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Con Marina Terragni, garante per l'infanzia e l'adolescenza, parliamo del sistema di gestione dei minori e dei casi dolorosi di piccoli tolti alle famiglie.
Con Marina Terragni, garante per l'infanzia e l'adolescenza, parliamo del sistema di gestione dei minori e dei casi dolorosi di piccoli tolti alle famiglie.
Rinchiuso da 14 mesi in una casa-famiglia di Torvajanica per ordine del Tribunale dei minori di Roma, Luca in quella struttura ha perso la vista ed è dimagrito di almeno 11 chili. Ma ora la sua situazione si sta aggravando, se possibile, in modo ancor più preoccupante. Sua madre Laura R., che per ordine dei giudici non vede Luca da oltre 11 mesi, e che da due anni combatte una dura battaglia per riaverlo con sé, e almeno per proteggerlo, dice di avere appena ottenuto certificati da cui ha appreso che il figlio è affetto anche «da una gengivite acuta, da una linfoadenopatia laterocervicale bilaterale e da muco e pus nelle orecchie, oltre che da un’infiammazione delle alte vie respiratorie».
Laura, che alla fine di aprile aveva già denunciato per lesioni aggravate i responsabili della casa-famiglia, le assistenti sociali, due giudici del Tribunale dei minori di Roma e lo stesso sindaco della capitale, Roberto Gualtieri, è disperata: «La tutrice nominata dal sindaco», accusa Laura, «continua a mostrarsi incapace del suo delicato ruolo e continua a delegare l’accompagnamento del bambino alle visite mediche a educatrici della casa-famiglia, che non sono nemmeno in grado di rappresentare la sua situazione sanitaria e ignorano che, trattandosi di un bambino fragile che per le sue tante patologie assume farmaci importanti, è indispensabile che ai sanitari venga fornita una storia medica completa».
I lettori della Verità già conoscono la vicenda di questo sfortunatissimo bambino di otto anni. Da sempre Luca (il nome è di fantasia) soffre di epilessia e di cheratite oftalmica, patologie che richiedono continue terapie e visite specialistiche. Due anni fa i suoi genitori si separano bruscamente: Laura accusa il marito di maltrattamenti, e questo fa sì che Luca - pur restando all’inizio con la madre - venga affidato ai servizi sociali. La situazione precipita nel 2021, quando scoppia la nuova ondata di pandemia: Laura osa chiedere che i contatti con il padre si svolgano «in condizioni di sicurezza e con tutte le cautele sanitarie». Tanto basta perché le assistenti sociali, in una relazione al Tribunale minorile, la accusino di enfatizzare la gravità delle condizioni di Luca al solo scopo di ostacolare gli incontri con il papà, e chiedano di toglierle il bimbo.
È così che, nel luglio 2021, Luca viene prelevato dai carabinieri e chiuso nella casa-famiglia di Torvajanica, poco a sud di Roma. Ma la struttura non dispone di medici, così Laura si preoccupa ancora di più e inizia a chiedere con insistenza informazioni sulla salute del figlio. Nei collegamenti, che per il Covid si svolgono online, la donna nota che il bambino è sempre più sofferente per un distacco che non comprende, poi scopre che ha lividi sul corpo, che ha perso alcuni denti, che tiene gli occhi socchiusi, che ha difficoltà a respirare. Alle crescenti inquietudini di Laura, e alle sue continue richieste di aiuto, lo scorso ottobre i servizi sociali rispondono con la sospensione totale dei contatti con il figlio.
Da allora, però, la situazione di Luca continua a peggiorare. Alla fine di aprile a sua madre viene recapitata la terribile diagnosi di cecità parziale, che la spinge a presentare la denuncia. A scriverla per lei è l’avvocato Francesco Morcavallo, una vera autorità in questo campo: dal 2009 al 2013 è stato giudice nel Tribunale dei minori di Bologna, ma poi - per le anomalie che vi vedeva accadere e che inutilmente denunciava - ha abbandonato la toga. «È sconcertante», dice Morcavallo, «che dopo quattro mesi la magistratura penale non abbia dato la minima risposta a una domanda urgente di giustizia, che riguarda la salute di un bambino».
