La notizia era nell’aria: con 17 voti favorevoli, due contrari (il Cagliari di Giulini e la Salernitana di Iervolino) e un astenuto (Aurelio De Laurentiis del Napoli, che si è dimostrato voce tra le più critiche sull’accordo), la Lega di Serie A ha fissato i parametri di assegnazione dei diritti tv per i prossimi cinque anni di campionato di calcio. Fino al 2029 la Serie A continuerà a essere trasmessa da Dazn e Sky con un’offerta di circa 900 milioni di euro annui. La distribuzione non cambia: 10 partite della giornata su Dazn, con sette esclusive e tre co-esclusive con Sky il sabato alle 20.45, la domenica alle 18 e il lunedì alle 20.45, oltre alla sintesi di tutti i confronti. Da notare anche una differenza non trascurabile: rispetto al ciclo attuale, la pay tv con sede a Santa Giulia, quartiere di Milano, si aggiudica 4 cosiddetti big match per ogni stagione, ottenendo pure il secondo pick (in buona sostanza, la possibilità di scegliere per seconda) 30 volte su 38 giornate, tutte tranne le prime quattro di andata e le prime quattro di ritorno. Significa trasmettere le sfide più appetibili per il pubblico in 30 giornate su 38. Sky ha di che essere soddisfatta. Può accaparrarsi gli incontri di cartello come i derby e i match tra le squadre più forti del torneo, non scordando che detiene anche i diritti sulle coppe europee e sta potenziando con un abbondante dispiego di mezzi la focalizzazione sugli altri sport, dalla pallacanestro alla Formula 1, non scordando il tennis e il rugby. Insomma, pur non conservando il primato sui diritti del campionato, la tv di proprietà Comcast si destreggia con ottimi risultati, diversificando la proposta agli spettatori, tra sport e intrattenimento. Ma si diceva delle cifre dell’operazione. Con una media di 900 milioni di euro a stagione nel corso degli anni, rispetto ai 927 attuali, le società andranno a incassare un po’ meno di oggi nel primo biennio, puntando a una crescita dal terzo anno in poi fino al quinto. I club saranno pure partner nella condivisione dei ricavi di Dazn. Riceveranno la revenue sharing - la condivisione degli utili - sull’incremento degli abbonamenti della tv in streaming. Vuol dire che Dazn garantisce alle società il 50% dei ricavi totali una volta superata la quota dei 750 milioni di incasso. L’alternativa praticabile era creare un canale di Lega con l’intervento di fondi esteri, ma gli orizzonti progettuali tracciati dai blasoni più popolari d’Italia, soprattutto Milan, Inter e Juventus, hanno disinnescato l’eventualità. L’assemblea, nonostante una certa omogeneità di fondo nella votazione, non è stata del tutto rilassata. Da una parte, l’amministratore delegato di Lega Serie A Luigi De Siervo circostanziava la sua soddisfazione: «La difficoltà era raggiungere certi obiettivi in un mercato taglieggiato dalla pirateria. Abbiamo cercato di ottenere il massimo con tutte le verifiche, questa è stata la migliore condizione economica possibile. Inoltre, grazie alla condivisione dei ricavi con Dazn, gli utili per la Lega potrebbero superare di gran lunga quelli del triennio precedente e raggiungere il miliardo di euro». Ma la conferenza è stata interrotta dall’intervento del patron del Napoli, De Laurentiis, grande oppositore del progetto, fino all’ultimo impegnato a convincere i colleghi a cambiare idea e rinviare il voto: «È una sconfitta del calcio italiano, con questa offerta il pallone morirà», ha detto. Il presidente partenopeo caldeggiava l’idea di sviluppare una piattaforma per vendere in autonomia i diritti del campionato nazionale ai consumatori, senza passare per altri canali. Il suo ragionamento è di natura strettamente economica. Se confrontati con i ricavi della Premier League, attualmente a un anno e mezzo di vita dal suo triennio di assegnazione, l’accordo siglato dalla Lega di Serie A vale circa la metà di quello del campionato inglese, sebbene lo spettacolo in campo non sia così impari per valori e seguito. Urbano Cairo del Torino ha pungolato il collega campano: «Stimo Aurelio, ma non sono d’accordo con lui. Il canale di Lega resta un progetto affascinante, ma in un mercato così complesso non potevamo aggiungere ai rischi d’impresa del calcio quelli del canale. L’offerta è leggermente inferiore, ma potrà presto eguagliare e poi superare quella del triennio precedente». Claudio Lotito della Lazio gongola: «La vittoria non è mia, ma della Lega e del calcio italiano. De Laurentiis non era contento, purtroppo siamo 20 presidenti e non si riesce a creare l’unanimità. Non ha partecipato al voto, ne abbiamo preso atto. Non è un’offerta statica, è dinamica, dà tranquillità al sistema a cui si aggiungeranno altri ricavi che risulteranno importanti per le società. Come in tutte le cose bisogna trovare il punto d’incontro». Per i prossimi cinque anni la direzione intrapresa è quella tracciata ieri, sebbene cinque anni nel mondo del pallone somiglino a un’era geologica, e chissà che cosa possa riservare il futuro dal 2030 in poi, soprattutto alla luce delle concorrenze sconsiderate del mercato arabo sui singoli campionati d’Europa.
