- Dagli infettivologi friulani a Matteo Bassetti al primario del Niguarda, tutti d’accordo: i test a tappeto fanno grossi danni. «I pazienti arrivano per altre patologie, poi li scopriamo positivi e la gestione diventa un problema. Senza contare i colleghi costretti a rimanere a casa».
- Il prof Massimo Crapis: «Per separare gli infetti, non riusciamo a ricoverare pazienti con Tbc».
Dagli infettivologi friulani a Matteo Bassetti al primario del Niguarda, tutti d’accordo: i test a tappeto fanno grossi danni. «I pazienti arrivano per altre patologie, poi li scopriamo positivi e la gestione diventa un problema. Senza contare i colleghi costretti a rimanere a casa».Il prof Massimo Crapis: «Per separare gli infetti, non riusciamo a ricoverare pazienti con Tbc».Lo speciale contiene due articoli.Ci siamo rinchiusi in una gabbia mentale, abbiamo gettato la chiave e adesso ne paghiamo amaramente le conseguenze. L’ossessione per il rischio zero e la sorveglianza si è rivelata la peggiore ferita aperta dalla mala gestione del Covid degli ultimi due anni, e produce danni anche ora che il green pass non è più in funzione. Da giorni si moltiplicano gli appelli riguardanti l’aumento dei contagi, ma la crescita dei casi di positività, in sé, non rappresenta affatto un dramma. A ben vedere, gli unici veri danni che ci tocca affrontare sono quelli causati dalle cosiddette misure di protezione, le quali invece di proteggerci continuano a renderci la vita impossibile. Dopo qualche settimana di rinnovata psicosi, ora finalmente qualcuno comincia a rendersi conto del problema, e suggerisce una vita di uscita semplice quanto efficace: bisogna semplicemente, farla finita con i tamponi a tappeto. A proporre questa soluzione non sono i soliti pericolosi terrapiattisti, ma medici blasonati i quali, nei mesi passati, hanno spesso approvato i provvedimenti restrittivi, ma che ora devono fare i conti con l’amara realtà.È il caso dell’infettivologo Massimo Crapis, a capo di una delle principali strutture ospedaliere del Friuli Venezia Giulia. Assieme ad alcuni colleghi ha proposto alla Regione guidata da Massimiliano Fedriga di dismettere i test di massa. «Dobbiamo arrivare a non fare più i tamponi a chi non presenta sintomi seri della malattia», ha detto al Gazzettino. «Facciamo l’esempio di un ospedale. Oggi scopriamo positivi perché facciamo sempre il tampone a tutti. Ma nel nostro caso abbiamo persone che al massimo hanno la necessità di rimanere a casa uno o due giorni. I sintomi sono generalmente molto blandi. E se non facessimo il tampone a tutti avremo trovato sicuramente meno positivi». Insomma, bisogna limitarsi a sorvegliare gli anziani e chi soffre di altre patologie: «Dobbiamo dedicarci a loro. Sono loro che il tampone dovrebbero farlo e che la mascherina dovrebbero tenerla. Il tutto contando su monoclonali e antivirali, che ora abbiamo», afferma Crapis. A quanto sembra, queste idee sono condivise pure da Fabio Barbone, capo della task force regionale del Friuli Venezia Giulia.Un altro che cose simili le dice da tempo è Matteo Bassetti. «I tamponi bisogna smettere di farli agli asintomatici ma anche ai paucisintomatici», dichiara alla Verità. «In questo quadro i tamponi di controllo diventano una cosa senza senso». Bassetti introduce anche un altro tema centrale: la situazione delle strutture sanitarie. «Dobbiamo lavorare soprattutto sui numeri ospedalieri», dice. «Oggi su dieci pazienti che entrano, nove non arrivano per il Covid, ma per tutt’altro. Però hanno tampone positivo». Come è facile immaginare, questo modo di contare i positivi produce artificialmente un allarme ingiustificato. «Stiamo fornendo numeri, anche all’estero, che non riflettono minimamente la realtà dell’Italia», continua Bassetti. «Oggi non c’è emergenza».In realtà, un aspetto realmente emergenziale della faccenda esiste, ma a crearlo è proprio l’insistenza sui tamponi. Lo ha chiarito molto bene Massimo Puoti, primario di Malattie infettive dell’ospedale Niguarda, parlando ieri con Repubblica. La sua radiografia della situazione è precisa e inquietante. «Più che l’ondata, ci spaventa la logistica ospedaliera», ragiona il primario. «Non abbiamo mai avuto un’ondata durante