Processare Piero Amara per le calunnie della Loggia Ungheria. Allo stesso tempo indagare su quanto dichiarato dall’ex legale esterno di Eni ai pm di Milano fra il 2019 e il 2020 e cercare «l’elenco degli aderenti» per capire se la fantomatica loggia «prosecuzione della P2» fosse frutto della sua fantasia, fosse «figlia« illegittima dell’associazione segreta fondata da Licio Gelli oppure se rappresentasse un «centro relazione» che è stato «espressione-estensione del sistema Palamara» all’interno del Csm. Il gup di Milano Guido Salvini sembra ritenere credibile, o comunque meritevole di approfondimento, l’ex faccendiere e avvocato di Augusta al centro di mille scandali quando parla di magistrati e nomine. Amara andrà a processo il 2 febbraio davanti alla settima sezione penale di Milano con l’accusa di aver calunniato 67 fra i vertici di Csm, politica e forze armate di cui 40 le parti civili e altre 27 le persone offese durante gli interrogatori resi ai pm Paolo Storari e Laura Pedio. Fra queste in particolare l’ex ministro della Giustizia Paola Severino e l’ex vice presidente del Csm Michele Vietti, calunniati su fatti specifici, si legge nel capo d’imputazione dei pm Stefano Civardi e Roberta Amadeo, e cioè accusati di false pressioni sul Csm per trasferire un magistrato da Siracusa inviso alle aziende di Emma Marcegaglia e di «reti» di favori per far ottenere incarichi ad alcuni avvocati, fra cui l’allora sconosciuto Giuseppe Conte, poi presidente del consiglio. Amara ne risponderà davanti a un giudice ma il gup ha disposto anche la «trasmissione degli atti» ai pubblici ministeri per indagare invece su asseriti favori resi all’ex Procuratore di Perugia, Luigi De Ficchy (che ha indagato su Amara), e sulla presunta influenza sulle nomine dei magistrati Lucia Lotti alla Procura di Gela e di Francesco Saluzzo a Procuratore generale di Torino. Indagare su quei tre nomi in «particolare», scrive Salvini e cercare «l’eventuale elenco degli aderenti» a Loggia Ungheria «che si troverebbe a Dubai» e che nessuno ha mai trovato. Completamente prosciolto invece l’ex assistente di studio di Amara, Giuseppe Calafiore, per il quale il giudice ha emesso sentenza di non luogo a procedere per non aver commesso il fatto in relazione al reato di autocalunnia. Per lui un solo verbale era oggetto di contestazione (4 febbraio 2020) nel quale disse ai pm Storari e Pedio di «conoscere» l’associazione Ungheria e di averne fatto parte. Troppo poco secondo il gup per processarlo nonostante quelle affermazioni rappresentassero di fatto il riscontro di Amara.
Eravamo stati facili profeti. L'11 giugno avevamo scritto che Fabrizio Centofanti, ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone e presunto corruttore di Luca Palamara, con i suoi verbali di dichiarazioni spontanee riempiti davanti ai pm di Perugia, pareva voler seguire le orme di Piero Amara, il faccendiere «pentito» arrestato per l'ennesima volta lo scorso 8 giugno e subito scarcerato grazie alla nuova infornata di confessioni «esplosive». Adesso Amara ci dà clamorosamente ragione: ammette addirittura di essere il ventriloquo del pierre romano, laddove afferma di aver «costretto Centofanti a pentirsi a Perugia vi sto… vi do questa notizia». In effetti alla data in cui Amara rendeva dichiarazioni a Potenza, ovvero il 10 giugno 2021, nulla si sapeva del «pentimento di Centofanti a Perugia», poiché il deposito dei suoi verbali (dell'1 e del 9 giugno 2021) è stato notificato ai difensori di Palamara & C. alle ore 14,09 del 10 giugno, negli stessi minuti in cui Amara stava concludendo il suo interrogatorio a Potenza, dove si trovava in stato di arresto. Come avrebbe potuto conoscere notizie segrete sulle indagini perugine in corso (dove non è imputato) se non avesse realmente condiviso la decisione di Centofanti di parlare? Insomma misteri che si aggiungono a misteri sul ruolo di Amara quale effettivo «motore» delle indagini perugine.
