(Ansa)
Ignazio La Russa, Giorgia Meloni e Sergio Mattarella depongono la corona d'alloro sulla tomba del Milite Ignoto in occasione della Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate.
Ignazio La Russa, Giorgia Meloni e Sergio Mattarella depongono la corona d'alloro sulla tomba del Milite Ignoto in occasione della Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate.
Si discute molto della manifestazione pro Israele convocata per sabato 4 novembre. La Verità ha sempre tenuto una linea precisa, anche all’indomani dell’attacco di Hamas: lasciare la libertà di manifestazione in piazza libera per chiunque, salvo per chi commette reati, scontri con la polizia e altro che possa portare alla dispersione legittima delle persone che vi stanno partecipando. Del resto, questo è il sale di una società che ha posto la libertà di pensiero e di espressione di esso come uno dei diritti centrali della Costituzione, perché la questione non è ciò per cui uno manifesta ma il fatto stesso che manifesti e lo faccia - ovviamente - come abbiamo detto prima, legalmente. A me può far venire anche l’orticaria ciò per cui uno manifesta ma questa orticaria la devo curare con i medicinali non vietando le manifestazioni. È uno dei fondamenti della democrazia la libertà di manifestare le proprie idee, non solo in circoli ristretti ma anche in piazza con organizzazioni che le preparino.
Si discute per la manifestazione di Matteo Salvini pro Israele ma dov’è il problema? Nel fatto che la faccia Salvini? Nel fatto che la faccia la Lega? Capite che è incomprensibile opporsi a una manifestazione di questo tipo? In questo momento, in cui il mondo è zeppo di focolai di guerra e di guerre vere, in tutto il mondo si manifesta a favore di questo o di quello, si vuole scendere in piazza a sostegno di un popolo, di un’etnia, di una cultura, di una storia, ma ci sono sempre dei soggetti per i quali la libertà di manifestazione dell’altro è un po’ meno di quella che ha lui stesso ed è evidentemente questo il caso della manifestazione della Lega. Altro discorso sono le questioni relative alla sicurezza di queste manifestazioni ma, per la verità, è difficile trovare nella storia di questi 25 anni qualche manifestazione di gruppi del centrodestra (esclusa ovviamente l’estrema destra) nella quale si siano consumate scene di violenza, distruzione di vetrine, auto infiammate o cariche della polizia, e se questo è successo non è, come dice qualcuno, che in questo la polizia ha un occhio di riguardo per la destra e un occhio malevolo per la sinistra perché questa, come disse Fantozzi dopo la visione della Corazzata Potëmkin, «è una cagata pazzesca». È solo che il centrodestra ha un modo di manifestare non violento. Per carità, anche il Pd ha un modo di manifestare non violento ma spesso è successo che qualche violento si sia inserito in quelle manifestazioni. È colpa del Pd? No, però registriamo che è successo lì e non da un’altra parte.
Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha manifestato la volontà di non celebrare le Forze armate in modo diciamo solenne per questioni legate, appunto, alla sicurezza avendo evidentemente pensato che la festa delle Forze armate potesse richiamare l’intenzione di qualche sciagurato, esasperato e, perché no, anche radicalizzato. Capiamo perfettamente le considerazioni dell’onorevole Crosetto, ma ci rendiamo anche conto che questo non può diventare, in questo periodo, un modello da seguire perché di questo passo, allora, dovremmo cancellare anche la Festa della Repubblica del 2 giugno. E sempre di questo passo dovremmo cancellare chissà quante manifestazioni istituzionali, con la presenza di cariche pubbliche, riguardanti le Regioni o lo Stato e, allora, perché no, anche quelle di singoli cittadini o associazioni su vasta scala.
