2024-04-07
La superiorità morale dei progressisti non esiste
Loro sono diversi. Sta scritto nelle tavole della legge e pure nel loro Dna. Essendo di sinistra, ne consegue che siano antropologicamente, culturalmente, moralmente, eticamente e politicamente diversi. Non c’è neppure da discuterne. Un compagno è superiore per definizione. Poi sì, ci sono i compagni che sbagliano, che sparano o che spaccano la testa a chi comunista non è. Oppure che prendono mazzette o pagano 50 euro per comprare i voti necessari a farsi eleggere. Ma sono compagni che sbagliano. Anzi, sono fascisti camuffati da compagni. Gente di destra, insomma.Lo so, il complesso di superiorità con cui a sinistra si assolvono di fronte a casi come quello di Bari, dove alcuni esponenti del Pd sono stati beccati con il sorcio in bocca, ovvero con l’elenco dei consensi comprati e venduti, è insopportabile. E indigeribile è pure il modo con cui si giustificano vicende come quelle di Torino, dove nell’organismo che doveva vigilare sulle infiltrazioni mafiose, il Partito democratico avrebbe infilato un tizio in combutta con le ’ndrine. Sentire personaggi di spicco del principale partito progressista che giustificano consiglieri e assessori presi con le mani nel sacco, ritenendoli «eccezioni», anzi provocatori che cercano di mettere in difficoltà gli esponenti di un partito specchiato, mi pare non soltanto una colossale bugia, ma pure una presa in giro degli italiani. Poco ci manca che dicano di volersi costituire parte lesa contro i compagni sorpresi a maneggiare soldi e favori.Eppure, nonostante l’assurdità di una difesa che nega l’evidenza, ogni volta che la magistratura scoperchia qualche altarino, in tv si nascondono dietro le parole di Enrico Berlinguer, che essendo morto da quarant’anni dovrebbe essere lasciato in pace. E invece no, non passa settimana che qualche esponente del Pd, di fronte a compagni indagati o arrestati, sorpresi con la mazzetta in mano o mentre organizzano qualche malaffare, ripeta che loro sono gli eredi di colui che per primo sollevò la questione morale. E dire che nel frattempo è trascorso quasi mezzo secolo e il «bonus Berlinguer» ormai dovrebbe essere estinto, anche perché - con il dovuto rispetto per lo scomparso segretario del Pci - si fa fatica a immaginare che Elly Schlein sia la naturale prosecuzione del segretario del Pci. Dunque, che senso ha nascondersi dietro una figura tragicamente scomparsa quarant’anni fa? Invece ogni volta si ritorna lì, all’immacolata rappresentazione, all’immaginetta sacra agitata fuori tempo massimo, al santino calato come jolly. A nessuno dovrebbe essere consentita una tale strumentalizzazione. Soprattutto, nessuno dovrebbe essere considerato al di sopra di ogni sospetto.Berlinguer parlò della questione morale prima di Tangentopoli, dopo che per anni il Partito comunista aveva ricevuto miliardi dall’Unione sovietica. Ma la scena politica allora era almeno divisa in due blocchi, con un fronte occidentale sostenuto dall’America e un altro dalla cortina di ferro. Niente a che vedere con oggi, dove a volte, a sostenere le giunte di sinistra ci pensa la corruzione, come pure capita con quelle di centrodestra.No, nessuno, oggi può invocare un’assoluzione a prescindere. Nessuno può usare una storia passata per ottenere una speciale immunità. E anche la pretesa contaminazione di una sinistra che sarebbe stata infettata dalla destra è non solo una sciocchezza, ma anche un insulto nei confronti dell’opinione pubblica. A Bari i voti sono stati comprati imbarcando esponenti di altri partiti per sostenere amministrazioni traballanti, mentre a Torino esisteva un sistema di scambio di favori. Altro che diversi e immuni. A sinistra si pratica il peggior clientelismo e la peggiore corruzione. E la sola diversità rispetto alla destra è il complesso di superiorità. Loro si sentono migliori. Anche quando rubano e quando corrompono. E tutto ciò è, per le persone oneste, ancora più insopportabile.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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