Il 5 maggio i club si riuniscono per iniziare la discussione sul triennio 2024-2027. A metà maggio è atteso il bando: la Lega punta a un miliardo. Sky e Dazn potrebbero spartirsi nove match in co-esclusiva con il decimo assegnato a un terzo player (Mediaset o Amazon). Ipotesi canale di Lega ancora viva con tivùsat sullo sfondo.
L’appuntamento è per venerdì 5 maggio alle 12 a Milano. I presidenti (o i delegati) delle società della Serie A si riuniscono di nuovo in presenza per prendere alcune decisioni cruciali per il futuro del calcio italiano.
Al centro della discussione ci sono sempre loro: i diritti televisivi. Prima fonte di introiti e anche di polemiche per i belligeranti patron dei club della massima serie.
L’assemblea dovrà scegliere il nome dell’advisor che valuterà le offerte arrivate da fondi e banche. In ballo ci sono una decina di offerte che variano molto sia per l’entità economica che per la struttura. Da una parte quelle dei fondi: si sono già mossi i private equity come Apollo, Apax, Carlyle, Three Hills Capital Partners, Searchlight e buon ultimo Oaktree (che ha giù un prestito in ballo con l’Inter) che secondo quanto riferito dalla Reuters ha messo sul piatto 1,75 miliardi di dollari per il 5% della newco. Dall’altra ci sono le banche Citi, Goldman Sachs, JP Morgan, Barclays e Jefferies. I primi chiederebbero di avere un ruolo anche nella futura governance dei diritti televisivi, le seconde invece sarebbero attive con un ruolo solo finanziario. Serve, insomma, una società terza che aiuti la Lega a valutare l’offerta migliore. Dopo una prima selezione nella short list sono rimasti in sei: Citi, Lazard, Rothschild, Goldman Sachs, Morgan Stanley e Center View Partners.
Quel che è certo, al momento, è che il nuovo bando non potrà contenere un importo inferiore ai 927,5 milioni, cifra messa sul piatto tre anni fa per la copertura del triennio 2021/2024. L’obiettivo della Lega resta quello di racimolare almeno 1 miliardo all’anno dai diritti interni per la Serie A, mentre sarà da definire la durata, che potrà variare dai tre ai cinque anni. Oltre alla scelta dell’advisor per le offerte dei fondi all'ordine del giorno ci sono l'invito a offrire per i diritti tv del campionato di Serie A, le attività della Lega all'estero e calcio femminile. Si lavorerà sui diversi pacchetti da mettere sul mercato per massimizzare le entrate. Una delle possibilità, nel tentativo di ottenere maggiori introiti, è quella di vendere nove partite su dieci sia a Sky sia a Dazn, che evidentemente poi si faranno concorrenza sul mercato trasmettendo i match in co-esclusiva. In questo modo resterebbe da assegnare la decima partita, presumibilmente il big match di giornata, che andrà comunque su una emittente diversa: in ballo ci sarebbe un terzo player che potrebbe essere uno tra Mediaset e Amazon. Il punto è che sia Sky che Dazn sono per motivi diversi in difficoltà ed è quindi quasi impossibile che possano arrivare a offrire le stesse cifre dell’ultimo triennio: 927,5 milioni all’anno per tre anni. Allargando la torta a entrambe il discorso cambierebbe. In virtù anche dell'esperimento portato avanti con successo dalla Serie B nell'ultimo triennio. Un esperimento votato alla non esclusività - con Sky, Dazn ed Heilbiz a trasmettere le partite del campionato cadetto - che ha fatto sì che quasi raddoppiare i ricavi da 26,7 a 50 milioni di euro.