In termini metaforici la guerra non può diventare la causa di una gestione delle manifestazioni pubbliche sulla base del «modello Covid». Perché, se è vero che ci sono i rischi di attentati, come sono già avvenuti in Francia e a Bruxelles, è pur vero, dall’altra parte, che i cittadini italiani vengono da anni difficili in cui è successo di tutto, dalla salute all’economia, dall’energia al caro prezzi, e sono naturalmente stanchi di avere sempre qualche problema più grande di loro davanti a loro stessi. Quindi la strada da seguire non è una strada fatta di regole precise e indiscutibili, ma piuttosto una strada fatta di ponderazione tra due poli che sono da una parte i rischi e dall’altra l’esercizio delle libertà costituzionali. Il Covid non è stato un modello da questo punto di vista. Certamente non può essere un modello per questo periodo che vede il rinascere della questione di Israele a causa di un’associazione terroristica di stampo islamico che non ha alcun diritto di esistere ma che sta facendo dei danni irreparabili.
«I militari non hanno colore, chi indossa la divisa può essere di destra o di sinistra. Deve essere a chiaro che le Forze armate sono le prime a non volere la guerra». Pasquale Trabucco, già ufficiale dei parà e presidente del Comitato 4 novembre, spiega a La Verità il suo punto di vista sulle polemiche che stanno accompagnando la giornata che si svolgerà tra meno di due settimane, data importante per il nostro Paese: la vittoria della prima guerra mondiale, l’Italia del Piave e dell’Isonzo e delle battaglie che contribuirono a costruire la nostra nazione. La guerra in corso tra Russia e Ucraina, unita ai recenti fatti in Medio Oriente, sta di nuovo risvegliando il mondo pacifista. «Il 9 marzo è stato istituito l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole» aggiunge Trabucco. «Penso siano iniziative totalmente fuori dal mondo. Bisognerebbe far capire anche ai più giovani che non sono i militari quelli che vogliono la guerra ma che, come diceva il generale Carl von Clausewitz, “la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”».
È bene quindi che anche i giovani ne siano a conoscenza. Proprio il centrodestra lo scorso anno aveva promesso di istituzionalizzare la data del 4 novembre, rendendola di nuovo festa nazionale. Ma nell’ultimo anno il Parlamento non ha fatto grossi passi in avanti. Anzi, solo il 18 ottobre la commissione Difesa ha dato via all’esame del ddl numero 170 del Senato inviato il 15 luglio alla Camera. «Per noi è una grande delusione», sottolinea Trabucco. «A meno di una corsa contro il tempo, questo 4 novembre non sarà festa nazionale. Ma soprattutto non potranno essere portate avanti le iniziative contenute nel disegno di legge, tra cui il fatto che tutti i Comuni possano organizzare iniziative a favore di questa data o che nelle scuole si favorisca lo studio di un periodo che è stato importantissimo per il nostro Paese».
Se il Parlamento finora non è riuscito a far passare un disegno di legge che non sarebbe costato nulla alla collettività, c’è persino il rischio che la giornata passi in sordina, dopo l’innalzamento del livello di sicurezza legato alla guerra tra Israele e Hamas. Dopo gli attacchi terroristici delle scorse settimane, unito al fatto che il pericolo attentati si sta rapidamente spostando in Europa, il ministro della Difesa Guido Crosetto, la scorsa settimana, aveva ipotizzato che la consueta parata militare del 4 novembre (vero simbolo dell’unità d’Italia) che quest’anno si svolgerà a Cagliari alla presenza del capo dello Stato potesse essere sospesa. Tutto ruota attorno al rischio di attentati. «È chiaro che in questo momento stiamo vivendo una vita diversa da quella che abbiamo vissuto fino a oggi», dice Trabucco, «Ma ormai siamo abituati sin dall’11 settembre del 2001, quando furono abbattute le Torri Gemelle» Anzi, aggiunge, «l’ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush aveva detto che avremmo dovuto convivere con il terrorismo per i prossimi 30 anni. Noi ci dobbiamo abituare a questa situazione, facendo affidamento su noi stessi e sui nostri comportamenti individuali. E ci dobbiamo poi affidare alle nostre forze di polizia, di intelligence e ai nostri militari». Del resto, ribadisce Trabucco, «sono d’accordo con le preoccupazioni del ministro Crosetto ma noi non possiamo bloccare tutti gli avvenimenti che riguardano il 4 novembre o quelli che riguardano la nostra nazione, come il campionato di calcio. Il 4 novembre all’Altare della Patria ci sarà di sicuro il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, così come a Cagliari e, penso che anche le altre celebrazioni alla fine avverranno».
