppo del nucleare» dovrà anche «fornire la cornice per orientare le proposte dei privati finalizzate a ottenere i titoli abilitativi ed esercitare le attività nel settore». Non solo. «È prevista anche la definizione delle condizioni, dei criteri e delle modalità, anche mediante forme di sostegno finanziario, nel rispetto delle norme tecniche e degli standard di sicurezza previsti a livello nazionale, europeo e internazionale per abilitare soggetti, anche privati, alla sperimentazione sul territorio nazionale di tecnologie nucleari avanzate, dei criteri e delle modalità per l’individuazione di siti a ciò destinati». Una novità non da poco che riporta la questione al business e a chi ci si sta buttando sopra.
Da un lato abbiamo una newco che è formata da Enel (capofila), Leonardo e Ansaldo il cui compito ora è fare ricerca. E dall’altro una società privata, Newcleo, ben capitalizzata e sotto osservazione anche dei francesi, pronta a partecipare alla gara. Si tratterebbe di prodotti diversi, il rischio è che li si metta in competizione. Anche sull’atomo melius est abundare...
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