Oggi Laura denuncia che nella casa-famiglia, dopo gli occhi, il figlio rischia purtroppo di perdere anche i denti: «In 11 mesi», dice, «nessuno lo ha mai aiutato a lavarseli, e oggi si trova in una fase acuta di gengivite». La donna ricorda che negli ultimi incontri online aveva notato che Luca già aveva perso alcuni denti, e sottolinea che «in dicembre gli educatori erano arrivati a negare l’evidenza». Quanto alle linfoadenopatie, cioè la tumefazione delle ghiandole linfatiche del collo, Laura ipotizza siano «collegate alle infezioni e le infezioni sappiamo tutti che possono finire in setticemia... Il resto non voglio nemmeno pensarlo». Insomma, la donna teme che la vita del figlio sia a rischio.
All’inizio dell’estate, Laura e Morcavallo riponevano le loro speranze nell’udienza che la Cassazione aveva fissato per il 9 giugno. In quell’udienza i supremi giudici avrebbero dovuto decidere in via definitiva se l’allontanamento di Luca e il suo collocamento nella casa-famiglia fossero stati davvero giustificati. Purtroppo, anche dalla Cassazione non s’è più saputo nulla. Laura, comunque, non demorde e continua a chiedere al Tribunale dei minori che il figlio venga sottoposto il prima possibile a una visita medica alla presenza del suo avvocato. Finora, però, i giudici minorili romani si sono limitati a chiedere informazioni proprio alla casa-famiglia che la madre giudica inadeguata.
Alla battaglia della donna si sono affiancate una consigliera regionale laziale di Fratelli d’Italia, Francesca De Vito, e la senatrice Cinzia Leone, del Movimento 5 stelle, che in dicembre hanno incontrato Luca nella casa-famiglia. «Era disperato perché non gli facevano vedere la mamma», dice la De Vito, convinta, sulla base di sue indagini, che la retta di Luca superi i 3.000 euro mensili. E annuncia una nuova battaglia: «La Regione mi ha risposto che non ne sa nulla», dice, «ma da domani ne riparleremo in consiglio regionale».
«Il neo partito gay va a far visita alle case famiglie per indottrinare i bambini. Ma per gli assistenti sociali e i giudici minorili la campagna "Dalla parte di tutte le famiglie" lanciata dal movimento partitico degli LGBTQI+ che prevede la visita in diverse case-famiglia di un Babbo Natale Rainbow è a loro tutela? E come è possibile che ci siano fior fiore di volontari lasciati fuori dalle porte a causa dell'emergenza Covid, per evitare giustamente contatti e pericoli inutili, e che queste persone riescano ad entrare e ad avvicinarsi così facilmente? Giù le manacce dai bambini subito» ha tuonato con una nota Pro Vita e Famiglia onlus, sottolineando l'inaccettabile intenzione del movimento di arrivare a sensibilizzare attorno al tema delle adozioni per coppie LGBTQI+ strumentalizzando i bambini ospiti nelle strutture destinate all'accoglienza di minori con difficoltà familiari alle spalle.
«Ci attiveremo immediatamente - ha aggiunto il vice presidente della onlus Jacopo Coghe - per fermare questa vergognosa campagna arcobaleno nella case famiglie. L'istituto dell'adozione serve a restituire ad un bimbo ciò che una tragedia ha tolto: mamma e papà. Non nasce per dare un figlio a chiunque lo voglia: non stiamo al mercato! Noi pensiamo che, se non in pochissimi casi, le istituzioni dovrebbero aiutare i genitori in difficoltà, non strappare loro i figli, se non in pochissimi casi ineluttabili».
Norme più stringenti contro i conflitti d'interesse. A stragrande maggioranza, il plenum del Consiglio superiore della magistratura ha approvato ieri una circolare che stabilisce nuove regole per la nomina dei futuri giudici onorari nei 29 Tribunali per i minori italiani. È un passo importante, che dovrebbe porre un freno a decisioni dettate da motivi diversi dalla tutela di bambini e adolescenti. La nuova circolare è frutto di una proposta presentata in gennaio dal consigliere laico del Csm Stefano Cavanna, avvocato civilista genovese e vicino alla Lega, ma ieri ha trovato ampio consenso.
Una legge del 1934 stabilisce che nei tribunali minorili, accanto ai magistrati di professione, debbano operare i «giudici onorari», cioè tecnici di altre materie: psicologi, avvocati, psichiatri, esperti di pedagogia, biologia e sociologia o antropologia criminale. Nominati dal Csm in base a 29 graduatorie, una per tribunale, i giudici onorari minorili durano in carica per un triennio, rinnovabile, e hanno un ruolo cruciale per due motivi: perché in totale sono oltre mille contro circa 200 magistrati di professione e perché nelle camere di consiglio che decidono sulla sorte dei minori hanno lo stesso peso dei colleghi togati. I giudici onorari, insomma, incidono profondamente su ordinanze e sentenze, perché in ogni tribunale per i minori le corti si compongono di due giudici togati e due onorari, mentre nelle corti d'appello sono formate da tre togati e due onorari.