Il 10 giugno il legale indagato ha lanciato strali velenosi anche nei confronti della Procura di Milano, accusata di non aver adeguatamente condotto le investigazioni sulla «Loggia Ungheria», ipotizzando che ciò possa essere conseguenza del «sollecito a Palamara da parte di Greco (Francesco Greco, procuratore di Milano, ndr)» per la nomina a procuratore aggiunto di Laura Pedio. E ha aggiunto che lui, che si definisce «un figlio di puttana siciliano», avrebbe avuto anche questo brutto pensiero: «Ma tu (Greco, ndr) fino a che punto sei sereno nel gestire… tu che sai questa cosa tant'è che poi c'è stato un procedimento al Csm che è stato chiuso in 30 secondi».
Altro personaggio su cui dice di aver nutrito sospetti è l'ex pm di Roma Stefano Fava, un suo chiodo fisso, perché è l'unico magistrato che sin dall'inizio non gli ha creduto e che lo voleva arrestare, sequestrandogli l'ingente patrimonio.
Amara sostiene di non aver collaborato con la Procura di Roma proprio perché sapeva «del rapporto fortissimo tra Fava e Palamara». Peccato che dalle chat e dagli sms dello stesso ex presidente dell'Anm risulti che il «rapporto fortissimo» Palamara lo avesse con altri magistrati capitolini, i quali, al contrario di Fava, interloquivano con lui per avanzamenti di carriera.
Quindi Amara, siccome non poteva pentirsi pienamente a Roma e nemmeno a Milano, avrebbe deciso di farlo a Potenza. «Io», ha spiegato al gip che lo ha fatto arrestare e al procuratore Francesco Curcio, «sono vincolato a dei segreti istruttori di cui non mi può fregare più...». E quindi ha chiesto di potersi fermare, dopo l'interrogatorio di garanzia, per confessarsi con Curcio. Nel giro di poche pagine di verbale la questione si fa subito politica. Spiega l'avvocato siciliano che «all'inizio non c'era Taranto». Ovvero Carlo Maria Capristo prima di arrivare a fare il procuratore nel capoluogo pugliese (faccenda per la quale Amara è stato arrestato a Potenza), «voleva andare a Firenze». Ma qui il candidato di Amara & C. era Leonida Primicerio (attuale procuratore generale a Salerno), che avrebbe avuto come primo sponsor il poliziotto Filippo Paradiso, coindagato di Amara e ancora in cella in Basilicata. Sul punto l'avvocato siciliano tira fuori un aneddoto: «Noi, scusate il termine, dicevamo a Lotti (Luca, ex sottosegretario del governo Renzi, ndr): ma tu a Firenze devi nominare uno che ti... scusi la volgarità... che la domenica ti lava la macchina al parcheggio. Non cercare grandi nomi, perché poi non ti rispondono. E siccome questo Primicerio aveva rapporti straordinari con Paradiso e anche con Genzano, abbiamo indicato nell'interesse dei fiorentini un magistrato che poteva avere questo ruolo». Ma Lotti, nel racconto di Amara, avrebbe detto che Vietti (Michele, ex vicepresidente del Csm) si era «imposto» e che era «riuscito a far nominare Creazzo (Giuseppe, ndr)». La questione, secondo Amara, non premeva solo a Lotti. Ma anche a Denis Verdini. «L'interesse», spiega Amara, «era [...] di mettere delle persone di loro gradimento». E quando Curcio chiede il perché di tanta attenzione per Firenze, Amara riprende a sparare petardi contro i politici toscani, «i fiorentini» come li chiama lui: «Denis Verdini aveva delle pendenze mentre Lotti no. Però, capisce, è la sede che loro gestiscono. Io mi ricordo che quando fu nominato Turco (Luca, procuratore aggiunto a Firenze, ndr), io ho partecipato alla conversazione e Verdini minacciò di fare... Turco è un magistrato che sta a Firenze, credo di Md, che non so come riuscì a passare, e Verdini minacciò la crisi di governo... perché all'epoca si era già formata Ala (la stampella del governo di Matteo Renzi, ndr). Una conversazione con Renzi, con Lotti e con Cosimo Ferri, dicendo: voi non controllate un cazzo, viene questo a casa mia».