Ma il fatto che il disegno di legge non sia ancora passato «rappresenta l’ennesima delusione» conclude Trabucco. «Come comitato e come associazioni d’Arma lo ribadiremo anche quest’anno: non cediamo sul 4 novembre, l’unica data che sancisce il compimento dell’unità nazionale».
Sulle pagine di Domani del 13 novembre, l’ex ministro Rino Formica e il giornalista Stefano Feltri si sono confrontati su un tema che in Italia potremmo definire eterno. Il titolo è esplicito: in Italia si possono criticare tutti, oppure esiste un atteggiamento istituzionalmente corretto? Sulla faccenda del 4 novembre come vera festa nazionale abbiamo rivolto alcune domande a Pasquale Trabucco, presidente del Comitato nazionale 4 novembre, che vuole ripristinare la festività in questione.
Sulle pagine di Domani del 13 novembre, l’ex ministro Rino Formica e il giornalista Stefano Feltri si sono confrontati su un tema che in Italia potremmo definire eterno. Il titolo è esplicito: in Italia si possono criticare tutti, oppure esiste un atteggiamento istituzionalmente corretto? Formica ricorda la sua posizione contro il suo amico e allora presidente Francesco Cossiga ai tempi di Gladio – ma dimentica i partigiani non comunisti che fecero la resistenza - e separa nettamente l’istituzione da chi la rappresenta, mentre Feltri non pare avere dubbi: non soltanto si può mettere in discussione il papato o la presidenza, distinguendo l’istituzione da chi la guida, «ma addirittura si deve». Ma dimentica il 4 novembre. Il timore è che per certi giornali noi italiani siamo incapaci di fare pace con la nostra storia e di conseguenza con il nostro futuro. Così sulla faccenda del 4 novembre come vera festa nazionale abbiamo rivolto due domande a Pasquale Trabucco, presidente del Comitato nazionale 4 novembre, che vuole ripristinare la festività in questione.
Sull’articolo di Domani Trabucco non ha dubbi: «Formica, un signore di 95 anni ancora attivo politicamente, si interroga sulla necessità di distinguere sempre le istituzioni da chi in quel momento le rappresenta, istituzioni che sono sacre e intoccabili secondo la costituzione, prendendo esempio da una nazione come l’America. Egli chiede a Feltri di continuare a segnalare i rischi che corre la democrazia con questo governo che esprime una destra bieca e reazionaria aggiungendo che, in questi giorni, è stato colpito da alcune frasi del Presidente Mattarella e di Papa Francesco. Formica contesta il discorso tenuto a Bari da Mattarella in accordo con il ministro della Difesa Guido Crosetto il 4 novembre, in occasione della Giornata dell’unità nazionale e delle forze armate, quando hanno ribadito che la vittoria del 4 novembre rappresenta la nostra vera festa nazionale. Parole che per Formica svuoterebbero l’origine resistenziale della Repubblica Italiana. Ma rileggendo la storia politica del dottor Formica emerge che il suo primo mandato parlamentare iniziò come senatore della Repubblica il 5 giugno 1968, lo stesso anno in cui la legge 263/68 istituiva l’Ordine di Vittorio Veneto per esprimere la gratitudine della Nazione a quanti, avendo combattuto per almeno sei mesi durante la Prima guerra mondiale o precedenti conflitti, avessero conseguito la croce al merito di guerra. La nostra Repubblica, nata il 2 giugno 1946, ha continuato a celebrare la festa del 4 novembre come festa di Unità nazionale e delle forze armate con effetti civili fino al 5 marzo 1977 quando la legge n° 54 la fece diventare festa mobile».