È almeno dal 2015, però, che la giustizia minorile è attraversato da forti polemiche, confermate nell'estate 2019 con l'emersione dello scandalo sui presunti allontanamenti illeciti dei bambini di Bibbiano. Cinque anni fa, davanti alle frequenti segnalazioni di genitori, l'associazione «Finalmente liberi», una onlus guidata dall'avvocato veronese Cristina Franceschini, aveva scoperto che oltre un quinto dei giudici onorari minorili italiani si trovava in palese conflitto d'interessi: 220 di loro collaboravano con una comunità o lavoravano alle dipendenze di una casa-famiglia; ma in certi casi l'avevano addirittura fondata, oppure ne erano soci. Insomma, a decidere sugli allontanamenti dei bambini, e sull'affido a una struttura dell'accoglienza, era troppo spesso un giudice che poteva trarne un vantaggio, diretto o indiretto.
Nel 2015 il Csm aveva già varato una circolare che proibiva quei conflitti d'interessi, ma la norma è rimasta in gran parte inapplicata: da allora, infatti, molti aspiranti giudici onorari si sono limitati a cancellare dal curriculum ogni legame con le case-famiglia; altri si sono formalmente liberati da ogni tipo di collegamenti prima di partecipare al concorso, per poi riannodarli dopo aver ottenuto la nomina in un tribunale minorile. Il fenomeno è diffuso. Ancora un mese fa, per esempio, la commissione d'inchiesta istituita dalla Regione Piemonte ha scoperto che, su 36 giudici onorari attivi nel tribunale dei minori di Torino, 12 si troverebbero in conflitto d'interessi. Nel pieno dello scandalo di Bibbiano, nell'agosto 2019, il giudice onorario Elena Buccoliero è stata indotta a dimettersi dal tribunale dei minori di Bologna perché le è stato rimproverato un possibile conflitto d'interessi in quanto si trovava contemporaneamente alla guida della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime di reato, oltre che dal fatto che le intercettazioni disposte dalla Procura di Reggio Emilia avevano fatto emergere l'esistenza di rapporti con alcuni degli indagati.
La circolare approvata ieri dal Csm, finalmente, chiude il cerchio e soprattutto stringe molte viti. Stabilisce che «i requisiti per la nomina a giudice onorario minorile devono permanere per tutto il periodo di svolgimento dell'incarico» e obbliga il giudice onorario a comunicare «immediatamente» al presidente del tribunale «ogni situazione che possa incidere sulla permanenza dei requisiti per la nomina». Spetta comunque allo stesso presidente «vigilare sul rispetto della normativa in materia di incompatibilità dei giudici onorari» e l'adozione di «tutte le misure necessarie a evitare situazioni di potenziale conflitto di interessi».
La responsabilità dei 29 presidenti dei tribunali minorili ieri è stata decisamente rafforzata dal Csm, che ha approvato due emendamenti proposti entrambi da magistrati: il primo, firmato dal consigliere togato Giovanni Zaccaro di Area (la corrente di sinistra), impedisce che il compito di vigilanza possa essere delegato a un altro magistrato; il secondo, presentato da Ilaria Pepe, un'altra togata eletta per Autonomia & indipendenza (la corrente fondata da Camillo Davigo), stabilisce che il puntuale adempimento di questo compito debba concorrere ai criteri di valutazione per la carriera del magistrato-presidente e per la sua conferma nel ruolo di dirigente.
La nuova circolare ha cancellato anche il diritto di scegliere candidati in deroga alle graduatorie, che prima era concesso al presidente del tribunale dei minori: nel caso di una carenza di aspiranti giudici onorari appartenenti a una determinata categoria (per esempio gli psicologi), il presidente poteva scegliere altri candidati, attingendo a suo piacimento dalle graduatorie. «Era un sistema discutibile», dice Cavanna alla Verità, «che minava la credibilità del concorso». Sarà invece la commissione valutatrice, in via preliminare, a stabilire le «figure affini» cui fare ricorso nel caso in cui dagli elenchi dei candidati idonei manchino certe qualifiche professionali. Ogni arbitrio dovrebbe cessare.