A un certo punto Amara descrive la filosofia che stava dietro alle nomine degli avvocati da parte di certi clienti. Lo stesso criterio che avrebbe utilizzato il commissario dell'Ilva Enrico Laghi con lui. «Figuriamoci se lui mi ha nominato perché aveva chiesto referenze in giro» ha commentato. «Lui mi nomina perché mi vede a casa […] in buona confidenza con Capristo, e all'epoca così funzionava, procuratore, cioè molto spesso noi cercavamo… anche io l'ho fatto a Potenza… cercavo di nominare, che so? Persone che erano vicine perché erano testimoni di nozze, matrimoni, che… a qualche magistrato». Sembra incredibile, ma mentre diceva queste parole Amara era assistito dall'avvocato Salvino Mondello, che è stato, si legge nel libro Giustiziamara di Enzo Basso, testimone di nozze di Paolo Ielo, il magistrato che per mesi ha indagato su Amara a Roma. Ma da vero faccendiere l'avvocato siracusano non si occupava solo di intrighi giudiziari. Giura di essere testimone di una strana vicenda che riguarderebbe l'ex consigliere del Csm Marco Mancinetti che tramite Palamara si sarebbe rivolto a Centofanti per organizzare un incontro: «Voleva che il figlio, che doveva superare gli esami di Medicina, insomma, voleva i testi, i temi. Temi che, peraltro, si va a prendere la moglie, che è attuale sostituto procuratore generale, e quello, a un certo punto... addirittura gli offre anche dei soldi, e il rettore dice: “No, no, sua eccellenza! Ma ci man... io il favore glielo faccio, i temi glieli do, ma non c'è bisogno"». Una storia che a Milano, secondo Amara, non avrebbero preso sufficientemente sul serio: «Cioè, anche dinanzi a questo Milano è stata... non contestargli quanto meno un'istigazione alla corruzione...».
Il fatto che negli ultimi anni ci sia stato un trattamento di favore nei confronti dell'avvocato Piero Amara e dell'ex manager Eni Vincenzo Armanna da parte della Procura di Milano ora ha una conferma autorevole. È quella rivelata dal sostituto procuratore Paolo Storari durante i suoi due interrogatori a Brescia, dove è indagato per rivelazione di segreto d'ufficio riguardo ai verbali sulla loggia Ungheria consegnati all'ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo. Come già accaduto a Roma con Stefano Fava - entrato in conflitto con l'ex capo Giuseppe Pignatone -, anche a Storari era stato ordinato di non toccare con le indagini sia Amara sia Armanna: l' obbligatorietà dell'azione penale valeva solo per alcuni ma non per tutti. Non è un caso che ieri il ministro di Grazia e giustizia, Marta Cartabia, abbia fatto sapere di aver avviato un'inchiesta amministrativa sulla vicenda del processo Eni-Nigeria: è stato chiesto all'ispettorato di svolgere accertamenti preliminari. Le vicende di Fava e Storari sono speculari. Titolari entrambi di inchieste sull'avvocato siciliano (che a quanto pare si era pentito negli ultimi mesi), entrambi avevano chiesto misure cautelari e indagini più serrate ma sono stati fermati dai rispettivi capi per aiutare altri magistrati (Fabio De Pasquale e Paolo Ielo) in altri processi, forse più blasonati e importanti per la carriera.
