2020-09-23
Sventato il golpe sui servizi segreti. Il Copasir rimette in riga Giuseppi
Giuseppe Conte (Antonio Masiello, Paolo Tre, POOL via Getty Images)
Il premier Conte, convocato dal Comitato di controllo parlamentare, fa marcia indietro dopo il blitz di agosto (con tanto di voto di fiducia) che scatenò la fronda grillina. La norma sarà corretta nel prossimo decreto.Avvenire prende (a sorpresa) le difese di Pechino contro Mike Pompeo. Il capo della diplomazia Usa si batte per i cattolici minacciati dal regime comunista.Lo speciale contiene due articoli.Dentro le silenziose stanze di Palazzo San Macuto, dove si riunisce il Comitato per la sicurezza della Repubblica, il premier, Giuseppe Conte, fa marcia indietro. Accetta di cambiare la legge blitz sulle nomine dei vertici dei servizi infilata nottetempo nel decreto Emergenza. Era il 29 luglio, quando senza informare il Parlamento né il Copasir il premier aggiunge un articolo che gli permette di modificare in modo strutturale la legge statutaria sull'intelligence datata 2007. Pur lasciando invariato il periodo massimo per l'incarico dei direttori di Aise, Aisi, e Dis, cambia la possibilità di gestire i rinnovi portandoli a più di due. Con la conseguenza di avviare incarichi anche per pochi mesi a discapito dell'indipendenza istituzionale dei capi dei servizi. Nello specifico il primo effetto del blitz sarebbe stato quello di permettere al numero uno dell'Aisi, Mario Parente di restare in carica. Nonostante a fine giugno il decreto amministrativo che avrebbe dovuto consentirgli un rinnovo era stato bocciato dalla Corte dei conti. La notizia del blitz solleva un polverone. E alcune testate giornalistiche si dilungano a raccontare le ricadute possibili anche sui vertici del Dis, sebbene Gennaro Vecchione sia ancora in pieno mandato. Il Copasir ad agosto si muove e cerca almeno dal punto di vista formale di avviare contatti politici che spingano Palazzo Chigi a riportare il tema nell'alveo della democrazia parlamentare. Sulle colonne della Verità interviene anche il rappresentante dem al Copasir Enrico Borghi. Anche la sua voce è critica soprattutto nei confronti delle modalità del blitz e conferma la disponibilità del Pd a trovare una soluzione in Aula. Adolfo Urso ancor più esplicitamente si muove per attaccare la decisione e al tempo stesso fornire una sorta di scialuppa politica. La scelta di Fratelli d'Italia è quella della ricomposizione del guaio e non della rottura. Anche Raffaele Volpi, presidente e rappresentante della Lega, tiene un profilo basso dal punto di vista mediatico. Salvo poi assistere assieme ai colleghi e ai rappresentanti degli altri partiti alla deflagrazione della bomba lanciata dai 5 stelle in Aula, proprio contro il premier che sostengono e hanno espresso per ben due volte. Tre settimane fa, infatti, ben 50 grillini insorgono. La deputata che rappresenta il Movimento al Copasir, Federica Dieni, firma il testo per abrogare l'intero articolo 6 e con lei mettono la firma altri 49 onorevoli. Ne sono informati subito il leader grillino Vito Crimi, ma anche Carlo Sibilia e Angelo Tofalo rispettivamente sottosegretario all'Interno e alla Difesa. I firmatari sono un quarto del battaglione grillino alla Camera. Un numero che non può essere sottovalutato. Interviene Crimi per fare ritirare l'emendamento. Il tentativo non riesce, e così si muove Conte, mettendo direttamente la fiducia sull'intero decreto. L'intervento manu militari del premier sfilaccia tutti i rapporti politici, ma soprattutto spinge più in là il blitz fino a trasformarlo in quella che potrebbe essere definita la peggiore riforma dei servizi degli ultimi 20 anni. Su spinta di Fratelli d'Italia e Lega Conte viene convocato davanti al Comitato per dare spiegazioni più che del contenuto della norma, della forma con cui ha posto in essere il blitz. Per capirsi, la legge lascia il massimo potere di gestione dei servizi al premier, ma certo non il potere di cambiare la legge che per definizione compete al Parlamento. Così ieri, accantonate le altre questioni bollenti (porti, liste di spionaggio cinese e 5G) le due ore di audizione sono state tutte dedicate a trovare una soluzione. Evidentemente le pressioni del Copasir e almeno quelle di metà partiti dell'arco parlamentare hanno costretto Conte a fare marcia indietro. E - magari accordandogli la possibilità di salvarsi la faccia - a soprassedere sui prossimi emendamenti. In pratica, già oggi il Senato, prendendo tra le mani il decreto Emergenza, potrebbe tentare di modificare la norma. I tempi sono però troppo stretti (non c'è la possibilità di un terzo passaggio). Così si proverà a siglare l'accordo la prossima settimana dentro il decreto Agosto. Come? Ci sono ancora sul piatto diverse ipotesi. Una delle quali prevederebbe la possibilità di legare la modifica dell'articolo in discussione allo stato di emergenza. Il che vorrebbe dire piena continuità e tempo per avviare una riforma condivisa da tutti i partiti. «A seguito dell'audizione odierna del presidente del Consiglio, alla luce delle considerazioni svolte e condivise in tale sede, i componenti del Comitato auspicano che il Parlamento possa intervenire, in uno dei prossimi provvedimenti, sulle norme della legge 124 del 2007 in materia di nomina dei direttori delle agenzie di informazione e sicurezza, in uno spirito di collaborazione che non