2022-11-03
Il 4 novembre: una ricorrenza nazionale vissuta dall’Italia solo a metà
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Il generale Armando Diaz e il Re Vittorio Emanuele III decorano al valore gli eroi del Piave (Getty Images)
La vittoria nella Grande guerra viene oggi celebrata con una festa «mobile» e con timidezza politica, a causa di anni di retorica anti nazionale. È il momento di cambiare le cose.«I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza». Il passaggio del bollettino della vittoria siglato da Armando Diaz, comandante supremo del Regio Esercito, il 4 novembre del 1918 è giustamente famoso. Il giorno precedente, nella villa del conte Vettor Giusti del Giardino, a Padova, era stato siglato l’armistizio fra l'Impero austro-ungarico e l'Italia che poneva fine alla Grande guerra, dalla quale noi uscivamo vincitori insperati. Già l’anno successivo, il 4 novembre fu dichiarato festa nazionale. Nel 1921, nella stessa data, la salma del Milite Ignoto venne sepolta solennemente all'Altare della patria, a Roma. Un’ulteriore cambiamento si ebbe proprio alla vigilia della marcia su Roma: il regio decreto che istituiva la giornata della Vittoria e lo dichiarava festivo venne pubblicato in Gazzetta ufficiale il 26 ottobre del 1922, ovvero due giorni prima della calata delle camicie nere sulla capitale. Il fascismo attinse largamente al mito della vittoria e all’eredità politica e culturale del combattentismo, declinando la celebrazione secondo il tema della «vittoria mutilata», ovvero del trionfo militare ottenuto sul campo ma ancora da conquistare sui tavoli della diplomazia e della politica. Nel secondo dopoguerra, invece, ogni riferimento in odore di nazionalismo è diventato sospetto a causa dell’antifascismo. Nel 1949, la festa è tornata alla denominazione iniziale, che era quella di festa delle forze armate e dell’unità nazionale. Fino al 1976, il 4 novembre è stato un giorno festivo. Dal 1977, sia per l’austerity che per il mutato clima politico, particolarmente inviso al «militarismo», la festa delle forze armate è stata resa «mobile», con le celebrazioni spostate alla prima domenica di novembre. Nel 1970, del resto, era uscito al cinema Uomini contro, diretto da Francesco Rosi, liberamente ispirato al romanzo di Emilio Lussu Un anno sull'Altipiano, una pellicola di impronta pacifista e antiautoritaria che causò al regista anche una denuncia per vilipendio dell'esercito. Caduto largamente in disgrazia negli anni successivi, a parte qualche stanca ritualità politica e burocratica, il 4 novembre è tornato al centro della scena durante il soggiorno di Carlo Azeglio Ciampi al Quirinale. L’ex banchiere fu infatti artefice di una riscoperta della narrazione nazionale e risorgimentale (ma antifascista) che contemplava una rivalorizzazione della bandiera, dell’inno e ovviamente anche della memoria della Grande guerra. Nel 2018, tuttavia, in occasione delle celebrazioni del centenario della vittoria, non mancò chi pensò bene di commemorare non i combattenti, bensì i disertori. Segni dei tempi. Oggi, in ogni caso, anche se la ricorrenza del 4 novembre è entrata maggiormente nell’immaginario collettivo, non senza resistenze, la giornata della vittoria continua a non essere un festivo. Cosa che, ovviamente, ha un impatto simbolico che va ben al di là del fatto di stare a casa un giorno in più da scuola o dal lavoro. Alla sorte del 4 novembre è dedicato anche il saggio L’Ombra della vittoria - Il fante tradito (edizioni Gruppo Albatros, Il Filo, Roma), di Pasquale Trabucco, scritto durante il suo viaggio da Bolzano a Siracusa, compiuto quasi completamente a piedi per chiedere di ripristinare la festività nazionale del 4 novembre. «Oggi», ha dichiarato lo scorso 2 settembre a Sergio Barlocchetti per La Verità, «questa festa non è sentita dalla popolazione, ma ci sono diverse ragioni importanti perché torni a esserlo. La coesione del popolo, per esempio, ricordando che il re Vittorio Emanuele III, nel suo discorso dell’8 novembre 1917 alle truppe, disse: “Siate un esercito solo”; e a ben guardare con la pandemia, la politica e i media sono tornati più volte a usare termini come guerra, trincea e fronte. E abbiamo cantato l’inno nazionale dai balconi». In vista delle elezioni poi vinte da Giorgia Meloni, Trabucco esprimeva un auspicio: «Dopo il prossimo 25 settembre, chiunque vinca le elezioni dovrebbe ripristinare questa festa proprio perché super partes alle idee politiche. Soprattutto, un Paese che non conosce la sua storia non può definirsi tale: la Francia festeggia tre giorni ogni anno dal 1790, gli Stati Uniti dal 1776 festeggiano il 4 luglio come nascita del Paese e l’hanno celebrato anche durante la guerra di Secessione, tra il 1861 e il 1865, perché evento superiore alle posizioni dei belligeranti. Infine, per riconoscere alle nostre Forze armate di averci dato l’unità nazionale e ricordare chi per quello ha perso la vita. Indipendentemente dal ceto e soprattutto dal credo religioso. Si pensi, per esempio, che il più giovane e il più anziano tra i militari decorati con la medaglia d’oro al valor militare erano di religione ebraica, Roberto Sarfatti e Giulio Blum».