Anche per questo motivo Storari, titolare dell'inchiesta sul falso complotto Eni (insieme con l'aggiunto Laura Pedio), si era lamentato dell'inerzia sulle indagini con il capo della Procura Francesco Greco. Il pupillo di Ilda Boccassini aveva con tutta probabilità capito l'inattendibilità dei due soci in affari, come il fatto che entrambi stessero inquinando il processo sul giacimento nigeriano Opl 245, dove i vertici di Eni e Shell erano accusati di corruzione internazionale da De Pasquale e Sergio Spadaro. Forse Storari aveva anche scoperto che i due stavano nel frattempo sfruttando l'inchiesta nigeriana per i loro interessi, come si poteva evincere dal video del luglio del 2014 rimasto nascosto fino al 2019. Non a caso i due avrebbero messo da parte almeno 100 milioni di euro in questi anni, depositati al sicuro a Dubai.
Del resto che Amara e Armanna stessero ricevendo trattamenti particolari da parte della Procura lo dimostrano i procedimenti a loro carico che giacciono da anni, fermi, a palazzo di Giustizia di Milano. Se ne calcolano almeno 7 a carico del primo e 5 sul secondo. Molte sono denunce per diffamazione e calunnia, ma almeno 3 sono inchieste già partite su cui negli ultimi anni non sono mai stati fatti passi in avanti. Oltre a quella sul falso complotto transitato da Trani a Siracusa, nulla si è più saputo delle accuse per insider trading né di quelle per truffa sul petrolio iraniano sotto embargo. Amara è infatti indagato dalla Procura di Milano insieme con l'ex numero 2 del Cane a sei zampe Antonio Vella per aver sfruttato informazioni riservate e aver speculato in borsa. A quanto pare, infatti, stando alle accuse, al centro di tutto ci sarebbe il padre dell'avvocato siciliano, Giuseppe, detto Pippo per gli amici di Augusta dove era stato sindaco negli anni Settanta. Secondo le indagini della Guardia di finanza, alla fine del 2016 Giuseppe Amara (che oggi vive in una bellissima villa alle porte della città siracusana) si sarebbe fatto finanziare da Banca Profilo 3 milioni di euro allo scoperto e con questi soldi avrebbe comprato azioni Eni e Saipem con rilevantissimi guadagni. Secondo le indagini delle fiamme gialle, depositate nel lontano 2019, Vella avrebbe inviato in quegli anni informazioni ad Amara su come fare investimenti. Non va dimenticato che nel famoso video del luglio del 2014, Armanna e Amara discutono anche sulla possibilità di portare proprio Vella al posto di Claudio Descalzi a San Donato. Del resto, quello che risulta dalle denunce e dalle inchieste a metà, è che intorno al processo Eni Nigeria si sia costituita una vera e propria cricca, capace di fare soldi, sfruttare il processo e nominare persino uomini di fiducia dentro San Donato. Amara e Armanna sono stati infatti denunciati per truffa ai danni dell'Eni sulla vicenda Napag, l'azienda di Francesco Mazzagatti che aveva consegnato a Eni trading & shipping petrolio iraniano sotto embargo. Anche qui i due, grazie ai dossier inviati a Trani e Siracusa, avevano piazzato un loro uomo, ovvero Massimo Mantovani, ex capo dei legali poi allontanato nel 2019. Ma c'è di più. Amara in questi anni era riuscito a piazzare in Syndial, società di Eni, anche Vincenzo Larocca, avvocato (non indagato) citato nell'inchiesta sull'Ilva. L'aspetto più inquietante però potrebbe essere un altro. Durante il processo contro Eni De Pasquale provò a portare Amara come testimone. L'avvocato siciliano, più volte arrestato, poteva essere la carta dell'accusa per far astenere il presidente del collegio giudicante Fabio Tremolada (considerato troppo garantista) dal giudizio su Opl 245. Secondo quanto raccontato sempre da Storari ai magistrati bresciani, sarebbe stato questo l'obiettivo finale di De Pasquale. Per di più quel verbale di Amara fu poi portato da Pedio e Greco a Brescia dove fu archiviato perché inattendibile.
