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A Dimmi La Verità la deputata di Fdi Eliana Longi. Argomento: la proposta di legge contro le telefonate spam dei call center che ci tempestano ogni giorno.
A Dimmi La Verità la deputata di Fdi Eliana Longi. Argomento: la proposta di legge contro le telefonate spam dei call center che ci tempestano ogni giorno.
Sergio Benvenuto, psicoanalista e filosofo, è da molto tempo uno fra gli intellettuali italiani più liberi e interessanti. Tra i tanti temi di cui ha trattato nei suoi numerosi saggi, ultimamente affiora sempre più spesso il tema della differenza sessuale. O, meglio, delle dolorose complicazioni che la attraversano (leggere a tale proposito il suo scritto nel volume Effetto Queer a cura di Giovanni Torti, pubblicato da Orthotes). Che si tratti di discutere della disforia di genere o di transgenderismo, Benvenuto sfugge ai luoghi comuni, ed evita sempre di fornire una lettura superficiale della realtà. Lo abbiamo interpellato a proposito del laboratorio organizzato alla Università di Roma Tre sui «bambin* trans» (rivolto a minorenni dai 5 ai 14 anni), e gli abbiamo posto la domanda forse più banale ma anche più determinante che si debba formulare a riguardo: esistono bambini transgender? La risposta è, al solito, sorprendente. «In realtà nessuno lo sa», dice Benvenuto. «Non siamo nemmeno sicuri se esistono i trans adulti! Mi pare che l’iniziativa di Roma Tre nasca proprio dall’esigenza di capire che cosa significhi per “un* bambin*” dire “sono dell’altro sesso”. Ma cosa vuol dire per un maschio adulto dire “sono una F”? O viceversa?. Diciamo che la società occidentale ha deciso di credergli/le. La nostra società è meno incline a credere a un bambino che dica la stessa cosa. Meno incline per ragioni giuridiche, non psichiatriche: perché è un minorenne! Un minorenne per definizione non può essere quello che vuole».
Il ragionamento di Benvenuto è sottile, ma fondamentale. Noi scegliamo di credere ai maschi adulti che si dichiarano transgender appunto perché sono adulti, maggiorenni. Con un minorenne la storia cambia radicalmente. Ed è da qui che nascono i dubbi più profondi. «Un minorenne non può sposarsi né fare il servizio militare né decidere dove abitare, se sottoporsi o meno a una cura medica... Perché allora potrebbe decidere di bloccare la propria pubertà?», dice lo studioso. «Il giorno dopo aver compiuto 18 anni può fare tutto quel di cui sopra, anche cambiare sesso. È una mera regola giuridica, la psichiatria ha ben poco da dire al riguardo. Anche se il sogno di ogni strizzacervelli è quello di consigliare il Principe».
Il problema che a questo punto si pone sul tavolo è piuttosto ingombrante: quando si tratta di minorenni, il fatto di inquadrarli come «bambini trans» non è in fondo un modo per metterli su un sentiero preciso, per instradarli? «Certo che accettare un bambino che dice di essere trans come trans è un modo per sostenere la sua affermazione», società Benvenuto. «Ma questo è vero per tutta la psichiatria. Se si porta dallo shrink (come dicono in America) una ragazza come anoressica, o un bambino come autistico, l’etichetta stessa rafforza il sintomo. C’è ormai un’immensa letteratura su questo, sulla medicina come profezia che si auto-conferma».
Ed è qui che entrano in gioco la professionalità e l’onestà intellettuale di chi entra a contatto con i ragazzi e le ragazze. «Dipende come reagiscono i ricercatori di Roma 3, ovviamente», continua Benvenuto. «Se sono dei militanti woke, anche senza volerlo daranno al bambino il messaggio sub-testuale “Che bello sei un trans! Insisti!”. Se invece si tratta di persone non ideologiche, parlare col bambino potrà invece chiarirgli le idee».
Già. Solo che se a predominare è il cosiddetto «approccio affermativo» è molto improbabile che il professionista non inviti il bambino a insistere sulla strada su cui è stato posto.
«Del resto, se sempre più bambini si dicono queer - che ormai è la nuova figura dominante, ben al di là del trans - è perché la questione gender è nell’aria», dice Benvenuto. «I giovani, anche quelli adulti, non parlano d’altro che di gender... I giovani più degli adulti sono ricevitori sensibilissimi di quel che fluttua per l’aria. Scommetto sempre più che ci saranno sempre più minorenni che diranno “non sono né maschio né femmina!”».