l’estate e questo al nostro interno crea problemi, perché ci sono le chiusure di reparti collegate al minore afflusso di pazienti, che tra l’altro consentono le ferie del personale che sono necessarie in ragione del superlavoro di questi anni». Puoti, dal campo, conferma ciò che dice Bassetti: «L’aumento c’è, ma i pazienti entrano per mille motivi e vengono trovati positivi al Covid, anche se asintomatci o con pochi sintomi. Quindi dobbiamo tenerli isolati, come prevedono le regole. Bisogna riconvertire spazi e letti, riorganizzare tutto. Ormai siamo abituati, ma è faticoso. […] Cominciamo ad avere anche sanitari che si infettano e devono stare a casa. Questo crea ulteriori complicazioni, perché bisogna incastrare le malattie, con le ferie, con i turni per coprire i reparti pieni di pazienti. È tutto abbastanza difficile dal punto di vista logistico».Siamo di nuovo allo stesso punto. I pazienti, persino quelli molto fragili, non presentano complicazioni polmonari causate dalle nuove varianti del virus. «Nelle rianimazioni la maggior parte delle persone non ha la polmonite come nella prima e seconda ondata, ma hanno altre problematiche collaterali ed un tampone positivo», dice Puoi. E conclude: «Se non sapessimo che è il Covid e non fossimo passati da questi due anni tragici di pandemia, non saremmo in questa situazione che ha del paradossale, in fondo».Insomma, il Covid non sta dando problemi gravi, ma se si fanno tamponi si trovano i positivi, e questi positivi vanno isolati o - se si tratta di professionisti ospedalieri - devono restare a casa, provocando una carenza di personale molto difficile da fronteggiare. Eppure, ancora adesso si continuano a fare test a persone che al massimo hanno un raffreddore o qualcosa di simile. Persino Andrea Crisanti, il guru del tracciamento, è arrivato ad ammettere che la nuova ondata «sarà come una vaccinazione di massa». Certo, non ci aspettiamo che Crisanti arrivi a contestare i suoi amati tamponi, ma le sue parole contribuiscono a disegnare un quadro piuttosto chiaro.Al quale tocca aggiungere una valutazione di tipo, diciamo, psicologico. Il sistema dei tamponi e del tracciamento è una delle più robuste colonne su cui si fonda il meccanismo liberticida del green pass. Se non si provvede ora a superare la psicosi da sorveglianza, fra pochi mesi l’intera macchina discriminatoria al servizio della Cattedrale sanitaria riprenderà, fatalmente, a funzionare. C’è un solo modo per impedirlo: basta tamponi, adesso.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/svolta-medici-basta-tamponi-2657608642.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tre-primari-sappellano-al-friuli-test-solo-ad-anziani-e-fragili" data-post-id="2657608642" data-published-at="1656988742" data-use-pagination="False"> Tre primari s’appellano al Friuli: «Test solo ad anziani e fragili» Ieri sera si è svolta una riunione della direzione Salute della Regione Friuli Venezia Giulia, per discutere assieme ai vari responsabili sanitari e amministrativi di problemi organizzativi legati ai ricoveri dei pazienti Covid e della possibilità di non fare più tamponi generalizzati. Proposta avanzata da tre primari di infettivologia, Massimo Crapis dell’ospedale di Pordenone, Carlo Tascini dell’unità complessa di Udine e Roberto Luzzati di Trieste, che hanno suggerito ai vertici regionali di eseguire test solo su sintomatici, anziani o popolazione a rischio. Gli altri, infatti, presentano perlopiù sintomi leggeri, trattabili a domicilio in pochi giorni e se non si facessero a tampone a tutti «avremo trovato sicuramente meno positivi», sostengono all’interno di un documento che è stato presentato, sull’opportunità una diagnostica differente escludendo pure il tampone obbligatorio all’ingresso in Pronto soccorso. Decisione non semplicissima per la Regione, ma che appare la soluzione più sensata considerando che, a fronte dei bollettini quotidiani che ripropongono numeri di contagiati e ricoverati, sono davvero pochi coloro i quali hanno bisogno di cure ospedaliere. «Il problema, semmai è un altro, ovvero l’annosa carenza di posti letto che appena crescono un po’ i ricoveri manda in sofferenza le strutture», spiega il dottor