Nei giorni scorsi il Tribunale di Potenza ha ordinato l'ennesimo arresto dell'avvocato Piero Amara, corruttore reo confesso e testimone di giustizia in diverse Procure. Prima di rifinire in carcere il legale ha raccontato a «Panorama» la sua verità sui suoi presunti «favori» ai magistrati, sulla loggia Ungheria e sui suoi rapporti con gli inquirenti della Procura di Milano, l'ufficio giudiziario che ha provato a utilizzare le sue dichiarazioni per dimostrare l'incompatibilità del giudice del processo Eni-Nigeria. Amara ha anche svelato quali sarebbero le prove che ha raccolto a sostegno delle proprie parole. Ecco un estratto dell'articolo.
[…] Pallino di Amara è pure un'altra toga di Magistratura democratica (Md), l'aggiunto di Roma, Lucia Lotti, che è stata procuratore di Gela, l'ufficio giudiziario che istruiva i procedimenti sulla raffineria dell'Eni, società di cui Amara era consulente legale. La Procura di Gela era per l'Eni quello che la Procura di Taranto era per l'Ilva. Racconta Amara: «È certo che lei si rivolge a me affinché andassi da Saverio Romano e Totò Cuffaro per farle avere il voto di Ugo Bergamo, laico dell'Udc al Csm. Adesso dice che a Gela non ci voleva andare nessuno, ma non è vero». In effetti il voto al Plenum finì 13 a 9 per la Lotti: la sostennero le correnti e i laici di sinistra, più Bergamo. […]. Nelle chiacchiere con Amara escono altri nomi eclatanti tra i presunti appartenenti alla «loggia Ungheria». Come Antonello Montante, ex presidente dei confindustriali siciliani, condannato in primo grado a 14 anni di carcere per corruzione. I nomi sulle agende di Montante e Amara spesso si sovrapponevano […]. Citiamo i membri del comitato scientifico di Opco (l'Osservatorio permanente sulla criminalità organizzata ideato dall'ex magistrato Giovanni Tinebra) ad Amara e lui ci dice chi, ovviamente a suo insindacabile giudizio, facesse parte di Ungheria. Ci sono generali della Guardia di finanza, ex presidenti della commissione antimafia come Roberto Centaro («ma anche il fratello Alfonso faceva parte di Ungheria») e magistrati.
Su Internet si trova ancora un manifesto di un evento dell'Opco. Tra i partecipanti pure Roberto Alfonso, ex Pg di Milano (oggi tra i probiviri dell'associazione nazionale magistrati che sta esaminando le chat di Palamara). Chiediamo ad Amara se anche questi facesse parte di Ungheria. Risposta: «Lì mi crea un problema grosso come una casa». Meno difficoltoso ammettere l'«affiliazione» del consigliere del Csm Sebastiano Ardita. Che, però, ha sempre negato. «Con questo non voglio dire che Ardita abbia commesso reati, a mio avviso è un uomo davvero integerrimo. Sia io che lui che altri giudici eravamo componenti del comitato scientifico dell'Opco e questi magistrati, che io ho già sentito, confermeranno la mia presenza, la nostra conoscenza e una cena di rappacificazione fra Tinebra e Ardita alla presenza di altre tre toghe».
E perché dovettero riconciliarsi? «Tinebra gli chiese una cortesia per un imprenditore e Ardita che è una persona seria non gliel'ha fatta, quindi Tinebra gli ha dichiarato guerra. Ma poi ci fu la cena di riconciliazione alla presenza di Paolo Giordano (ex procuratore di Siracusa, ndr), Alessandro Centonze (consigliere di Cassazione di origini siracusane, ndr) e Maurizio Musco (ex pm destituito dalla magistratura per i rapporti con Amara, ndr)». Giura che uno di questi, Centonze, lui lo avrebbe già registrato: «Indirettamente. Gli ho mandato una persona. Purtroppo sono costretto a registrare la gente».
La colpa a suo giudizio è del pm Paolo Storari che lo avrebbe obbligato a fare dichiarazioni su cui non aveva riscontri. […].