Messa cosi, sembra quasi che si parli di una moda. «Questione di moda? Certo, nel senso che tutto ciò che è culturale è questione di moda, anche se una moda può durare secoli. Se è nell’aria essere comunisti, o essere fascisti, o essere trans... avremo un’intera generazione di comunisti, fascisti, trans... Magari diventeranno martiri della Causa», dice lo studioso. «Lei mi chiede: “Esistono i bambini trans”? Ma potrei ribatterle: “Esistono giovani comunisti? Esistono giovani ciellini?”. Certe cose esistono semplicemente perché la gente dice di credervi. In filosofia questo si chiama: nominalismo».
A quanto pare, fra le grandi credenze di questo tempo c’è il fenomeno che qualcuno chiama Queer, e ci sono le tesi degli attivisti transgender. Tutto sta, forse, nel chiedersi: quando questa moda passerà, che cosa lascerà dietro di sé? A chi scrive non vengono in mente risposte piacevoli.
Il Careggi, azienda ospedaliera integrata con l’Università degli Studi di Firenze, somministra un farmaco che blocca la pubertà a pazienti che «hanno intorno agli 11 anni», come ha dichiarato al Corriere della Sera l’endocrinologa Alessandra Fisher. E il neuropsichiatra infantile si fa vedere una sola volta al mese. Già queste due notizie devono allarmare ogni persona di buon senso, e meno male che il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha fatto ispezionare il reparto che tratta la disforia di genere all’edificio Cubo del policlinico.
In attesa di conoscere l’esito di quel controllo, sarebbe interessante capire come mai bambini, che soffrirebbero per sentirsi con un’identità di genere diversa dal proprio sesso, non vengono presi in carica all’ospedale Meyer. Centro di eccellenza pediatrica, «è anche l’unico riferimento in Toscana per la psichiatria dell’infanzia e adolescenza, con alcuni dei migliori specialisti in campo nazionale», fa notare il consigliere regionale di Fdi, Diego Petrucci, ancora in attesa di una risposta alla sua interrogazione. Perché dei giovanissimi devono iniziare un trattamento farmacologico con la triptorelina, una molecola sintetica che - se somministrata in modo prolungato - inibisce l’ormone che regola le funzioni testicolare e ovarica, in un centro dove non c’è un neuropsichiatra infantile? L’Aifa nel 2019 ne ha autorizzato l’utilizzo off label, in casi selezionati di disforia di genere «con diagnosi confermata da una équipe multidisciplinare e specialistica, composta da specialista in neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, endocrinologia pediatrica, psicologia dell’età evolutiva e bioetica». Se al Careggi il neuropsichiatra infantile visita una sola volta nell’arco di 30 giorni, quali percorsi si stanno seguendo? Ad Alessandra Arachi del Corriere, la mamma di una ragazza che voleva cambiar sesso ha raccontato che «le dottoresse del reparto di Careggi hanno consigliato a sua figlia di prendere il testosterone dopo appena due sedute psicologiche, una di queste online». Troppo poche, senza psicoterapia non si può dare a delle creature la triptorelina ogni 28 giorni, fino ai 16 anni. L’Aifa indica come inizio trattamento lo «stadio puberale secondo Tanner 2-3», cioè tra 9,3 e 12,2 anni e tra 12,2 e 14,8 anni. «Pazzesco», tuona l’avvocato Annamaria Bernardini de Pace, che aveva scritto al ministro Schillaci, «sappiamo benissimo che quasi la totalità dei piccoli superano il momento disforico con la terapia psicologica».