Il bando sarà pubblicato a metà maggio ed è probabile che i broadcaster avranno circa un mese di tempo per consegnare le offerte. Se le buste non raggiungeranno le aspettative si andrà avanti con le trattative private. Se anche le trattative private non avranno l’esito sperato a settembre potrebbe prendere corpo il progetto del canale della Lega.
Un progetto di cui si parla già da qualche anno ma che non è riuscito ancora a decollare. Tra i profili interessati a quest'opportunità si è fatta avanti recentemente tivùsat. La piattaforma radiotelevisiva satellitare fondata nel 2009 da Rai e Telecom Italia si è esposta direttamente per voce del suo presidente Alberto Sigismondi: «Se si dovessero creare le condizioni per trasmettere il campionato nei prossimi anni, ospitando sulla nostra piattaforma il canale della Lega di Serie A, perché dire di no. Noi siamo pronti». Ma non è tutto qui. Perché anche nel caso non si riuscisse a portare a compimento il progetto del canale di Lega, il numero uno di tivùsat ha lasciato comunque aperte le porte al dialogo con i player che si aggiudicheranno i diritti televisivi, qualora il bando o le trattative private abbiano buon esito: «Comunque vada il prossimo bando, e quindi anche se non dovesse nascere il canale della Lega di Serie A, tivùsat rimane un perfetto veicolo sul satellite per i player che si dovessero aggiudicare i diritti tv delle partite e che vogliono raggiungere, anche con il 4K, ogni angolo del Paese» ha aggiunto Sigismondi.
Una partita, quella dei diritti tv, che influirà e di parecchio sui conti delle società, considerando che da ormai 20 anni la voce «diritti tv» costituisce la più cospicua fonte di guadagno dei club. Soldi che vengono distribuiti alle 20 squadre della Serie A - secondo quanto stabilito dalla legge Melandri - in base ai posizionamenti in classifica negli ultimi anni, all'audience televisiva di ogni singola partita e dal numero di tifosi presenti allo stadio. Oltre a questo una quota viene spartita in misura uguale. Nella stagione in cui il calcio italiano è tornato a recitare un ruolo da protagonista in Europa, tornare a essere competitivi e appetibili come gli altri grandi campionati come Premier League, Liga e Bundesliga, sarebbe un grande risultato.
Su una premessa sono tutti d’accordo: il calcio italiano è seduto su un tesoro che vale miliardi di euro, eppure dopo anni di parole a vuoto, liti e anche contenziosi legali nessuno ha avuto la forza di alzarsi e portare alla luce questo forziere. Quanto davvero valga lo scrigno del pallone è difficile dirlo, ma ci sono dei numeri che danno una fotografia impietosa dell’occasione fino a questo momento persa: nel biennio 2010-2011 (come dimostra la tabella che pubblichiamo) la Premier league incassava dai diritti televisivi 1,3 miliardi di euro contro i circa 950 milioni della nostra Serie A.
Poco più di dieci anni dopo il campionato inglese di miliardi ne porta a casa più di 4 e noi siamo fermi a quota uno. Fermi appunto, perché nel frattempo il resto d’Europa si è messo a correre e ci ha superato. La Spagna è passata da 680 milioni a quasi un miliardo e 900 milioni, triplicando gli introiti. Così come la Bundesliga.
Morale della favola: da seconda forza economica d’Europa, l’Italia si è ritrovata in quarta posizione con tutto ciò che ne consegue in termine di capacità di spesa soprattutto sul mercato dei calciatori. E quindi se oggi i vari Haaland e Vinicius possiamo ammirarli solo pagando i diritti a Premier e Liga non c’è da stupirsi. Un dato su tutti, nell’ultima stagione la squadra italiana che ha incassato di più dai diritti è l’Inter con 84 milioni, mentre l’ultima inglese, il Norwich City, ne ha presi 116.