Come interpreta lo svuotare l’origine resistenziale della Repubblica Italiana? Risponde Trabucco: «Mi chiedo se Formica abbia mai pensato che la Repubblica con i suoi attuali confini, Trento e Trieste, è così grazie anche al sacrificio di quanti non caddero sul Carso ma combatterono e contribuirono alla resistenza nelle formazioni partigiane cattoliche, monarchiche, repubblicane, socialiste e comuniste. C’è da chiedersi se abbia mai considerato che questi uomini e donne si batterono gli uni accanto agli altri per fare sia l’Italia geografica, sia quella culturale con una lingua che finalmente divenne unificante per tutti gli uomini che si battevano in quelle trincee. Percepisce una mancanza di rispetto per i combattenti? “Non c’è più rispetto per questi uomini che vengono dimenticati da 45 anni, ecco quindi perché il ginocchio piegato del ministro Crosetto al cospetto del Milite Ignoto ha un alto senso di coesione nazionale ripreso anche dalle parole del presidente Sergio Mattarella a Bari. Non possiamo pensare di essere solo la Nazione delle ‘due comari’ che fecero cadere un Governo dopo solo cento giorni durante l’VIII legislatura, che di Governi né ebbe sei. Non possiamo pensare che ‘la politica è sangue e merda’ oppure che durante un’assemblea ci si trovi in una ‘corte di nani e ballerine’, perché così si offendono i nani e le ballerine».
E in merito al paragone con gli americani? «Il dottor Formica dovrebbe ricordare che gli Usa festeggiano la loro festa nazionale del 4 luglio dal 1776 e che durante la guerra civile (1861-65), che fece 1.030.000 morti, si fermarono perché sapevano che la guerra sarebbe finita e, chiunque avesse vinto, la loro nazione avrebbe continuato a vivere e crescere. Feltri, nel dare le sue risposte a Formica non ha ripreso la questione del 4 novembre, forse la sua giovane età non gli consente di ricordare una festa che non ha mai conosciuto come la conosciamo noi. Vorrei ricordare al dottor Feltri che il 16 settembre 2020, il giorno dopo la prima uscita del suo quotidiano, mi recai in via Barberini 86 per parlare di questa battaglia che mi vede impegnato per il ripristino della Festa Nazionale condivisa da istituzioni e cittadini. Ma il suo cronista pensò forse che non fosse una questione importante. Invece, dottor Feltri, il Domani è oggi».
La vittoria nella Grande guerra viene oggi celebrata con una festa «mobile» e con timidezza politica, a causa di anni di retorica anti nazionale. È il momento di cambiare le cose.
«I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza». Il passaggio del bollettino della vittoria siglato da Armando Diaz, comandante supremo del Regio Esercito, il 4 novembre del 1918 è giustamente famoso. Il giorno precedente, nella villa del conte Vettor Giusti del Giardino, a Padova, era stato siglato l’armistizio fra l'Impero austro-ungarico e l'Italia che poneva fine alla Grande guerra, dalla quale noi uscivamo vincitori insperati. Già l’anno successivo, il 4 novembre fu dichiarato festa nazionale. Nel 1921, nella stessa data, la salma del Milite Ignoto venne sepolta solennemente all'Altare della patria, a Roma. Un’ulteriore cambiamento si ebbe proprio alla vigilia della marcia su Roma: il regio decreto che istituiva la giornata della Vittoria e lo dichiarava festivo venne pubblicato in Gazzetta ufficiale il 26 ottobre del 1922, ovvero due giorni prima della calata delle camicie nere sulla capitale.