La Regione Toscana, rispondendo alle interrogazioni del senatore Maurizio Gasparri e del consigliere regionale Marco Stella, entrambi di Forza Italia, ha dichiarato che i pazienti con disforia di genere presi in carico hanno in media 15,2 anni. Il Careggi ha ammesso che sono intorno agli 11 anni, un’età a dir poco sconvolgente per decidere di bloccare lo sviluppo puberale fino a circa 4 anni. Quale team di esperti valuta la somministrazione di un farmaco carente di studi clinici e di follow-up a lungo termine? «Mi risulta che lo scorso anno fossero 86 bambini in trattamento», rivela Petrucci. Ieri, il sito del Careggi è rimasto non accessibile per un paio d’ore. Terminato il «disguido tecnico», l’équipe «Incongruenza/disforia di genere e stati intersessuali in età evolutiva e adulta», che fa capo all’Unità di incongruenza di genere, diretto dalla professoressa Linda Vignozzi, risultava composto dall’endocrinologa Alessandra D. Fisher, dalla psicologa e psicoterapeuta Jiska Ristori e da Giovanni Castellini, professore associato di psichiatria (non infantile) dell’università di Firenze. Viene dichiarato che il team «lavora in stretta collaborazione con tutte le figure professionali che possono essere coinvolte nel percorso». Curioso, però, che sia nel 2018, sia nel 2019, i finanziamenti di complessivi 47.000 euro per i progetti di ricerca «Disforia di genere in età evolutiva: impatto psico-emozionale dell’individuo e nella famiglia», siano stati assegnati a esperti del dipartimento universitario di neuroscienze, psicologia, area del farmaco e salute del bambino, che ha sede presso l’ospedale pediatrico Meyer. Non a ricercatori del Careggi. Dove, il 14 ottobre del 2021, due fratelli di nome Giulio e Guido cambiarono di sesso. Il giorno del loro diciottesimo compleanno, erano diventati Giulia e Gaia, a 23 anni completarono la trasformazione a base di massicce dosi di ormoni con un intervento di ricostruzione sessuale.
Il Careggi si è sempre attivato per promuovere il diritto al cambio di sesso, anche con seminari come quello online dello scorso luglio promosso dall’università di Firenze per affrontare «sotto il profilo scientifico il percorso delle persone transgender nell’affermare il genere in cui si riconoscono». Guarda caso, c’erano Jiska Ristori, Alessandra Fisher, Giovanni Castellini (il suo contributo riguardava «Il peso della transfobia»), mentre le conclusioni erano affidate a Linda Vignozzi. Il gender gestito in modo scientifico per una battaglia ideologica sulla pelle dei bambini? «Ci auguriamo proprio che non sia così», commenta Petrucci, che ieri in un sopralluogo al Meyer programmato da tempo ha raccolto un forte malcontento dei medici per la gestione in altra sede della disforia. Intanto, dal ministero della Salute fanno sapere che è ancora in corso la valutazione di tutti gli elementi e i documenti acquisiti durante l’ispezione dei giorni scorsi.
Tutto tace. Da giorni sulla Verità raccontiamo che da sabato scorso, pagata dal servizio sanitario nazionale, è disponibile la cura per bloccare la pubertà, cioè per evitare che un minorenne sviluppi i propri organi sessuali. Tuttavia, nonostante siano evidenti i rischi di un tale trattamento su bambini e ragazzini, nessuno sembra avere intenzione di fermare la deriva transex. A parte alcuni senatori leghisti e oggi, con l'intervista che trovate nelle pagine interne, Giorgia Meloni, l'argomento sembra quasi non interessare la politica. Silenzio dalle parti del ministero della Salute, che pure ha dato semaforo verde al farmaco, consentendo che sia inserito nel prontuario medico. Zitta pure la grande stampa, quella che quotidianamente lancia allarmi sul reddito di cittadinanza, raccontando di un caos che non c'è negli uffici preposti ad erogarlo. Ammutolita anche la tv, che preferisce parlare di tutto, perfino dell'Isola dei famosi, piuttosto che accennare alla faccenda.
A stupirci più di ogni altra cosa è però l'assenza di commenti da parte della Chiesa. I vescovi non perdono occasione per far sentire la loro voce su ogni decisione del governo e del Parlamento. Che si tratti della legittima difesa, dell'autonomia o della Tav, c'è sempre un alto prelato che rilascia dichiarazioni. L'ultima che abbiamo registrato è quella sul reddito di cittadinanza, misura che secondo la Conferenza episcopale corre il rischio di «aumentare forme di cittadinanza parassitaria nei confronti dello Stato». Mentre sono altamente preoccupati che delle persone senza alcun reddito ricevano il sussidio statale, i presuli non sembrano affatto allarmati che la mutua passi l'iniezione per bloccare la pubertà e dunque iniziare un percorso che consenta a ragazzi minorenni di cambiare sesso. Avvenire, il quotidiano che è diretta emanazione della Cei, si occupa giornalmente di migranti, pubblica titoloni sulla legittima difesa e sui vaccini, si inquieta se non si fa la Tav, ma sembra dormire sonni tranquilli se, senza una riflessione seria sull'argomento, si prescrive a spese del contribuente un farmaco che impedisca lo sviluppo sessuale di un bambino.