Certo, non tutto dipende dalle tv ma nell’incapacità di valorizzare il prodotto calcio pesano tanti altri fattori, dalla fantozziana saga degli stadi di proprietà alla lotta infruttuosa alla pirateria. A proposito: dopo tanta maretta l’iter di approvazione della legge che punta a reprimere la pirateria audiovisiva a firma anche del presidente della commissione Cultura alla Camera Federico Mollicone è a buon punto. Il calcio ci rimette 300 milioni all’anno, recuperarne anche una parte rappresenterebbe una svolta. Uno degli obiettivi è quello di disincentivare con pene più severe «gli evasori» e chiudere subito - entro 30 minuti - i vari siti pirata senza attendere l’assenso dei giudici. E stavolta sembra si possa arrivare a dama in tempi brevi.
Il punto è capire che ci troviamo di fronte a una tornante storico per il futuro dell’industria calcio. Nonostante l’impressionante gap economico, infatti, nella massima competizione europea, la Champions League, troviamo a quarti di finale tre squadre italiane (Napoli, Inter e Milan) su otto. Un miracolo sportivo e non sfruttare il volano di appeal e interesse che se ne può trarre sarebbe delittuoso. La palla adesso passa all’assemblea della Lega che il 31 marzo si troverà a prendere una decisione sul bando per i diritti tv che dovrebbero riguardare il quinquennio 2024-2029. Dazn e Sky non sembrano pronte a svenarsi e potrebbero presentare offerte più basse rispetto ai 940 milioni messi sul piatto all’ultimo giro. Le cifre che circolano non supererebbero i 700 milioni. Ma il salto di qualità bisogna farlo sui diritti venduti all’estero, vero tallone d’achille per le casse del calcio italiano.
Sul piatto ci sono nove proposte. Si parte dai fondi Searchlight, Apollo, Apollo/Relevent e Carlyle/Apax/Three Hills e si arriva ai 5 piani presentati da Jp Morgan, Goldman Sachs, Citi, Barclays e Jefferies. Secondo quanto appreso dalla Verità le offerte oscillerebbero tra uno e due miliardi per una percentuale da decidere comunque di minoranza e non inferiore al 10% di una costituenda media company della Lega. Sui dettagli nessuno si sbilancia, sembra che restando tra i fondi le proposte di Apollo abbiano un certo appeal. In generale comunque la partecipazione delle banche riguarderebbe l’immissione di liquidità, quella dei fondi anche il patrimonio e la governance. Non sembra avere grande seguito, comunque, l’ipotesi di cui ha parlato anche l’ad della Lega Luigi De Siervo di usare i finanziamenti per creare un canale della Lega, acquistare Sky o un’altra piattaforma. I presidenti ovviamente sono divisi.
«Questo è il momento di prendere delle decisioni» , spiega il presidente della Salernitana Danilo Iervolino alla Verità, «non possiamo perdere altro tempo o rischiamo di far naufragare il calcio italiano. Io sarei per indire una gara e negoziare “al coltello” tutte le condizioni finanziarie e di governance valutando sia le proposte di finanziamento che quelle di ingresso nell’equity. Parliamo sempre di partecipazioni di minoranza di una costituenda Media Co, ma di condizioni che potrebbero portare un paio di miliardi nella casse del calcio italiano. Un’occasione unica per mettere il sistema definitivamente in sicurezza. Davvero non capisco quali siano le resistenze». E il numero uno del club ha le idee chiare anche sul processo che dovrebbe partire il prima possibile. «Aprirei un tavolo di contrattazione con una commissione composta da non più di tre delegati che avrebbero il compito di valutare le offerte di banche e fondi. Se alla prossima assemblea la Lega facesse capire che questa è la strada che intende perseguire sono convinto che arriverebbero anche altre offerte probabilmente migliorative rispetto a quelle attuali. Abbiamo l’esempio di Liga e Ligue 1 francese che aprendo la gestione dei diritti ai fondi hanno moltiplicato i ricavi».