Crapis, responsabile del servizio di malattie infettive dell’Azienda sanitaria Friuli occidentale. Altro che «abbiamo strumenti che ci mancavano negli anni precedenti, nella prime fasi di battaglia contro il Covid», come sostiene il ministro della Salute, Roberto Speranza. «A Udine, il reparto di infettivologia ha 19 posti, a Trieste sono 15, a Pordenone non esisteva e si è creato un settore Covid con 24 letti. La maggior parte dei pazienti, però, ultrasettantenni, ha ben altre patologie, non sta male per il coronavirus, non dovrebbe essere curata da noi», prosegue il primario. «Tutto ciò è irragionevole per i malati, ed è frustrante per noi infettivologi, che ci troviamo in presenza di casi di Covid quasi sempre leggeri, privi di problematiche respiratorie e di complicanze, ma che non possiamo assistere nel migliore dei modi dal momento che anziani con tumori, scompensi cardiaci, disidratazione o un decadimento generalizzato hanno bisogno di altri specialisti». Crapis cita un episodio emblematico, ovvero una persona affetta da tubercolosi che la scorsa settimana è stato difficile ricoverare in reparto perché non c’era posto, malgrado fosse l’unico paziente ad avere bisogno di isolamento in quanto davvero contagioso. «Continuiamo con un modello lazzaretto, confinando persone che se non fossero risultate positive al tampone, mai sarebbero finite in malattie infettive. Invece, una volta individuati, anche se la sintomatologia grave oramai è residuale, sono sottoposti a una procedura che ormai andrebbe rivista». Il medico ribadisce che l’attenzione va spostata su anziani e persone con gravi patologie: «Sono loro che dovrebbero fare il tampone e indossare la mascherina».
Gertrude O'Brady.Il chiosco, s.d./LaM, Musée d’art moderne, d’art contemporain et d’art brut de Lille Métropole, Villeneuve d’Ascq© Philip Bernard
Dal Cubismo all’Art Brut, a Palazzo Zabarella di Padova in mostra (sino al 25 gennaio 2026) oltre 60 opere di 30 diversi artisti delle avanguardie del primo e del secondo dopoguerra, tutti provenienti dal LaM di Lille. Fra capolavori noti e meno conosciuti, anche cinque dipinti di Pablo Picasso e sei straordinarie tele di Amedeo Modigliani.
Susanna Tamaro (Getty Images)
La scrittrice Susanna Tamaro: «La società dimentica che la vita non ci appartiene, ma la morte non si affronta con le carte bollate. La lotta con il destino è essenziale perché dalla fragilità dell’esistenza è impossibile scappare».
Il punto di vista di Susanna Tamaro sul tempo presente è sempre originale. Nell’ultimo saggio, intitolato La via del cuore. Per ritrovare senso nella vita (Solferino), sulla scorta dell’inventore dell’etologia, Konrad Lorenz, utilizza le osservazioni sulla natura e gli animali per studiare la società contemporanea. A ben guardare, però, questo memoir può essere letto anche come una lunga preghiera per lo stato del pianeta. «È così», ammette la scrittrice, «non condivido la tendenza all’angelicazione dell’uomo o a vederlo come frutto dell’evoluzione».
Il principale operatore della rete elettrica nazionale registra ricavi pari a 2,88 miliardi (l’8,9% in più rispetto al 2024) e accelera nei progetti Tyrrhenian Link e Adriatic Link, al centro della strategia per la decarbonizzazione. Aumenta il peso delle rinnovabili.
Nei primi nove mesi del 2025 Terna, principale gestore della rete elettrica nazionale, ha consolidato la propria posizione strategica nel settore, segnando un’intensa crescita economico-finanziaria e un’accelerazione significativa degli investimenti a supporto della transizione energetica. Il consiglio di amministrazione, guidato da Igor De Biasio e con la presentazione dell’amministratore delegato Giuseppina Di Foggia, ha approvato risultati che provano la solidità del gruppo e il suo ruolo determinante nel percorso di decarbonizzazione del Paese.
Nel periodo gennaio-settembre, il fabbisogno elettrico italiano si è attestato a 233,3 terawattora (TWh), di cui circa il 42,7% è stato coperto da fonti rinnovabili. Tale quota conferma la crescente integrazione delle fonti green nel panorama energetico nazionale, un processo sostenuto dal potenziamento infrastrutturale e dagli avanzamenti tecnologici portati avanti da Terna.
