2022-01-25
Sull’utero in affitto la Cassazione fa politica
Le toghe si sostituiscono ancora al legislatore su temi etici: la Corte vorrebbe che i nati da maternità surrogata fossero equiparati a quelli adottati da coppie gay. La legge non c’è, ma gli alti giudici invitano il Parlamento a svegliarsi. E a fare quello che dicono loro.Mentre i parlamentari contano i primi voti del balletto per il Quirinale, i giudici si trasformano in parlamentari e fanno politica. Quanto volentieri non si sa, ma la fanno. In materia di maternità surrogata, la Cassazione ha infatti chiesto lumi a sé stessa a sezioni unite per capire se «si sia creato un vuoto normativo» dopo che lo scorso anno la Corte costituzionale aveva definito inidonea l’adozione di bambini nati con l’utero in affitto. Questo perché in Italia la pratica è illegale e le coppie gay si rivolgono all’estero, dove l’acquisto di minori è una tendenza Lgbtq ed è favorito da numerose fiere dedicate (le ultime a Bruxelles e Parigi).Ci troviamo davanti a tre autorevoli consessi togati (Cassazione, Cassazione sezioni unite, Corte costituzionale) e a un evidente corto circuito. Tutto ciò su un delicatissimo tema etico che dovrebbe essere dibattuto e districato esclusivamente da Camera e Senato. È il risultato dell’abdicazione progressiva della classe politica e dell’esuberanza (o invadenza) di quella giudiziaria. Il Parlamento dovrebbe essere il sensore principale della società, capace di interpretarne le necessità, valutarne le richieste e legiferare a maggioranza. In un clima da campagna elettorale permanente, in qualche modo esautorati dalle loro prerogative in questi due anni di predominio sanitario dell’esecutivo, i partiti si trovano invece con le spalle al muro quando la realtà bussa, irrompe, chiede risposte.Il caso è concreto e il vulnus si vede a occhio nudo. Nell’aprile dello scorso anno la Cassazione a sezioni unite aveva dato definitivamente il via libera al riconoscimento dei bambini adottati all’estero da coppie gay. Con la formula: «Non può essere un elemento ostativo all’adozione il fatto che il nucleo familiare sia omogenitoriale». La sentenza riguardava il rifiuto del sindaco di un Comune della Lombardia di trascrivere l’adozione (avvenuta a New York) di un bambino da parte di una coppia costituita da un cittadino italiano e da un americano. In assenza di una legge, i giudici hanno definito il perimetro della vicenda - che va avanti da 5 anni e adesso il bambino ne ha 10 - richiamandosi anche alla precisa richiesta fatta dalla Corte costituzionale al Parlamento di riempire il buco normativo «ampliando le condizioni di accesso all’adozione legittimante». Questo perché fin dagli anni Novanta i tribunali si confrontano con «richieste di costituzione di status genitoriali adottivi da parte di soggetti diversi dalle coppie coniugate eterosessuali». Traduzione: il problema si pone da decenni ed è bene che il legislatore si svegli. Fin qui la parte facile. Le difficoltà cominciano allorché da questi aventi diritto vengono esclusi coloro che fanno ricorso alla maternità surrogata, vale a dire la gestazione per altri, per il semplice fatto che in Italia l’utero in affitto è considerato reato. Quei minori rischiano di rimanere nel limbo, senza uno status giuridico. Più di un anno fa la Consulta si era espressa con preoccupazione, chiedendo al Parlamento di legiferare sul tema «anche per consentire di adottare uno strumento processuale più adeguato e calibrato sui valori costituzionali». Visto che Camera e Senato non si sono espressi, ora la Cassazione si sente in dovere di riempire il vuoto: chiede lumi, sollecita sentenze, ritiene che «la soluzione del divieto generalizzato di riconoscere il genitore di intenzione non sia l’unica adottabile». E alla fine rischia di intestarsi una nuova norma di fatto che ogni tribunale applicherà.È stato così per la sedazione palliativa, per il suicidio assistito (ci avviamo verso l’eutanasia senza una legge), per le adozioni gay. Colpi di maglio, spallate togate sentenza dopo sentenza. Potrebbe essere così anche per le adozioni di bambini nati da maternità surrogata. Gli interessi in gioco sono diversi e il punto di equilibrio è molto piccolo ma dovrà essere luminoso come una stella polare: tutela dei minori, ordine pubblico e necessità di scoraggiare una pratica che la stessa Corte costituzionale aveva definito «un’offesa alla donna». Siamo sicuri che questo punto di equilibrio debba trovarlo un giudice? Domanda retorica e risposta negativa.Sarà una legge della fisica, ma in Italia la pratica dell’occupazione degli spazi vuoti è diventata uno sport. Per la verità i giudici fissano sempre dei paletti. Anche sulle adozioni gay, nella sentenza sul caso specifico si legge che il provvedimento «si fonda sul consenso dei genitori biologici e sugli esiti di un’indagine relativa all’idoneità della coppia adottante». In caso di «gestazione per altri» è necessario verificare eventuali passaggi di denaro determinati da accordi vietati dal nostro ordinamento. Controlli severi. Le richieste di trascrizione dovranno essere valutate caso per caso. Tutto bello, anche se sostituirsi al Parlamento resta il peccato originale.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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