E dire che papa Francesco, sull'argomento, non è stato mai tenero, esprimendosi a più riprese contro l'ideologia gender, ovvero contro la cultura che propaganda la possibilità di scegliere a proprio piacimento l'identità sessuale. Parlando alla Pontificia accademia per la vita, il Pontefice si schierò direttamente contro la manipolazione biologica e psichica della differenza sessuale, spiegando che «la tecnologia biomedica lascia intravedere come completamente disponibile la libertà di scelta, mentre non lo è». In un suo viaggio a Tblisi, nel 2016, rispondendo a una fedele disse addirittura che la teoria del gender è il più grande nemico del matrimonio, aggiungendo che è in atto «una guerra mondiale per distruggere il matrimonio». Concetto già anticipato pochi mesi prima, quando disse che «negando la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna, si prospetta una società senza differenze di sesso, svuotando la base antropologica della famiglia». E a Cracovia, nello stesso anno, fu ancora più chiaro: «Oggi ai bambini - ai bambini! - a scuola si insegna questo: che il sesso ognuno lo può scegliere. E perché insegnano questo? Perché i libri sono quelli delle persone e delle istituzioni che ti danno i soldi. Sono le colonizzazioni ideologiche, sostenute anche da Paesi molto influenti».
Già. In Canada e in Gran Bretagna, due Paesi moderni, avanzati, progressisti e tolleranti nei confronti di ogni diversità, soprattutto sessuale, il farmaco che ferma la pubertà e prepara i bambini al cambio di sesso è da tempo pagato dal servizio sanitario nazionale. Ci sono cliniche specializzate. Centri per il sostegno che incoraggiano gli adolescenti e le famiglie. Fondi appositamente stanziati per far conoscere meglio la tematica del cambio di sesso. Il risultato è una crescita verticale degli interventi, un aumento che spaventa gli stessi esperti, i quali si rendono conto di quanto sia delicata la questione dello sviluppo sessuale in un ragazzino. La fase di pubescenza genera scompensi, dubbi, paure, ansie. E lo Stato che fa? Offre un'iniezione per impedire le mestruazioni o l'accentuazione dei tratti maschili, senza che siano accertati gli effetti di questo intervento chimico sul corpo di un minorenne.
Tutto ciò nell'assoluta indifferenza. Della politica, della stampa e ora pure della Chiesa, che invece di difendere gli adolescenti dalla moda gender, preferisce occuparsi di un altro fenomeno molto di moda: i migranti. Infatti parla più di loro che dei bambini a cui si cambia il sesso.
Sconosciuta fino a pochi giorni ai più, la triptorelina è assurta agli onori delle cronache dopo che l'Aifa ha deciso di inserirla nell'elenco dei farmaci a carico del Sistema sanitario nazionale per il trattamento dei casi accertati di disforia di genere. La deliberazione dell'Agenzia, pubblicata in Gazzetta ufficiale il 2 marzo con decorrenza dal giorno successivo, ha avuto il duplice effetto di sancire da un lato l'efficacia (presunta in realtà) di questo medicinale nei casi di adolescenti che non si riconoscono nel sesso fenotipico (cioè quello di nascita), e dall'altro stabilire che a farsi carico di questi casi debbano essere i contribuenti.
La triptorelina fino a oggi è stata utilizzata con efficacia principalmente nella cura dei tumori. Tra le indicazioni riportate sul sito dell'Aifa, troviamo infatti il carcinoma della prostata, quello della mammella, l'endometriosi, i fibromi uterini non operabili e il trattamento pre-chirurgico dei fibromi uterini. Per queste patologie, come si legge nella cosiddetta «nota 51» diramata dall'Agenzia, è prevista l'esenzione dal pagamento del ticket. L'esenzione copre anche il trattamento della pubertà precoce (nota anche come «pubertà patologica»): in questi casi, il farmaco agisce sospendendo lo sviluppo puberale, al fine di evitare danni permanenti (sviluppo osteoarticolare, muscolare, metabolico), ma l'uso è limitato a soggetti di età inferiore a 8 anni nelle bambine e 10 anni nel bambino.