La vede in modo diametralmente opposto il presidente della Lazio Claudio Lotito: «Guardi», sottolinea interpellato dalla Verità, «nello sport come nella vita non esistono solo i soldi, ma anche i valori. Il calcio italiano ha bisogno di pianificare e di ragionare nell’ottica del lungo periodo e quella dei fondi è una visione di breve periodo, una visione di mordi e fuggi, di massimizzazione dei profitti nell’immediato. Lei mi chiede perché non andare a vedere cosa c’è sul piatto? Io le rispondo che i fondi non li abbiamo invitati noi ma si sono auto-invitati e quindi che non c’è nessun obbligo di andare a vedere. Detto questo, io ragiono nella logica dell’associazione temporanea di impresa. Se c’è un soggetto disposto a finanziare un progetto senza intervento sul patrimonio ma in un’ottica di ricevere una percentuale di un’eventuale utile allora si può discutere, altrimenti io non vedo margini. Del resto se come lei mi dice ci sono così tante offerte, vuol dire che il prodotto vale. Non esistono solo i diritti tv, nel calcio ci sono tanti altri problemi: dalla lotta alla pirateria alla questione degli stadi di proprietà rispetto ai quali mi sono sempre battuto in prima persona, sono i veri valori aggiunti dei ricavi e del sistema calcio nel suo complesso».
Le posizioni sono all’apparenza inconciliabili e in mezzo ci sono presidenti più schierati (Fiorentina, Napoli e Milan sono vicine alla posizione di Lotito, mentre le piccole sposano la linea Iervolino e Galliani valuta con attenzione le proposta delle banche) e tanti indecisi. L’impressione in generale è che i grandi club temono che l’ingresso dei fondi possa rendere più “egualitaria” la distribuzione dei diritti televisivi e quindi togliere loro risorse. Se la torta diventa più grande, la fetta aumenta per tutti. È vero anche che il calcio va inteso pure come impresa «sociale» a favore degli sport minori, aspetto su cui i fondi sono forse lontani. «Siamo davanti a due “animali”, la finanza e il mondo del calcio, profondamente diversi», evidenzia Riccardo Rosa, responsabile italiano settore sport di Kpmg che ha assistito Advent nel precedente tentativo, poi andato male, portato avanti dai private equity internazionali, «quindi oggettivamente dei rischi esistono. Due anni fa, svolta la due diligence, sembrava essere arrivati alle firme, poi saltò tutto. E comunque, l’esempio del Paris Saint-Germain ci dimostra che non sempre l’ingresso di finanza (il fondo del Qatar) priva di cultura calcistica porta benefici. Ma su una cosa possiamo essere tutti d’accordo: il calcio italiano ha enormi potenzialità inespresse. L’apporto e la diversificazione di professionalità e anche una rivisitazione della governance aiuterebbero a far emergere questo valore».
Tra veline, veleni e virus di ritorno, «una tegola a ciel sereno» per il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, con una variante meteorologica del modo di dire. Il mondo del calcio è alle prese con un derby (finanziario) dall'esito incerto. In palio: la sopravvivenza economica, visto l'indebitamento complessivo. Basti pensare che il blog di finanza sportiva Swiss Ramble, sulla base del report della società di revisione Deloitte, ha assegnato il quarto posto in Europa - dopo Tottenham, Manchester United e Barcellona (tutte in «rosso» per più di 1 miliardo di sterline) - alla Juventus come prima delle italiane, con 880 milioni di euro, a seguire: Inter, Roma e Napoli.
Stato comatoso aggravato dalla pandemia: «Mancano più di 500.000.000 di ricavi per la Serie A», ha rilevato Luigi De Siervo, amministratore delegato della Lega.
Quindi: accettare o meno i doni dei Re Magi, i fondi d'investimento pronti a pompare miliardi nella massima serie?
In cambio chiedono di diventare soci - pluridecennali - dei presidenti delle società, in una costituenda media company con una partecipazione al 10%, che si tradurrebbe in una tranche immediata per i club che balla intorno al miliardo e mezzo di euro, una manna per chi è alla canna del gas.
Manco per niente, replica un interlocutore che pretende l'anonimato: «Noi gli diamo un dito su 10, ma quelli si prenderanno mani e braccia; facciamo cassa, ma ipotechiamo il futuro del calcio italiano».
Per questo è in atto una dura battaglia, anche a colpi di velenose «veline».