Sul fronte economico, i ricavi del gruppo hanno raggiunto quota 2,88 miliardi di euro, con un incremento dell’8,9% rispetto agli stessi mesi del 2024. L’Ebitda, margine operativo lordo, ha superato i 2 miliardi (+7,1%), mentre l’utile netto si è attestato a 852,7 milioni di euro, in crescita del 4,9%. Risultati, questi, che illustrano non solo un miglioramento operativo, ma anche un’efficiente gestione finanziaria; il tutto, nonostante un lieve aumento degli oneri finanziari netti, transitati da 104,9 a 131,7 milioni di euro.
Elemento di rilievo sono gli investimenti, che hanno superato i 2 miliardi di euro (+22,9% rispetto ai primi nove mesi del 2024, quando il dato era di 1,7 miliardi), un impegno che riflette la volontà di Terna di rafforzare la rete di trasmissione e favorire l’efficienza e la sicurezza del sistema elettrico. Tra i principali progetti infrastrutturali si segnalano il Tyrrhenian Link, il collegamento sottomarino tra Campania, Sicilia e Sardegna, con una dotazione finanziaria complessiva di circa 3,7 miliardi di euro, il più esteso tra le opere in corso; l’Adriatic Link, elettrodotto sottomarino tra Marche e Abruzzo; e i lavori per la rete elettrica dedicata ai Giochi olimpici e paralimpici invernali di Milano-Cortina 2026.
L’attenzione ai nuovi sistemi di accumulo elettrico ha trovato un momento chiave nell’asta Macse, il Meccanismo di approvvigionamento di capacità di stoccaggio, conclusosi con l’assegnazione totale della capacità richiesta, pari a 10 GWh, a prezzi molto più bassi del premio di riserva, un segnale di un mercato in forte crescita e di un interesse marcato verso le soluzioni di accumulo energetico che miglioreranno la sicurezza e contribuiranno alla riduzione della dipendenza da fonti fossili.
Sul piano organizzativo, Terna ha visto una crescita nel personale, con 6.922 dipendenti al 30 settembre (502 in più rispetto a fine 2024), necessari per sostenere la complessità delle attività e l’implementazione del Piano industriale 2024-2028. Inoltre, è stata perfezionata l’acquisizione di Rete 2 S.r.l. da Areti, che rafforza la presenza nella rete ad alta tensione dell’area metropolitana di Roma, ottimizzando l’integrazione e la gestione infrastrutturale.
Sotto il profilo finanziario, l’indebitamento netto è cresciuto a 11,67 miliardi di euro, per sostenere la spinta agli investimenti, ma è ben bilanciato da un patrimonio netto robusto di circa 7,77 miliardi di euro. Il consiglio ha confermato l’acconto sul dividendo 2025 pari a 11,92 centesimi di euro per azione, in linea con la politica di distribuzione che punta a coniugare remunerazione degli azionisti e sostenibilità finanziaria.
Da segnalare anche le iniziative di finanza sostenibile, con l’emissione di un Green Bond europeo da 750 milioni di euro, molto richiesto e con una cedola del 3%, che denuncia la forte attenzione agli investimenti a basso impatto ambientale. Terna ha inoltre sottoscritto accordi finanziari per 1,5 miliardi con istituzioni come la Banca europea per gli investimenti e Intesa Sanpaolo a supporto dell’Adriatic Link e altri progetti chiave.
L’innovazione tecnologica rappresenta un altro pilastro della strategia di Terna, con l’apertura dell’hub Terna innovation zone Adriatico ad Ascoli Piceno, dedicato alla collaborazione con startup, università e partner industriali per sviluppare soluzioni avanzate a favore della transizione energetica e della digitalizzazione della rete.
La solidità del piano industriale e la continuità degli investimenti nelle infrastrutture critiche e nelle tecnologie innovative pongono Terna in una posizione di vantaggio nel garantire il sostentamento energetico italiano, supportando la sicurezza, la sostenibilità e l’efficienza del sistema elettrico anche in contesti incerti, con potenziali tensioni commerciali e geopolitiche.
Il 2025 si chiuderà con previsioni di ricavi per oltre 4 miliardi di euro, Ebitda a 2,7 miliardi e utile netto superiore a un miliardo, fra conferme di leadership e rinnovate sfide da affrontare con competenza e visione strategica.
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Il presidente venezuelano Nicolas Maduro (Getty Images)
L’operazione Southern Spear lanciata da Washington fa salire il rischio di escalation. Maduro mobilita 200.000 militari, denuncia provocazioni Usa e chiede l’intervento dell’Onu, mentre l’opposizione parla di arruolamenti forzati e fuga imminente del regime.
