2021-06-16
«I colleghi mi dissero di non indagare sui loro testi chiave»
Il pm Paolo Storari rivela l'ordine di Milano su Piero Amara e Vincenzo Armanna. Il ministro Marta Cartabia avvia l'iter per inviare gli ispettoriIl fatto che negli ultimi anni ci sia stato un trattamento di favore nei confronti dell'avvocato Piero Amara e dell'ex manager Eni Vincenzo Armanna da parte della Procura di Milano ora ha una conferma autorevole. È quella rivelata dal sostituto procuratore Paolo Storari durante i suoi due interrogatori a Brescia, dove è indagato per rivelazione di segreto d'ufficio riguardo ai verbali sulla loggia Ungheria consegnati all'ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo. Come già accaduto a Roma con Stefano Fava - entrato in conflitto con l'ex capo Giuseppe Pignatone -, anche a Storari era stato ordinato di non toccare con le indagini sia Amara sia Armanna: l' obbligatorietà dell'azione penale valeva solo per alcuni ma non per tutti. Non è un caso che ieri il ministro di Grazia e giustizia, Marta Cartabia, abbia fatto sapere di aver avviato un'inchiesta amministrativa sulla vicenda del processo Eni-Nigeria: è stato chiesto all'ispettorato di svolgere accertamenti preliminari. Le vicende di Fava e Storari sono speculari. Titolari entrambi di inchieste sull'avvocato siciliano (che a quanto pare si era pentito negli ultimi mesi), entrambi avevano chiesto misure cautelari e indagini più serrate ma sono stati fermati dai rispettivi capi per aiutare altri magistrati (Fabio De Pasquale e Paolo Ielo) in altri processi, forse più blasonati e importanti per la carriera. Anche per questo motivo Storari, titolare dell'inchiesta sul falso complotto Eni (insieme con l'aggiunto Laura Pedio), si era lamentato dell'inerzia sulle indagini con il capo della Procura Francesco Greco. Il pupillo di Ilda Boccassini aveva con tutta probabilità capito l'inattendibilità dei due soci in affari, come il fatto che entrambi stessero inquinando il processo sul giacimento nigeriano Opl 245, dove i vertici di Eni e Shell erano accusati di corruzione internazionale da De Pasquale e Sergio Spadaro. Forse Storari aveva anche scoperto che i due stavano nel frattempo sfruttando l'inchiesta nigeriana per i loro interessi, come si poteva evincere dal video del luglio del 2014 rimasto nascosto fino al 2019. Non a caso i due avrebbero messo da parte almeno 100 milioni di euro in questi anni, depositati al sicuro a Dubai. Del resto che Amara e Armanna stessero ricevendo trattamenti particolari da parte della Procura lo dimostrano i procedimenti a loro carico che giacciono da anni, fermi, a palazzo di Giustizia di Milano. Se ne calcolano almeno 7 a carico del primo e 5 sul secondo. Molte sono denunce per diffamazione e calunnia, ma almeno 3 sono inchieste già partite su cui negli ultimi anni non sono mai stati fatti passi in avanti. Oltre a quella sul falso complotto transitato da Trani a Siracusa, nulla si è più saputo delle accuse per insider trading né di quelle per truffa sul petrolio iraniano sotto embargo. Amara è infatti indagato dalla Procura di Milano insieme con l'ex numero 2 del Cane a sei zampe Antonio Vella per aver sfruttato informazioni riservate e aver speculato in borsa. A quanto pare, infatti, stando alle accuse, al centro di tutto ci sarebbe il padre dell'avvocato siciliano, Giuseppe, detto Pippo per gli amici di Augusta dove era stato sindaco negli anni Settanta. Secondo le indagini della Guardia di finanza, alla fine del 2016 Giuseppe Amara (che oggi vive in una bellissima villa alle porte della città siracusana) si sarebbe fatto finanziare da Banca Profilo 3 milioni di euro allo scoperto e con questi soldi avrebbe comprato azioni Eni e Saipem con rilevantissimi guadagni. Secondo le indagini delle fiamme gialle, depositate nel lontano 2019, Vella avrebbe inviato in quegli anni informazioni ad Amara su come fare investimenti. Non va dimenticato che nel famoso video del luglio del 2014, Armanna e Amara discutono anche sulla possibilità di portare proprio Vella al posto di Claudio Descalzi a San Donato. Del resto, quello che risulta dalle denunce e dalle inchieste a metà, è che intorno al processo Eni Nigeria si sia costituita una vera e propria cricca, capace di fare soldi, sfruttare il processo e nominare persino uomini di fiducia dentro San Donato. Amara e Armanna sono stati infatti denunciati per truffa ai danni dell'Eni sulla vicenda Napag, l'azienda di Francesco Mazzagatti che aveva consegnato a Eni trading & shipping petrolio iraniano sotto embargo. Anche qui i due, grazie ai dossier inviati a Trani e Siracusa, avevano piazzato un loro uomo, ovvero Massimo Mantovani, ex capo dei legali poi allontanato nel 2019. Ma c'è di più. Amara in questi anni era riuscito a piazzare in Syndial, società di Eni, anche Vincenzo Larocca, avvocato (non indagato) citato nell'inchiesta sull'Ilva. L'aspetto più inquietante però potrebbe essere un altro. Durante il processo contro Eni De Pasquale provò a portare Amara come testimone. L'avvocato siciliano, più volte arrestato, poteva essere la carta dell'accusa per far astenere il presidente del collegio giudicante Fabio Tremolada (considerato troppo garantista) dal giudizio su Opl 245. Secondo quanto raccontato sempre da Storari ai magistrati bresciani, sarebbe stato questo l'obiettivo finale di De Pasquale. Per di più quel verbale di Amara fu poi portato da Pedio e Greco a Brescia dove fu archiviato perché inattendibile.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)