Per capirci: Marco Bogarelli, da sempre dipinto come «l'anima nera» dietro al business del calcio tricolore, ha dovuto ricordare, tramite avvocati, di non aver mai subito un processo, ma solo un'indagine della Procura di Milano archiviata nel 2018 (su richiesta della stessa accusa). E che quando lui era a capo di Infront - la società che commercializzava i diritti tv del calcio - in qualità di advisor della Lega ha contribuito, dal 2009 al 2019, all'incremento del 91% dei suoi incassi, da 720.000.000 di euro a 1.370.000.000.
Perché allora l'hanno messo in mezzo?
Perché Bogarelli era schierato - in occasione del precedente rinnovo dei diritti di sfruttamento tv delle partite- con gli spagnoli di Mediapro, che finirono tagliati fuori (l'esclusiva andò a Sky e a Dazn) e per questo hanno in piedi un contenzioso con la Lega.
E quindi? Semplice. A prescindere dal patron della Lazio Claudio Lotito, che sta facendo di tutto per opporsi all'ingresso dei «mercanti nel tempio» (da ultimo starebbe ragionando sulla proposta di un'associazione temporanea d'impresa), all'operazione sono favorevoli sia i vertici della Lega, De Siervo e il presidente Paolo Dal Pino, sia tre società di peso come Juventus, Inter e Milan.
Sul tavolo sono rimaste le proposte di due cordate di private equity: da un lato Cvc-Advent-Fsi, dall'altro Bain Capital con Neuberger Berman, soggetti questi ultimi in rapporti proprio con Mediapro, e quindi, si suppone, con Bogarelli.
Da qui la disinformatija, con annessi schizzi di fango.
In realtà, c'è una cornice legale da cui non si può prescindere, tanto che - a quanto consta alla Verità - Dal Pino e De Siervo avrebbero richiesto un parere allo studio dell'eminente avvocato Guido Alpa (mentore in passato dell'attuale presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ma trattasi di dettaglio sicuramente ininfluente).
Anche il fronte avverso allo sbarco dei fondi, però, si è rivolto a prestigiosi legali, che hanno predisposto un «documento riservato e confidenziale» da noi letto, che ricorda come la Federcalcio (il campionato dipende dalla Lega, ma su delega della Figc) abbia per statuto il diritto-dovere di valutare se il progetto «è conforme alle norme di legge e di regolamento».
In particolare alla cosiddetta «legge Melandri» del 2008, che regola la cessione dei diritti audiovisivi sul calcio.
Ora, come non vedere - è questa la tesi - che la nascita di una media company partecipata dai fondi provocherebbe «la spoliazione, il decremento o la sterilizzazione dei poteri e delle prerogative» dell'assemblea dei presidenti di Lega, cui la legge riserva competenza esclusiva in materia?
Anche perché i fondi non sarebbero partner afoni, vorrebbero influire sulla governance. Ma la nota segnala che se ad essi, in forza del loro 10%, fosse assegnato un controllo «congiunto» sulla nuova società, essa di fatto si trasformerebbe in «un soggetto terzo che commercializzerebbe i diritti di cui la serie A è contitolare» (con le società), il che non è consentito dalla legge Melandri.
Infine, last but not least, l'operazione sarebbe macchiata dalle finalità speculative, proprie dei fondi, che nulla hanno a che vedere con il tema della cosiddetta «mutualità», principio cardine statuito sempre dalla Melandri (negli anni variamente modulato: la serie A «aiuta» economicamente la serie B, i club più ricchi quelli meno blasonati), che passerebbe in cavalleria come effetto collaterale.
Perché il nuovo soggetto giuridico finirebbe per disporre «illimitatamente di un bene la cui titolarità non è cristallizzata», dato che la fisionomia del campionato cambia ogni anno per il meccanismo di promozioni e retrocessioni.
È quanto sostenuto da Adriano Galliani, amministratore delegato del Monza in serie B, che annuncia le barricate: «La Serie A è una lega aperta, non chiusa all'americana. La media company è al 100% di proprietà della Lega, quindi se vende una quota i ricavi se li tiene in pancia e non può ripartirli tra le singole società come fa per quelli dai diritti tv. I club della stagione 2020-2021 sembrano invece convinti che sia cosa loro».
Si sbagliano? «Sì, non possono cedere una quota di una società che ogni anno, tra promosse e retrocesse, cambia il 15% dei soci e spartire il prezzo fra i club che quest'anno si trovano per caso a militare in Serie A».