Per tutti gli altri utilizzi diversi da quelli previsti dal formulario, compreso l'impiego in soggetti con età più elevata, la responsabilità anche penale della prescrizione del farmaco ricadeva sul medico, lasciando i costi a carico dei pazienti. Si tratta di quella prassi che in gergo viene chiamata prescrizione «off label». Di questo aspetto si sono lamentate a lungo le associazioni della galassia Lgbt, da tempo in prima linea per la lotta al riconoscimento della gratuità del farmaco. Ma finora l'impiego off label nei casi di disforia di genere aveva rappresentato una scelta praticamente obbligata. La relazione inviata lo scorso luglio all'Aifa da parte del Comitato nazionale di bioetica (Cnb), infatti, metteva in guardia da un utilizzo indiscriminato della triptorelina. Tra i potenziali rischi e perplessità mediche citate dai saggi del Cnb rientrano l'assenza di «studi di sicurezza e dati sufficienti di follow up in grado di rassicurare sulla mancanza di effetti collaterali a breve e a lungo termine», la scarsità di conoscenze circa le «conseguenze del blocco dello sviluppo sessuale in rapporto allo sviluppo emotivo-cognitivo che procede», e i forti dubbi in merito alla «partecipazione e il consenso al programma terapeutico dell'adolescente».
Non si tratta di osservazioni di poco conto, se si pensa che ogni farmaco per poter essere introdotto nel mercato è soggetto a controlli rigidissimi. D'altronde, potrà sembrare scontato specificarlo, in ballo c'è la salute dei pazienti. Una preoccupazione resa ancora più forte dal fatto che i destinatari del trattamento sono soggetti minori peraltro, avverte il Cnb, «particolarmente vulnerabili sotto il profilo psicologico e sociale».
Per contro, il provvedimento reso noto venerdì sembra invece voler sdoganare una volta per tutte l'utilizzo del triptorelina nella cura di questo tipo di disturbi. Oggi la triptorelina è attualmente in commercio sotto forma di soluzione iniettabile con il nome di Decapeptyl (prodotto da Ipsen Spa) e di Gonapeptyl (prodotto da Ferring Spa), i cui costi si aggirano intorno ai 170 euro per ciascuna confezione. Nella richiesta di parere per l'utilizzo del principio attivo per il trattamento dei pazienti adolescenti affetti da disforia di genere, inviata al Cnb nell'aprile del 2018, l'Aifa valuta di «difficile esecuzione» la stima accurata di pazienti che potrebbero fare ricorso al farmaco. Considerando una platea totale di circa 2,8 milioni di ragazzi tra i 10 e 14 anni e un'incidenza tra lo 0,002% e lo 0,005%, i soggetti interessati potrebbero essere compresi tra i 90 e i 140 all'anno. Complessivamente, dal momento che il primo anno del trattamento costerebbe intorno ai 2.300 euro, la spesa per il Ssn andrebbe dai 207.000 euro ai 322.000 euro circa. Contattata dalla Verità, una referente della Ferring Spa (una delle due case farmaceutiche che distribuiscono nel nostro Paese la triptorelina) si è detta «sorpresa» della decisione dell'Aifa, spiegando che «l'azienda non ha effettuato alcun tipo di pressione» per l'estensione dell'utilizzo del farmaco e che è «tuttora in corso una valutazione sui possibili impatti economici di questo provvedimento».
Antonio Grizzuti
Il senatore leghista Simone Pillon è comprensibilmente irritato: «La notizia relativa al via libera per la triptorelina, che potrà essere prescritta agli adolescenti per bloccare la pubertà in ossequio alle ideologie genderiste è una decisione vergognosa», dice. E promette: «Sarà mio preciso impegno compiere ogni passo per far annullare questa determina, adottata oltretutto durante la vacanza della presidenza Aifa, e con evidenze scientifiche ed etiche contrastanti».
Come abbiamo scritto ieri, la triptorelina, il medicinale che blocca la pubertà, verrà coperto dal servizio sanitario nazionale nei casi di disforia di genere. Il fatto, però, è che su questi medicinali le informazioni sono pochissime, e sono sostanzialmente sconosciuti i danni che i minorenni potrebbero riportare. A spiegarlo sono esperti piuttosto autorevoli, di certo non sospettabili di omofobia o transfobia.