Ha accettato di mettere nero su bianco le accuse contro Marco Tremolada, il giudice che a marzo ha assolto i vertici Eni nella vicenda delle presunte tangenti nigeriane. Amara avrebbe sentito dire che presso Tremolada avevano porta aperta gli avvocati della compagnia petrolifera: «Ma era solo un chiacchiericcio... non capisco come i pm possano avere trasmesso gli atti a Brescia. Una notitia criminis deve avere un minimo di supporto probatorio, non si può basare su un chiacchiericcio...».
Brusii di cui Amara avrebbe parlato in corridoio per poi essere richiamato da Storari: «Questa cosa la dobbiamo verbalizzare» mi disse. «Io una volta sono sbottato: “Lei non capisce un c... per me questo fascicolo lo potete anche archiviare". Successivamente ho capito che alcune cose interessavano anche a loro...».
Amara passa poi a parlare delle sue famose «pistole fumanti» contro coloro che lo smentiscono. «Alcuni magistrati dicono che non mi conoscono. Le faccio un nome e un cognome: Francesco Saluzzo». Il riferimento è al procuratore generale di Torino che avrebbe partecipato a una cena con Amara a Roma insieme con l'ex direttore generale del Consiglio di Stato Antonio Serrao e con un altro commensale recentemente defunto.
Saluzzo gli avrebbe chiesto l'appoggio di tre componenti del Csm per diventare Pg a Torino: «Per fortuna ho registrato Serrao e gli ho detto: “Ti ricordi Saluzzo?". E lui: “Ma chi, quello che dovevamo mandare alla Procura generale di Torino?". Io di rimando: “Tonino, non è che hai parlato della nostra associazione, dei cenacoli con Tullio Del Sette (ex comandante generale dei Carabinieri, ndr), se no mi esce fuori tutto il filone dei magistrati?". E lui mi risponde: “Ma stai scherzando? Io non ho parlato dell'associazione, di Del Sette e di Saluzzo con nessuno"» […].
A proposito di registrazioni, Amara fa un altro esempio e cita il caso dei presunti maneggi da parte dell'ex consigliere del Csm Marco Mancinetti per far superare il test di medicina al figlio. Mancinetti ha sempre negato e ha annunciato querele, salvo dimettersi all'improvviso dal parlamentino dei giudici nel settembre 2020.
Amara sembra molto divertito dalla sua presunta prova: «Immagini se ci fosse una registrazione in cui il rettore parlando con un'altra persona dicesse: “Ma ti rendi conto che mi hanno offerto soldi per avere i temi?". Non sarebbe grave questa cosa raccontata dal rettore che poi a Perugia ha negato sé stesso? C'è gente che non ha idea di quello che emergerà su alcuni profili» […].
C'è una terza presunta «smoking gun» che riguarda il presidente del Consiglio di Stato, Filippo Patroni Griffi. Il motivo del contendere è l'assunzione di una presunta amica del giudice da parte di Amara: «Centofanti (Fabrizio, imprenditore oggi indagato per corruzione, ndr) venne da me e mi disse che dovevamo fare questa cortesia a Patroni Griffi. Quando poi decisi di mandarla via, perché la signorina era un po' arrogante, il presidente venne a trovare me e Calafiore. Ci incontrammo in un ristorante. Fu molto gentile e quando viene da te il presidente del Consiglio di Stato e ti chiede una cortesia non puoi dirgli di no».
Ci sono registrazioni di quell'incontro? «No, solo testimonianze. Ma visto che lui dice che non conosce né me né Calafiore, per quello c'è un video inequivocabile di un incontro tra lui e Peppe, che era già stato sentito a Milano come testimone, ripreso con il telefonino dalla compagna del mio collega. È stato depositato in Procura. Calafiore, quando ha incontrato a Roma Patroni Griffi, aveva un look particolare, era in tuta. Tu magari puoi anche fermarti a salutare un avvocato, ma lì Peppe aveva una mise molto particolare… il presidente si alza e lo saluta quasi con l'inchino».