Fischio al 90°: «I club di Serie A pensano di aver vinto alla lotteria, ma è una follia che sarà stoppata in ogni sede». Si va ai supplementari.
Tra covid e ritardi del tribunale di Milano, Sky deve ancora 130 milioni alla Lega calcio
- Il colosso televisivo non ha ancora pagato l'ultima rata, nonostante siano state trasmesse le ultime partite del campionato. Di mezzo c'è una battaglia legale che continua da fine maggio, ma adesso il rischio è che quei soldi potrebbero arrivare a gennaio
- Proseguono le trattative intorno al futuro dei diritti televisivi. Il 9 settembre è prevista l'assemblea in via Rosellini, ma la questione si intreccia anche con la rete unica
Lo speciale contiene due articoli
Mentre la Lega di Serie A aspetta il 9 settembre per l'assemblea che dovrebbe decidere la gestione dei diritti televisivi dei prossimi 10 anni, si sono ormai perse le tracce di 130 milioni di euro che Sky deve ancora al nostro campionato. Come nel Processo di Franz Kafka, infatti, da maggio nel tribunale di Milano langue il decreto ingiuntivo che le squadre di calcio avevano promosso contro il colosso televisivo. Sono passati 4 mesi e, nonostante la sentenza del 7 luglio dove vengono riconosciuti i diritti delle nostre squadre di calcio, tutto continua a procedere a rilento. Anzi, c'è il rischio che se dovessero sopraggiungere nuovi provvedimenti di emergenza da parte del governo i soldi potrebbero arrivare a gennaio del 2021. Tanto che tra i presidenti dei club di A c'è chi sostiene che il ministero di Grazia e Giustizia si sia interessato dei ritardi del pagamento, anche perché il calcio è una delle industrie più importanti in Italia, capace di fatturare nell'ultimo anno circa 2,5 miliardi di euro.
Per di più Sky a luglio ha trasmesso le partite del campionato, quindi in teoria avrebbe già dovuto saldare l'ultima rata bimestrale. Quindi tutte le spettanze della scorsa stagione sono state pagate dai club e Sky si rifiuta ancora di pagare per un prodotto che ha trasmesso. Quindi la Lega attende ancora il pagamento del saldo. Per di più l'alibi dei minori ascolti ottenuti dopo la ripresa (che oggettivamente ci sono stati) non regge, però, perché complessivamente gli ascolti della Serie A su tutta la stagione sono in linea con quella precedente
La vicenda è complessa, di mezzo ci sono stati i problemi per l'emergenza sanitaria e lo slittamento delle partite di calcio, ma anche il tribunale di Milano, noto per la sua efficienza, non ha brillato.
A fine maggio mentre il campionato era ancora fermo, i legali di via Rosellini (avvocati Romano Vaccarella e Mariacarla Giorgetti incaricati dal presidente Paolo Dal Pino) presentano un ricorso per il mancato pagamento da parte di Sky dell'ultima ratqa. La scadenza era prevista per il primo del mese. La piattaforma televisiva aveva spiegato le proprie ragioni in una lettera di fine aprile dove faceva riferimento «all'incertezza» della situazione dovuta all'emergenza sanitaria (quindi la mancata ripresa del campionato e la mancata trasmissione delle partite) e chiedeva che la somma venisse decurtata dagli accordi precedenti.
I legali di Dal Pino, però, contestano il mancato rispetto delle clausole del contratto che consentono alla sola Lega Calcio il diritto di modificare il format del campionato. In pratica, secondo gli accordi le squadre di calcio hanno anche il diritto di aumentare o diminuire il numero dei partecipanti, o di spostare le partite in programma o ancora di estendere la durata della stagione sportiva, mentre Sky è obbligata a trasmettere e soprattutto a saldare il pagamento pattuito. A Dazn e Img è stato concesso di ritardare il pagamento, ma non si sono rifiutati mai di pagare.
