2024-09-29
«I bimbi trans? Una moda culturale. Esistono perché la gente ci crede»
Lo psicanalista Sergio Benvenuto rovescia la questione: «Ammettiamo che esistano quelli adulti in quanto sono loro a definirsi così, da maggiorenni. I minorenni invece non possono. La differenza è giuridica, non psichiatrica».Sergio Benvenuto, psicoanalista e filosofo, è da molto tempo uno fra gli intellettuali italiani più liberi e interessanti. Tra i tanti temi di cui ha trattato nei suoi numerosi saggi, ultimamente affiora sempre più spesso il tema della differenza sessuale. O, meglio, delle dolorose complicazioni che la attraversano (leggere a tale proposito il suo scritto nel volume Effetto Queer a cura di Giovanni Torti, pubblicato da Orthotes). Che si tratti di discutere della disforia di genere o di transgenderismo, Benvenuto sfugge ai luoghi comuni, ed evita sempre di fornire una lettura superficiale della realtà. Lo abbiamo interpellato a proposito del laboratorio organizzato alla Università di Roma Tre sui «bambin* trans» (rivolto a minorenni dai 5 ai 14 anni), e gli abbiamo posto la domanda forse più banale ma anche più determinante che si debba formulare a riguardo: esistono bambini transgender? La risposta è, al solito, sorprendente. «In realtà nessuno lo sa», dice Benvenuto. «Non siamo nemmeno sicuri se esistono i trans adulti! Mi pare che l’iniziativa di Roma Tre nasca proprio dall’esigenza di capire che cosa significhi per “un* bambin*” dire “sono dell’altro sesso”. Ma cosa vuol dire per un maschio adulto dire “sono una F”? O viceversa?. Diciamo che la società occidentale ha deciso di credergli/le. La nostra società è meno incline a credere a un bambino che dica la stessa cosa. Meno incline per ragioni giuridiche, non psichiatriche: perché è un minorenne! Un minorenne per definizione non può essere quello che vuole». Il ragionamento di Benvenuto è sottile, ma fondamentale. Noi scegliamo di credere ai maschi adulti che si dichiarano transgender appunto perché sono adulti, maggiorenni. Con un minorenne la storia cambia radicalmente. Ed è da qui che nascono i dubbi più profondi. «Un minorenne non può sposarsi né fare il servizio militare né decidere dove abitare, se sottoporsi o meno a una cura medica... Perché allora potrebbe decidere di bloccare la propria pubertà?», dice lo studioso. «Il giorno dopo aver compiuto 18 anni può fare tutto quel di cui sopra, anche cambiare sesso. È una mera regola giuridica, la psichiatria ha ben poco da dire al riguardo. Anche se il sogno di ogni strizzacervelli è quello di consigliare il Principe». Il problema che a questo punto si pone sul tavolo è piuttosto ingombrante: quando si tratta di minorenni, il fatto di inquadrarli come «bambini trans» non è in fondo un modo per metterli su un sentiero preciso, per instradarli? «Certo che accettare un bambino che dice di essere trans come trans è un modo per sostenere la sua affermazione», società Benvenuto. «Ma questo è vero per tutta la psichiatria. Se si porta dallo shrink (come dicono in America) una ragazza come anoressica, o un bambino come autistico, l’etichetta stessa rafforza il sintomo. C’è ormai un’immensa letteratura su questo, sulla medicina come profezia che si auto-conferma».Ed è qui che entrano in gioco la professionalità e l’onestà intellettuale di chi entra a contatto con i ragazzi e le ragazze. «Dipende come reagiscono i ricercatori di Roma 3, ovviamente», continua Benvenuto. «Se sono dei militanti woke, anche senza volerlo daranno al bambino il messaggio sub-testuale “Che bello sei un trans! Insisti!”. Se invece si tratta di persone non ideologiche, parlare col bambino potrà invece chiarirgli le idee». Già. Solo che se a predominare è il cosiddetto «approccio affermativo» è molto improbabile che il professionista non inviti il bambino a insistere sulla strada su cui è stato posto. «Del resto, se sempre più bambini si dicono queer - che ormai è la nuova figura dominante, ben al di là del trans - è perché la questione gender è nell’aria», dice Benvenuto. «I giovani, anche quelli adulti, non parlano d’altro che di gender... I giovani più degli adulti sono ricevitori sensibilissimi di quel che fluttua per l’aria. Scommetto sempre più che ci saranno sempre più minorenni che diranno “non sono né maschio né femmina!”». Messa cosi, sembra quasi che si parli di una moda. «Questione di moda? Certo, nel senso che tutto ciò che è culturale è questione di moda, anche se una moda può durare secoli. Se è nell’aria essere comunisti, o essere fascisti, o essere trans... avremo un’intera generazione di comunisti, fascisti, trans... Magari diventeranno martiri della Causa», dice lo studioso. «Lei mi chiede: “Esistono i bambini trans”? Ma potrei ribatterle: “Esistono giovani comunisti? Esistono giovani ciellini?”. Certe cose esistono semplicemente perché la gente dice di credervi. In filosofia questo si chiama: nominalismo».A quanto pare, fra le grandi credenze di questo tempo c’è il fenomeno che qualcuno chiama Queer, e ci sono le tesi degli attivisti transgender. Tutto sta, forse, nel chiedersi: quando questa moda passerà, che cosa lascerà dietro di sé? A chi scrive non vengono in mente risposte piacevoli.