Per esempio, un signore chiamato Carl Heneghan, docente di Medicina basata sull'evidenza a Oxford, nonché direttore della sezione del British medical journal dedicata alla sua disciplina. Un luminare, per farla breve. Il 25 febbraio di quest'anno, proprio sull'autorevole rivista scientifica britannica, Heneghan ha pubblicato un articolo dedicato al cambio di sesso di bambini e adolescenti.
Secondo il professore, «i trattamenti per bambini e adolescenti con disforia di genere sotto i 18 anni rimangono in gran parte sperimentali. Ci sono un gran numero di domande senza risposta che includono l'età, la reversibilità; eventi avversi, effetti a lungo termine sulla salute mentale, qualità della vita, densità minerale ossea, osteoporosi in età avanzata».
Lo studioso, in sostanza, afferma che somministrare certi farmaci a bambini e ragazzini potrebbe essere estremamente rischioso. In particolare, parlando dei medicinali che bloccano la pubertà, dice che le prove scientifiche attualmente disponibili sono pochissime e limitate. E conclude: «L'attuale base di prove non consente un processo decisionale informato e una pratica sicura». Tanto basterebbe per suggerire di andarci cauti. Ma l'inglese non è il solo a esprimere dubbi pesanti. Persino Polly Carmichael, direttrice del Gids (il centro britannico che si occupa di bimbi e ragazzi con disforia di genere), nel corso degli anni ha sempre espresso perplessità. Qualche tempo fa ha dichiarato al Guardian: «La domanda è: se interrompi i tuoi ormoni sessuali in modo che il tuo cervello non viva la pubertà, stai in qualche modo alterando il corso della natura?». In seguito ha aggiunto: «Il dibattito ruota intorno alla reversibilità di questo intervento: fisico e anche psicologico, in termini di possibile influenza degli ormoni sessuali sul cervello e sullo sviluppo dell'identità». Marcus Evans, un altro medico inglese che ha lavorato per il Gids, ha scritto in un articolo: «Non riesco a pensare ad un'altra area della medicina in cui sarebbe lecito utilizzare in modo così diffuso farmaci i cui effetti a lungo termine sono sconosciuti».
Non è finita. Vale la pena di citare anche ciò che dicono gli studiosi della Ucsf, l'Università della California di San Francisco. Anche lì esiste una «gender clinic» che segue bambini e adolescenti. A gestirla sono esperti decisamente schierati a favore dei diritti trans, che non fanno mistero di avere un «approccio affermativo». In soldoni, significa che sono portati ad assecondare i ragazzini che dichiarano di voler cambiare sesso. Ecco: perfino questi studiosi ammettono che sui farmaci non ci sono sufficienti informazioni. Diane Ehrensaft, psicologa clinica e dirigente della «gender clinic» dell'ateneo ha dichiarato ai giornali: «I genitori ci chiedono: “Che cosa sapete veramente degli effetti a lungo termine dei bloccanti della pubertà? Chi ha davvero studiato i bambini per 20 anni?". E noi diciamo: “Questo è quello che intendiamo fare"». Già: i medici di San Francisco hanno iniziato circa tre anni fa a monitorare i numerosi minorenni che fanno ricorso ai farmaci per bloccare la pubertà. Si sono imbarcati nell'impresa proprio perché si sono resi conto che non c'erano abbastanza informazioni sull'argomento. Quindi bisognerà aspettare ancora un bel po' prima di avere risultati seri. Anche l'autorevolissima rivista medica The Lancet, in un articolo del 2017 dedicato ai farmaci che bloccano la pubertà, ha scritto: «Nonostante promettenti prove preliminari sull'utilità clinica di questo approccio, c'è carenza di ricerca».
Insomma, qui il rischio è che si sdogani un farmaco che può avere effetti pesanti sui minorenni. Un medicinale il cui utilizzo, nel nostro Paese, è stato molto circoscritto. In altri Stati viene usato su larga scala, perché si segue il già citato approccio affermativo: per accontentare attivisti e difensori delle minoranze, si mettono in pericolo bambini e ragazzi che già vivono enormi difficoltà.
