2019-03-11
Sulle orme della mafia nigeriana. Clan albanesi all’assalto dell’Italia
Baby squillo, droga, esecuzioni senza pietà e crudeli codici d'onore: nel silenzio generale sta crescendo la Cupola di Tirana. È la seconda malavita straniera per pericolosità. Epicentri in Lombardia e Puglia.Un solo colpo di pistola al cuore. Il più veloce a sparare resta in vita. Chi arriva secondo muore. Si sono affrontati come si faceva un tempo. Come in un duello del 1800. Ma la contesa non era per una donna, il più classico movente dell'epoca, bensì per il controllo del mercato delle prostitute, anche minorenni. L'omicidio di Ilir Berisha, albanese, di 24 anni, ucciso a Cermenate, in Brianza, risale a poco più di un anno fa. È stato sbrogliato dai carabinieri nel giro di pochi giorni e ha portato alla condanna di un suo connazionale. È solo uno dei tanti delitti commessi in Italia da albanesi con la rivoltella a portata di mano e con un codice antichissimo impresso nel dna: il «kanun», risalente addirittura al Medioevo e sopravvissuto a Giorgio Castriota Skanderberg, il padre dell'Albania moderna che guidò la rivolta contro gli Ottomani, e al regime comunista ultraortodosso di Enver Hoxha. Un codice che ricorda la legge del taglione e che autorizza la vittima di un crimine a ripagare con la stessa moneta. «Il sangue chiama il sangue», dice a Luigi Pelazza delle Iene la mamma di Gjergi Gjonj, un ragazzo albanese ucciso in Italia a Vaprio d'Adda, in provincia di Milano. A sparare fu Francesco Sicignano, per difendersi, a casa sua, da una rapina. L'accusa di omicidio è stata archiviata, perché si trattava, hanno riconosciuto i giudici, di legittima difesa. I genitori del ladro, però, ora vogliono applicare il kanun e vendicarsi con il sangue. Sono così sfrontati da dirglielo in faccia, guardando fisso nella telecamera: «Uccideremo te o uno dei tuoi figli, anche tramite un sicario». Da allora Sicignano vive nel terrore. Anche perché di potenziali sicari albanesi l'Italia è piena. «Qui, se ti prendono, ti fai 24 ore in cella e torni libero». Il capo di una banda albanese stava reclutando nuovi uomini per le sue attività criminali, quando uno degli interpreti dei magistrati milanesi ha capito che quella intercettazione era da sottolineare. Era facile immaginare che da lì a poco di criminali albanesi in Italia ne sarebbero arrivati tanti. Facili guadagni grazie ai traffici illeciti e basso rischio di stare dietro le sbarre.Il loro business in Italia è concentrato su due tipologie di merce: la droga e le schiave. Tonnellate di marijuana ed eroina da scaricare soprattutto in Puglia e ragazze, baby prostitute, da buttare sui marciapiedi delle città italiane. I blitz ogni anno sono a decine: a settembre la polizia ha smantellato un'organizzazione che controllava Arosio, Lentate sul Seveso, Bregnano, Cermenate, Figino Serenza, Vertemate con Minoprio, Mariano Comense. Un mese prima sono scattati arresti ad Asti. E ancora: a Pescara, a Prato, a Bologna. Le baby squillo mandate per strada hanno raccontato agli investigatori di essere arrivate in Italia consapevoli del lavoro che avrebbero dovuto fare. La mafia albanese, spietatissima, è ormai così radicata da essersi guadagnata, stando all'ultimo rapporto semestrale della Direzione investigativa antimafia, la seconda posizione, dopo la criminalità organizzata nigeriana, sul podio delle mafie straniere più diffuse e pericolose in Italia. Le statistiche sono allarmanti: 2.485 detenuti in Italia sono albanesi, il 12,8 per cento del totale. Quelli denunciati a piede libero sono 1.954.Le fette del mercato criminale che gli albanesi riescono a coprire sono impressionanti: per la droga, grazie agli accordi con i calabresi, sono tra i primi importatori; per la prostituzione, invece, le albanesi, stando alle stime di Caritas, riescono a coprire il 12 per cento dell'offerta totale. Nel 2013 erano al 6 per cento. Segno, questo, che le organizzazioni hanno, evidentemente, saputo sfruttare a loro vantaggio l'ingresso dell'Albania nell'area Schengen e dunque, con la conseguente liberalizzazione dei visti, riescono a far entrare in Italia le prostitute con un semplice permesso turistico. «L'anno scorso sono state 163 le donne contattate sulla provinciale Binasca, nella