Come a volte accade nelle storie di giustizia c’è spesso un eroe silenzioso che per veder premiato il suo lavoro deve aspettare mesi, ma anche la gogna di un’indagine a suo carico. È il caso di Giuseppe Fornari, avvocato penalista, tra i più competenti sulla piazza milanese, legale di Roberto Casula, uno degli imputati del processo Opl 245. È stato lui, durante l’udienza del 23 luglio del 2019, a parlare alla corte del video del luglio 2014 dove Vincenzo Armanna e Piero Amara tramavano contro l’Eni di Claudio Descalzi. Lo ha fatto per puro caso, perché lo aveva trovato in un altro procedimento che seguiva. Il presidente del corte Fabio Tremolada aveva subito chiesto a De Pasquale di recuperarlo. Quella videoregistrazione, come sostengono i giudici che hanno assolto tutti gli imputati, era stata nascosta dalla pubblica accusa, cioè da Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. Anche perché avrebbe fatto crollare il castello accusatorio. Per questo i 2 pm ora si ritrovano sotto indagine a Brescia. Ma Fornari pagherà molto caro quella scoperta che rischia di cambiare per sempre la storia del processo sul giacimento petrolifero nigeriano. Perché nelle settimane successive all’udienza sarà Amara, in una delle sue tante deposizioni di fronte ai magistrati, ad accusarlo di aver ricevuto incarichi da Eni grazie a presunte mazzette. L’avvocato di Augusta lo spiegherà dopo che Fornari aveva rivelato l’esistenza della videoregistrazione. Ora Fornari si ritrova indagato per corruzione tra privati, un danno enorme per un avvocato. Eppure quel video nascosto ha spiegato come Amara e Armanna volessero usare il processo Opl 245 per i loro scopi, soprattutto per fare affari con la Napag e il petrolio sotto embargo dell’Iran. Ma l’avvocato siciliano e l’ex manager Eni avevano anche in mente di sostituire Descalzi con una persona a loro vicina, Antonio Vella. C’è da dire che nella sentenza di assoluzione non si fa però riferimento a un’altra videoregistrazione del 18 dicembre 2014, anche questa molto importante. È sempre negli uffici dell’azienda di Ezio Bigotti, relativa ad un incontro tra Andrea Bacci, Giancarlo Cecchi e lo stesso Amara durante la quale non si parla solo di Eni. Ma si discute anche del cittadino nigeriano chiamato Kk, molte volte menzionato anche nell’incontro del 28 luglio, di Paolo Scaroni imputato nel processo milanese, come anche della gestione dei servizi segreti in Eni-Congo e di una gara che vale venti milioni di euro e infine di una operazione, sempre riferita a Eni-Congo che vale 250 milioni di euro all’anno. Questa videoregistrazione non è mai approdata a Milano e quindi i giudici milanesi e, soprattutto, gli imputati e i loro difensori non l’hanno mai vista, perlomeno fino ad oggi. Questo è potuto accadere perché la Procura di Roma, ricevuto il video dalla Procura di Torino di entrambe le registrazioni, aveva inserito quella di dicembre in un fascicolo dal titolo «atti non costituenti notizia di reato» assegnato dall’ex capo della Procura Giuseppe Pignatone a Paolo Ielo che a sua volta lo aveva poi girato a Mario Palazzi che lo aveva archiviato senza passare dal gip con la controfirma di Michele Prestipino. In questa conversazione del 18 dicembre 2014 gli interlocutori, come ha scritto La Verità il 24 dicembre 2020, parlano anche del fratello di Pignatone e degli incarichi ricevuti dagli indagati Amara e Bigotti oggetto dell’esposto di Stefano Fava al Csm. Il video è stato «oscurato» ai giudici milanesi, agli imputati ed ai loro difensori nella sua interezza impedendo quindi ogni valutazione. Almeno per quello di luglio c’è stato l’avvocato Fornari.