Francesco Borgonovo
«Perché le discriminazioni riguarderebbero solo le persone Lgbt e l'onorevole Vincenzo Spadafora non fa menzione di tutte le altre emergenze?». Giusy D'Amico, presidente dell'associazione Non si tocca la famiglia replica al sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle Pari opportunità e ai giovani, che alla Camera ha dichiarato di voler promuovere «la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere», con 8 milioni di euro per il 2019. «In particolare, le azioni riguardano gli ambiti del lavoro, della salute, della sicurezza, del trattamento carcerario, della formazione del personale della pubblica amministrazione», spiegava Spadafora, rispondendo all'interpellanza dei deputati dem che chiedevano al governo misure urgenti «per contrastare episodi dilaganti di omotransfobia». Il sottosegretario precisava che utilizzerà subito il finanziamento previsto fino al 2022, «con l'intenzione di chiedere ulteriori fondi per i prossimi anni». La decisione dice di averla presa assieme all'Unar, l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali coordinato dall'amico Luigi Manconi, paladino delle adozioni per le coppie dello stesso sesso e della maternità surrogata.
L'Unar è beneficiario di risorse del Pon inclusione, programma operativo nazionale (cofinanziato dal Fondo sociale europeo) che supporta misure e servizi contro la povertà e la marginalità sociale. Buona parte dei finanziamenti serviranno a favorire l'inclusione socio lavorativa delle persone Lgbt, in particolar modo dei giovani «che saranno destinatari di molte delle iniziative che ho elencato», ricordava Spadafora. «Come in un brutto film già visto, parlare di giovani significherà scuole che, già invase dal gender, si troveranno a subire nuove ondate di iniziative su cui vogliamo invece poter dire la nostra, perché sia rispettato il principio della libertà educativa dei genitori sulla trattazione di temi sensibili», commenta preoccupata D'Amico. La presidente non comprende perché una somma così ingente sia destinata solo in direzione Lgbt, ignorando altre e più diffuse discriminazioni. «Non è stato fatto alcun cenno, ad esempio, all'impellente necessità di promuovere la famiglia, intervenendo anche sulle difficoltà economiche “discriminanti" che i nuclei più numerosi soffrono rispetto a chi ha solo uno, o due figli».
Il sottosegretario vuole più soldi per contrastare nei diversi ambiti della vita sociale e lavorativa la «discriminazione nei confronti di persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender» e nel suo intervento alla Camera dei deputati si è augurato che l'Unar diventi al più presto «un ufficio totalmente autonomo e, quindi, in grado di operare su questi temi al di sopra delle parti e in totale autonomia dal Governo». Così da avere più margini di manovra per finanziare interventi pro Lgbt. Spadafora ha ricordato che il dipartimento Pari opportunità collabora con l'Unar e con l'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad) per arginare l'omotransfobia, ma anche su questo punto la presidente di Non si tocca la famiglia precisa che la realtà e un'altra. «Su un totale di 2.030 segnalazioni raccolte tra il 2010 e il 2017 dall'Oscad, circa la metà, 1.036, costituiscono un reato. Il 60% dei reati di matrice discriminatoria sono dovuti all'origine o provenienza della vittima “razza/etnia" e un 18,1% all'appartenenza religiosa. Solo l'1,2% delle discriminazioni - che sicuramente sono sempre inaccettabili- riguarderebbe l'identità di genere. Eppure l'onorevole Spadafora sta concentrando un finanziamento di 8 milioni di euro unicamente per le tematiche Lgbt», ironizza Giusy D'Amico. «Per le discriminazioni a sfondo etnico e religioso, in testa alle segnalazioni Oscad, quanti denari toccheranno? Forse neanche uno».
La presidente ricorda che già nel 2017, dopo lo scandalo Unar «avevamo chiesto che il denaro pubblico sottratto ai cittadini per finanziare presunte associazioni culturali volte a favorire incontri sessuali gay con fenomeni di incoraggiamento alla prostituzione, venisse assegnato alle associazioni di famiglie, genitori e docenti con immediata convocazione di un tavolo tecnico per elaborare una nuova e condivisa strategia nazionale educativa, contro tutte le forme di discriminazione. Nulla è stato fatto. Attendiamo di essere convocati urgentemente dall'onorevole Spadafora perché migliaia di famiglie, composte da cittadini contribuenti, attendono una risposta ed eque ripartizioni di finanziamenti pubblici».
Patrizia Floder Ritter

