2022-06-07
Sul Garda la sottomissione è salita di livello
Migliaia di africani di seconda generazione si sono radunati a Peschiera apposta per creare caos e infrangere leggi, con un’azione impostata su base etnica. Si sono scatenati al grido di «italiani spazzatura»: ecco dove ci hanno portato decenni di buonismo miope.«Peschiera come l’Africa». «Africa a Peschiera». Peschiera=Africa». «Peschiera è del Africa» (sic). «Peschiera come Senegal». «Peschiera come giungla». «Peschiera è Africa ormai». «Peschiera è nera». «Peschiera è nostra» (con le bandiere di Marocco e Tunisia). «Peschiera è stata colonizzata». Bisogna vedere i video di Tik Tok, leggere le scritte e i commenti che li corredano, per capire davvero quello che è successo in questi giorni: la molestie alle ragazzine che tornavano da Gardaland sono già di per sé un episodio di una gravità inaudita, si capisce. Ma ancor più devono far paura perché non sono frutto di una violenza occasionale, di un raptus folle e sconsiderato. Sono, invece, frutto di una violenza collettiva, organizzata e programmata. I giovani nordafricani che gridavano alle adolescenti «le donne bianche non salgono sul treno» sono, infatti, gli stessi che poco prima, sulla spiaggia di Peschiera, gridavano «Qui è l’Africa» e «Vi abbiamo colonizzati». Vantandosi di aver trasformato la località turistica sul lago in un sobborgo di Dakar o Marrakesh. Si possono chiudere gli occhi, ci si può arrampicare sugli specchi come fanno le femministe a corrente alternata come Michela Marzano e Elena Stancanelli che, pur di non prendere atto della realtà, arrivano ad accusare i controllori del treno colpevoli di non far rispettare l’obbligo delle mascherine in carrozza (giuro: l’ha scritto davvero) o si preoccupano di difendere gli stupratori più che le ragazze stuprate (non si dica che sono maschi neri). Ma la verità è evidente: quella che si è verificata il 2 giugno a Peschiera è stata la prima prova generalizzata di sottomissione dell’Italia. Un pezzo del nostro Paese, per altro, paradossalmente, proprio nel giorno della festa della Repubblica, è stato sottratto al controllo delle nostre leggi e delle nostre istituzioni. Ed è diventato Africa. È passato nelle mani di torme di giovani immigrati di seconda o terza generazione che ci considerano terra da conquistare. Non si tratta di illazioni. L’hanno dichiarato loro negli inviti social che hanno dato il via al raduno e nei commenti che l’hanno accompagnato: «Addio Italia», «Africa 2022», «Lombardia=Nord Africa» i più gettonati. Poi anche: «Italiani spazzatura» e «a casa mangiapasta». Chi c’è a Peschiera?, chiede qualcuno. «Tutti le nazionalità apparte gli italiani», la risposta. «Apparte», proprio così. Evidentemente è più facile sottomettere l’Italia che l’italiano. Nelle prime ore abbiamo sottovalutato quel che è successo a Peschiera il 2 giugno. Non l’abbiamo capito subito. Sembrava una questione di più o meno ordinarie risse tra giovani, incidenti, scontri, rapine, tafferugli con la polizia in tenuta antisommossa, che pure sarebbe già piuttosto grave, per la verità. Invece, purtroppo, è molto di più. A Peschiera infatti è stata una prova generale di africanizzazione. Come recitavano gli slogan: «Peschiera è nostra». «Peschiera è stata colonizzata», etc. «Se non sei a Peschiera giovedì 2 giugno ti perdi l’Africa in un solo posto», diceva un messaggio. E un altro, dopo gli incidenti: «Il casino a Peschiera è la prova che X X X sono una buona cosa». Al posto delle X le bandiere di Marocco, Algeria e Tunisia. Chiaro no? Assaltare il trenino turistico, saltare sulle auto dei villeggianti, scatenare le risse, tracimare in torme violente per le strade della città spargendo ovunque furti e panico, non è un problema di ordine pubblico. Macché: è la dimostrazione che Marocco, Algeria e Tunisia «sono una buona cosa». Perfetto. Epperò guai a dirlo, perché chi lo dice (come il sottoscritto in questo momento) diventa subito razzista. Proprio così: non sono razzisti i giovani immigrati che urlano «a casa mangiapasta» e «italiani spazzatura». No, i razzisti siamo noi. Loro sono candidi angioletti che bisogna preservare dalle grinfie dei «seminatori d’odio» (copyright Michela Marzano). Così il problema, ancora una volta in questo Paese, diventa poter chiamare le cose con il loro nome. Il problema, cioè, non è che un pezzo d’Italia, nel giorno della festa della Repubblica, è diventato Africa. Il problema non è che anziché le nostre regole sono state applicate le leggi della giungla. Il problema non sono i disordini, le violenze e le aggressioni all’insegna del «fuori i bianchi di qui». Macché: il problema è dire che sono stati gli immigrati a organizzare tutto ciò. Il problema è dire che le molestie sul treno non erano altro che l’atto finale di una giornata tutta all’insegna della violenza e del sopruso. L’uso dello stupro a scopo di sottomissione, purtroppo, abbiamo imparato ormai a conoscerlo bene, da Colonia al Capodanno di Milano, fa parte di una certa cultura islamica (dove prende il nome di tahrrush gamea). Ma con i fatti di Peschiera è stato compiuto un salto di qualità: oltre allo stupro c’è la conquista del territorio, l’appropriazione di un’intera località, l’esclusione dei «bianchi», la sottomissione degli italiani agli usi, ai costumi, alle danze, alle tribù e alle regole dell’Africa. Lo hanno dichiarato apertamente, solo dei ciechi riuscirebbero a non vederlo: Peschiera Africa, Peschiera è stata colonizzata, dicevano per chiamare più gente possibile all’appello. E poi, dopo lo sfascio, hanno commentato soddisfatti: «Comunque no, per dire, ma quanto spacchiamo noi dell’Africa». In effetti, loro spaccano. Davvero. Il problema è quanto ci lasceremo spaccare noi.
Jose Mourinho (Getty Images)