Nel Mar dei Caraibi la tensione fra Venezuela e Stati Uniti resta altissima e Washington, per bocca del suo Segretario alla Guerra Pete Hegseth, ha appena lanciato l’operazione Southern Spear. Questa nuova azione militare è stata voluta per colpire quelli che l’amministrazione Trump ha definito come i narco-terroristi del continente sudamericano ed ha il dichiarato obiettivo di difendere gli Stati Uniti dall’invasione di droga portata avanti da questi alleati di Maduro. Intanto è stata colpita la 21ª imbarcazione, accusata di trasportare droga verso il territorio statunitense, facendo arrivare a circa 80 il numero delle vittime.
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha ordinato alle forze armate di essere pronte ad un’eventuale invasione ed ha dispiegato oltre 200mila militari in tutti i luoghi chiave del suo paese. il ministro della Difesa Vladimir Padrino Lopez sta guidando personalmente questa mobilitazione generale orchestrata dalla Milizia Nazionale Bolivariana, i fedelissimi che stanno rastrellando Caracas e le principali città per arruolare nuove forze.
L’opposizione denuncia arruolamenti forzati anche fra i giovanissimi, soprattutto nelle baraccopoli intorno alla capitale, nel disperato tentativo di far credere che la cosiddetta «rivoluzione bolivariana», inventata dal predecessore di Maduro, Hugo Chavez, sia ancora in piedi. Proprio Maduro si è rivolto alla nazione dichiarando che il popolo venezuelano è pronto a combattere fino alla morte, ma allo stesso tempo ha lanciato un messaggio di pace nel continente proprio a Donald Trump.
Il presidente del Parlamento ha parlato di effetti devastanti ed ha accusato Washington di perseguire la forma massima di aggressione nella «vana speranza di un cambio di governo, scelto e voluto di cittadini». Caracas tramite il suo ambasciatore alle Nazioni Unite ha inviato una lettera al Segretario Generale António Guterres per chiedere una condanna esplicita delle azioni provocatorie statunitensi e il ritiro immediato delle forze Usa dai Caraibi.
Diversi media statunitensi hanno rivelato che il Tycoon americano sta pensando ad un’escalation con una vera operazione militare in Venezuela e nei primi incontri con i vertici militari sarebbe stata stilata anche una lista dei principali target da colpire come porti e aeroporti, ma soprattutto le sedi delle forze militari più fedeli a Maduro. Dal Pentagono non è arrivata nessuna conferma ufficiale e sembra che questo attacco non sia imminente, ma intanto in Venezuela sono arrivati da Mosca alcuni cargo con materiale strategico per rafforzare i sistemi di difesa anti-aerea Pantsir-S1 e batterie missilistiche Buk-M2E.
Dalle immagini satellitari si vede che l’area della capitale e le regioni di Apure e Cojedes, sedi delle forze maduriste, sono state fortemente rinforzate dopo che il presidente ha promulgato la legge sul Comando per la difesa integrale della nazione per la salvaguardia della sovranità e dell’integrità territoriale. In uno dei tanti discorsi alla televisione nazionale il leader venezuelano ha spiegato che vuole che le forze armate proteggano tutte le infrastrutture essenziali.
Nel piano presentato dal suo fedelissimo ministro della Difesa l’esercito, la polizia ed anche i paramilitari dovranno essere pronti ad una resistenza prolungata, trasformando la guerra in guerriglia. Una forza di resistenza che dovrebbe rendere impossibile governare il paese colpendo tutti i suoi punti nevralgici e generando il caos.
Una prospettiva evidentemente propagandistica perché come racconta la leader dell’opposizione Delsa Solorzano «nessuno è disposto a combattere per Maduro, tranne i suoi complici nel crimine. Noi siamo pronti ad una transizione ordinata, pacifica e che riporti il Venezuela nel posto che merita, dopo anni di buio e terrore.»
Una resistenza in cui non sembra davvero credere nessuno perché Nicolas Maduro, la sua famiglia e diversi membri del suo governo, avrebbero un piano di fuga nella vicina Cuba per poi probabilmente raggiungere Mosca come ha già fatto l’ex presidente siriano Assad.
Intanto il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha espresso preoccupazione per i cittadini italiani detenuti nelle carceri del Paese, sottolineando l’impegno della Farnesina per scarcerarli al più presto, compreso Alberto Trentini, arrestato oltre un anno fa.
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