Per di più nel contratto viene scritto nero su bianco che «il pagamento del corrispettivo non può essere sospeso o ritardato da pretese o eccezioni del Licenziatario qualunque ne sia il titolo ed ancorché oggetto di contestazione in sede giudiziaria». Ed è una postilla fondamentale, soprattutto in un periodo di emergenza sanitaria con gli stadi vuoti e le squadre a secco di introiti del pubblico pagante. Non a caso, dopo un tira e molla di quasi due mesi, il tribunale di Milano non può che confermare le richieste della Lega. La sentenza è dell'8 giugno, ma viene depositata il 6 luglio. Si legge che Il giudice Stefano Tarantola, «letto il ricorso per la concessione di decreto ingiuntivo depositato dalla Lega nazionale professionisti serie A rilevato che dai documenti prodotti il credito risulta certo, liquido ed esigibile; rilevato in particolare che sussiste prova scritta delle obbligazioni contrattuali di pagamento assunte, rispettivamente, dalle società intimate, non risultando dagli atti cause estintive o di inesigibilità di tali obbligazioni», ingiunge «a Sky di pagare, in solido, alla parte ricorrente per le causali di cui al ricorso, entro quaranta giorni dalla notifica del presente decreto».
In pratica, scaduti i termini il primo maggio, data entro cui Sky avrebbe dovuto pagare i 130 milioni, siamo arrivati a metà luglio. Non solo. Considerate le ferie di agosto, il ricorso della tv satellitare dovrà arrivare entro il 13 settembre. Così si perde altro tempo. Per di più il presidente della sezione del tribunale Claudio Marangoni (lo stesso che aveva annullato il bando Mediapro nel maggio del 2018) aveva già deciso di declassare il fascicolo per l'emergenza covid, facendolo ritardare di almeno 20 giorni. A questo si aggiunge la mancata esecutività del provvedimento, anche perché Sky avrebbe convinto il giudice che pagando la prima rata della stagione successiva sarebbe venuta meno l'urgenza dell'ultima. Scelta, quest'ultima, che in Lega Calcio hanno mal digerito, tanto che si è arrivati quasi al punto di rottura. Poi il campionato è ripartito e le partite sono tornate in televisione. I soldi però continuano a non arrivare.
Rothschild advisor sia per il calcio sia per la rete unica
C'è attesa per l'assemblea del 9 settembre dove la Lega calcio di serie A dovrà decidere a chi affidare i prossimi 10 anni di diritti televisivi, a partire dalla stagione 2021-2022. La questione è delicata, fondamentale per l'economia dei club di serie A. In via Rosellini ormai sono convinti che solo due cordate alla fine potrebbero spuntarla, ovvero quella del capitanata dal fondo Cvc (insieme con Advent e Fsi) e l'altra guidata da Bain Capital.
L'obiettivo dei club è quello di creare una media company che gestirà nei prossimi anni i diritti televisivi in Italia e all'estero. La prima cordata avrebbe messo sul piatto, secondo le anticipazioni del Sole 24 ore, un'offerta da circa 15 miliardi di euro. Bain invece, oltre a una cifra che si aggira sempre intorno ai 15 miliardi offrirebbe un altro tipo di governance alla Lega calcio. L'amministratore delegato sarebbe prerogativa dei fondi e il presidente sarebbe di nomina dei club. Il nodo della governance è centrale, perché nel caso di Cvc la spartizione sarebbe meno a favore della Lega, anche perché una quota andrebbe anche a Advent e Fsi. Ma 15 miliardi allettano, soprattutto in una situazione di difficoltà come adesso, con Sky che si rifiuta ancora di pagare l'ultima rata per i diritti televisivi 2019-2020. Ma non c'è solo questo.
Appare evidente che la commercializzazione si intreccia con il futuro delle telecomunicazioni nel nostro paese, con il governo, Tim e Cdp alle prese in queste settimane con la realizzazione della rete unica. Su entrambi i tavoli c'è un advisor di spessore come Rothschild, che sta seguendo sia la cordata Cvc nella partita sui diritti del calcio sia Tim sulla creazione di Fibercop. E a questo si aggiunge che Rothschild vanta già un piede in Serie A tramite il presidente del Milan Paolo Scaroni, squadra controllata dal fondo Elliot, a sua volta socio di Tim. Ma nella partita rientra anche Vivendi, azionista di maggioranza di Tim, alle prese ancora con una battaglia legale iniziata nel 2016 su Mediaset Premium. In sostanza sono diversi gli interessi in gioco, anche perché chi avrà in mano la prossima media company che gestirà le partite in televisione avrà in mano anche i margini più alti dei profitti.