Il fascismo attinse largamente al mito della vittoria e all’eredità politica e culturale del combattentismo, declinando la celebrazione secondo il tema della «vittoria mutilata», ovvero del trionfo militare ottenuto sul campo ma ancora da conquistare sui tavoli della diplomazia e della politica. Nel secondo dopoguerra, invece, ogni riferimento in odore di nazionalismo è diventato sospetto a causa dell’antifascismo. Nel 1949, la festa è tornata alla denominazione iniziale, che era quella di festa delle forze armate e dell’unità nazionale. Fino al 1976, il 4 novembre è stato un giorno festivo.
Dal 1977, sia per l’austerity che per il mutato clima politico, particolarmente inviso al «militarismo», la festa delle forze armate è stata resa «mobile», con le celebrazioni spostate alla prima domenica di novembre. Nel 1970, del resto, era uscito al cinema Uomini contro, diretto da Francesco Rosi, liberamente ispirato al romanzo di Emilio Lussu Un anno sull'Altipiano, una pellicola di impronta pacifista e antiautoritaria che causò al regista anche una denuncia per vilipendio dell'esercito. Caduto largamente in disgrazia negli anni successivi, a parte qualche stanca ritualità politica e burocratica, il 4 novembre è tornato al centro della scena durante il soggiorno di Carlo Azeglio Ciampi al Quirinale. L’ex banchiere fu infatti artefice di una riscoperta della narrazione nazionale e risorgimentale (ma antifascista) che contemplava una rivalorizzazione della bandiera, dell’inno e ovviamente anche della memoria della Grande guerra. Nel 2018, tuttavia, in occasione delle celebrazioni del centenario della vittoria, non mancò chi pensò bene di commemorare non i combattenti, bensì i disertori. Segni dei tempi.
Oggi, in ogni caso, anche se la ricorrenza del 4 novembre è entrata maggiormente nell’immaginario collettivo, non senza resistenze, la giornata della vittoria continua a non essere un festivo. Cosa che, ovviamente, ha un impatto simbolico che va ben al di là del fatto di stare a casa un giorno in più da scuola o dal lavoro. Alla sorte del 4 novembre è dedicato anche il saggio L’Ombra della vittoria - Il fante tradito (edizioni Gruppo Albatros, Il Filo, Roma), di Pasquale Trabucco, scritto durante il suo viaggio da Bolzano a Siracusa, compiuto quasi completamente a piedi per chiedere di ripristinare la festività nazionale del 4 novembre. «Oggi», ha dichiarato lo scorso 2 settembre a Sergio Barlocchetti per La Verità, «questa festa non è sentita dalla popolazione, ma ci sono diverse ragioni importanti perché torni a esserlo. La coesione del popolo, per esempio, ricordando che il re Vittorio Emanuele III, nel suo discorso dell’8 novembre 1917 alle truppe, disse: “Siate un esercito solo”; e a ben guardare con la pandemia, la politica e i media sono tornati più volte a usare termini come guerra, trincea e fronte. E abbiamo cantato l’inno nazionale dai balconi». In vista delle elezioni poi vinte da Giorgia Meloni, Trabucco esprimeva un auspicio: «Dopo il prossimo 25 settembre, chiunque vinca le elezioni dovrebbe ripristinare questa festa proprio perché super partes alle idee politiche. Soprattutto, un Paese che non conosce la sua storia non può definirsi tale: la Francia festeggia tre giorni ogni anno dal 1790, gli Stati Uniti dal 1776 festeggiano il 4 luglio come nascita del Paese e l’hanno celebrato anche durante la guerra di Secessione, tra il 1861 e il 1865, perché evento superiore alle posizioni dei belligeranti. Infine, per riconoscere alle nostre Forze armate di averci dato l’unità nazionale e ricordare chi per quello ha perso la vita. Indipendentemente dal ceto e soprattutto dal credo religioso. Si pensi, per esempio, che il più giovane e il più anziano tra i militari decorati con la medaglia d’oro al valor militare erano di religione ebraica, Roberto Sarfatti e Giulio Blum».