quale sono ricompresi i Comuni di Melegnano, Carpiano, Siziano, Landriano, Lacchiarella e Pieve Emanuele», spiega Marzia Gotti, coordinatrice dei servizi di prossimità territoriale e responsabile dell'attività culturale della Lule, attivissima associazione anti-tratta. In 58 casi si trattava di albanesi. Un epicentro, quindi, è la Lombardia. L'altro è la Puglia. È sulle coste pugliesi che, grazie ai contatti con la Sacra corona unita ormai risalenti ai tempi degli esodi degli anni Novanta, attraccano i potenti motoscafi hi-tech della mala di Tirana e Valona. Da lì poi, con il benestare della 'ndrangheta, gli albanesi si muovono per tutto lo Stivale. Con i calabresi c'è intesa, sottolineano dalla Direzione nazionale antimafia già dallo scorso anno. Anche perché la struttura interna della mala albanese è molto simile a quella della 'ndrangheta: i clan sono di solito una vera e propria famiglia di sangue.Il cordone protettivo omertoso è, quindi, garanzia di affidabilità: niente pentiti corrisponde ad avere meno guai. E questo i boss lo sanno bene. Anche le Procure antimafia hanno dovuto attrezzarsi e, per entrare nelle logiche dei capibastone albanesi, hanno dovuto prima approfondire i loro canoni. Il kanun è diventato quindi il movente di alcuni dei più efferati omicidi di stampo mafioso commessi negli ultimi anni in Italia. Il 10 novembre 2016 Milano si sveglia con una notizia cruenta: due cugini albanesi vengono freddati per strada a Canegrate nell'ambito di un regolamento di conti tra due gruppi che si contendevano il mercato della droga. Gli animi erano già tesi ed è bastato uno sgarro per far scattare la prova di forza. I due cugini erano accusati dal Tribunale della mafia albanese di aver pestato uno degli sgherri dell'altra banda. La reazione è stata immediata e le due vittime si sono ritrovate con un bel po' di piombo in corpo. Gli investigatori, a quel punto, hanno temuto una faida, perché stando alle regole del kanun, i parenti di chi viene ucciso possono a loro volta uccidere di diritto i killer o i loro parenti maschi sino al terzo grado, purché di età superiore ai 14 anni. Secondo la Dia, quindi, il kanun continua a essere osservato in maniera rigorosa in ambienti criminali e applicato come alternativa a qualsiasi forma di diritto. In Italia, insomma, i boss albanesi considerano il codice penale carta straccia e per i loro contenziosi applicano il kanun. Il contagio è stato così veloce che i carabinieri della Capitanata, come ricostruisce Il Mattino di Foggia, ritengono che dietro a quattro morti ammazzati l'estate scorsa a San Marco in Lamis e ad altri sette omicidi di mafia del 2017 ci siano questioni di droga legate ai balcani. «Sono stati i traffici di stupefacenti con l'Albania a creare la nuova guerra di mafia», spiega il colonnello Marco Aquilio, che a Foggia guida il Comando provinciale. I fiumi di droga che arrivano in Puglia partono subito per la Lombardia. Il canale è diretto. Uno dei signori dell'import-export è Fatos Bakaj, ma come nome di battaglia ha scelto Piro. Gira l'Italia dai tempi degli sbarchi di massa e già dal 2004 si occupava di droga. A Roma lo arrestarono ma dopo tre anni approfittò di un permesso premio per sparire nel nulla. Da allora è nel mirino della Procura di Milano. Nel 2011 finisce di nuovo sotto accusa e due anni dopo le autorità albanesi lo catturano a Durazzo e lo spediscono in Italia. Le ultime notizie raccontano che sarebbe in carcere a Saluzzo. Ma per gli investigatori il capoja della droga è ancora lui. Un'inchiesta milanese ribattezzata Aquila nera ricostruisce i giri di Piro Bakaj. E dopo Bari e Milano punta i riflettori su un'altra area città sotto il controllo albanese: San Benedetto del Tronto. Lì viene scaricata l'eroina che parte per Como. Il magazziniere, ha ricostruito l'inchiesta, era Shkelzen Tafa, uno degli uomini più vicini a Piro Bakaj. In via Varesina, a casa di Tafa e di sua moglie Adelina, la banda aveva fissato l'interporto per il mercato svizzero. Quando lo hanno arrestato aveva in casa due chili di eroina e 50 di sostanza da taglio che poteva trasformare la polvere bianca in affare milionario.
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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