può e non deve mancare in un ambito così rilevante e significativo per il Paese, quale la sicurezza della Repubblica», spiega ufficialmente il presidente Volpi. In pratica, si cerca lo «spirito di collaborazione» per mettere mano a una normativa vecchia di 13 anni e che deve essere aggiornata, non solo nella parte delle nomine, ma nel suo complesso, in modo che sia «adeguata all'evoluzione del quadro istituzionale e alle nuove minacce per la sicurezza». Conte cerca di uscirne in silenzio sperando che in molti si dimentichino del blitz d'agosto. Farebbe comodo non solo a lui, e - a dire il vero - sarebbe la migliore via d'uscita per l'efficienza dello Stato. Si riparerebbe a una brutta pagina senza troppi danni. La maggioranza dem preferirebbe perseguire questa strada e lo stesso anche il centro destra che in questo momento tra lo strappo con Conte e una soluzione lungimirante per consentire ai direttori dei servizi di operare in serenità istituzionale sceglierebbe la seconda. Certo, c'è sempre la fronda grillina che incombe.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sventato-il-golpe-sui-servizi-segreti-il-copasir-rimette-in-riga-giuseppi-2647771547.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="l-avvenire-del-vaticano-e-la-cina" data-post-id="2647771547" data-published-at="1600813852" data-use-pagination="False"> L’«Avvenire» del Vaticano è la Cina Avvenire contro Mike Pompeo. Il quotidiano dei vescovi italiani ha di fatto criticato ieri la bocciatura, recentemente espressa dal segretario di Stato americano, dell'accordo tra la Santa Sede e la Cina. Un accordo, ricordiamolo, stipulato nel settembre del 2018. Un accordo che, salvo eclatanti sorprese, dovrebbe essere rinnovato il mese prossimo. Avvenire ha esplicitamente parlato di «ingerenza» da parte dell'amministrazione statunitense, sostenendo che molto probabilmente lo Zio Sam non riuscirà comunque a mettere realmente in crisi quell'intesa. «È difficile pensare», ha affermato l'articolo, «che l'uscita di Pompeo possa spostare, anche di una sola virgola, la posizione vaticana riguardo il dialogo con Pechino». A tal proposito, Avvenire ha citato la posizione del segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, secondo cui sarebbe auspicabile un prolungamento dell'accordo. In questo senso, conclude il quotidiano, «se le parole di Pompeo non cambieranno l'attitudine vaticana, può accadere invece che, paradossalmente, vadano a rafforzare l'intesa sino-vaticana. Oggi più che mai, Pechino è disposta a maggiori concessioni con interlocutori criticati piuttosto che “benedetti" da Washington». Ricordiamo che, sabato scorso, Pompeo aveva esortato la Santa Sede a non rinnovare l'accordo con Pechino: un elemento che sarà prevedibilmente al centro della visita ufficiale che il capo della diplomazia americana effettuerà la prossima settimana in Vaticano. Avvenire ha, come abbiamo visto, preso le difese dell'intesa e ha molto probabilmente ragione quando ritiene difficile che Pompeo sarà in grado di convincere la Santa Sede a bloccare il disgelo con la Repubblica popolare. Resta tuttavia irrisolto il problema dei contenuti. Perché, alla fine, gli Stati Uniti avranno anche un interesse politico nella loro contrarietà all'accordo (Washington teme infatti che la distensione tra Vaticano e Cina possa consentire a quest'ultima un deciso rafforzamento sul piano diplomatico). Tuttavia quanto il Dipartimento di Stato americano mette in luce non può essere ignorato. Soprattutto quando punta il dito contro la condizione dei cattolici in Cina: condizione che, nonostante l'intesa del 2018, non sembra granché migliorata rispetto al passato. Invece di parlare (un po' sbrigativamente) di «ingerenza», sarebbe stato quindi forse meglio prima rispondere a due domande. È vero o no che la libertà religiosa in Cina risulta ancora fortemente compromessa? È vero o no che, almeno da un anno, l'amministrazione Trump sta cercando una sponda con la Santa Sede sulla difesa proprio della libertà religiosa? Per quanto riguarda la prima domanda, ricordiamo che sabato scorso Catholic news agency ha riferito che il governo cinese starebbe continuando a imprigionare sacerdoti e vescovi che si rifiutano di sostenere il Partito comunista: una situazione cupa, che riguarderebbe soprattutto la provincia dello Jiangxi. Non si capisce dunque quali siano le effettive «concessioni» che Pechino avrebbe garantito alla Santa Sede: una Santa Sede che, svincolandosi dagli Stati Uniti, gode tra l'altro di un potere negoziale particolarmente fragile davanti al dragone cinese. In riferimento alla seconda domanda, ricordiamo invece che, quando Pompeo si recò in visita in Vaticano lo scorso ottobre, si concentrò specificamente sulla questione della libertà religiosa. Tema, quest'ultimo, che – anche al di là della Cina – l'amministrazione Trump ha inserito da tempo tra i punti cardine della propria agenda politica.
(Ansa)
Il ministro Guido Crosetto in occasione dell'82°anniversario della difesa di Roma: «A me interessa che gli aiuti a Gaza possano arrivare, le medicine possano arrivare, la vita normale possa riprendere». Nonostante tutto, Crosetto ha ben chiaro come le due guerre più grandi - quella Ucraina e quella a Gaza - possano cessare rapidamente. «Io penso che la decisione di terminare i due conflitti sia nelle mani di due uomini: Putin e Netanyahu».