2024-10-08
Sul ddl Sicurezza la sinistra blatera: gli orrori che denuncia non esistono
Concita De Gregorio (Imagoeconomica)
È falso che il nuovo reato di occupazione arbitraria degli immobili colpisca gli inquilini sotto sfratto. Mentre quello di resistenza passiva in carcere riguarda soltanto le proteste violente dei detenuti.Presidente di sezione emerito della Corte di cassazione Come da copione, il disegno di legge «sicurezza», passato alla Camera ed attualmente all’esame del Senato, ha suscitato e continua a suscitare l’orrore e il raccapriccio degli autoproclamatisi difensori dei diritti dei deboli e degli oppressi, sulla pelle dei quali - come ci spiega, ad esempio, Concita De Gregorio su La Repubblica del 4 ottobre scorso - «una destra truce manettara, una destra di generali e petti gonfi e tronfi e pance piene che urla: in galera!», cerca (e, però, stranamente trova) l’approvazione di «milioni di italiani entusiasti». Oggetto di particolare esecrazione, tra le norme contenute nel disegno di legge, risultano quelle che prevedono: a) l’introduzione del nuovo reato di occupazione arbitraria, con violenza o minaccia, di immobili destinati a domicilio altrui, ovvero di appropriazione, mediante «artifizi o raggiri», di qualsiasi immobile altrui; b) la punibilità, in determinate condizioni, anche della resistenza c.d. «passiva» alla forza pubblica nelle carceri e nei centri di trattenimento e accoglienza dei migranti; c) il divieto di vendita di schede per telefoni cellulari a stranieri extracomunitari che siano privi di «titolo di soggiorno» in Italia. Basterebbe, però, un esame appena appena più accurato di tali norme per rendersi conto che le stesse possono sì, ovviamente, essere criticate, anche radicalmente, sotto molteplici profili, ma non sono certamente tali - come sostiene invece Domenico Gallo su Il Fatto quotidiano del 2 ottobre scorso - da far addirittura «impallidire le (molto più blande) norme in materia di sicurezza pubblica introdotte dal fascismo». Cominciando, infatti, dalla prima di esse, è anzitutto da escludere che del reato di occupazione arbitraria possa rispondere l’inquilino che semplicemente non ottemperi all’ordine di sfratto per morosità o per finita locazione, non essendo tale condotta caratterizzata né da violenza o minaccia né da artifizi o raggiri. Appare inoltre da escludere che lo stesso reato sia configurabile nel caso, evocato da Concita, delle occupazioni di immobili «sfitti, non terminati, disabitati, spesso di proprietà pubblica eppure vuoti», ad opera di quella che sarebbe la «quantità enorme» di persone che vivono nell’indigenza e non possono quindi «permettersi affitti criminali, esosi e pretesi al nero». Nel caso, infatti, di immobili aventi le suddette caratteristiche, mancherebbe la condizione della loro attuale destinazione a «domicilio altrui». E neppure potrebbe trovare applicazione la norma nella parte in cui prevede come reato anche l’appropriazione di qualsiasi immobile, pur non destinato a domicilio altrui, se commessa «con artifizi o raggiri», essendo normalmente effettuate le occupazioni mediante il puro e semplice ingresso abusivo - con o senza effrazione - nell’immobile sfitto e, quindi, senza che sia ravvisabile alcun artifizio o raggiro. Il che dovrebbe, semmai, rendere criticabile la norma in questione proprio per la sua evidente inidoneità a reprimere più efficacemente - come era invece nelle dichiarate intenzioni del Governo - il diffuso fenomeno delle occupazioni abusive di appartamenti dell’Iacp o di altri enti pubblici, in danno di coloro che avrebbero avuto diritto prioritario all’assegnazione. Tali condotte restano, quindi, sanzionabili penalmente solo ai sensi del già vigente - ma largamente disapplicato - articolo 633 del codice penale, che punisce genericamente chiunque «invade arbitrariamente terreni o edifici altrui al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto». Secondo motivo di scandalo, come si è visto, è la previsione come reato della «resistenza passiva» alla forza pubblica nelle carceri e nei centri di trattenimento e accoglienza dei migranti, per cui - secondo quanto scrive, ad esempio, Michele Ainis su La Repubblica del 3 ottobre scorso - rischierebbero una pena di sette anni di reclusione «i detenuti che rifiutano di eseguire - in modo non violento - un ordine delle guardie carcerarie». Se così fosse ci sarebbe addirittura da dubitare della sanità mentale di chi avesse concepito una norma di tal genere. Ma così non è, perché (a parte l’errore sull’entità della pena, che è, nel massimo, di cinque e non di sette anni) la norma non punisce affatto le semplici disobbedienze, individuali o collettive, che avvengano in un contesto di assoluta normalità o anche di protesta pacifica, ma presuppone espressamente che esse si collochino nell’ambito di una vera e propria «rivolta». E, in presenza di una tale condizione, appare tutt’altro che irragionevole prevedere che assumano rilievo penale - avuto anche riguardo, come specificato nella stessa norma, «al numero delle persone coinvolte e al contesto in cui operano i pubblici ufficiali» - comportamenti di per sé non violenti che però - come ulteriormente specificato - «impediscono il compimento degli atti dell’ufficio o del servizio necessari alla gestione dell’ordine e della sicurezza». E passiamo infine all’obbrobrio degli obbrobri costituito dal preteso divieto dell’uso di telefoni cellulari imposto - si afferma - a tutti i migranti irregolari; vale a dire - secondo quanto scrive Domenico Gallo nel suo già ricordato articolo - a quelli «privi del permesso di soggiorno, compresi i richiedenti asilo che spesso devono aspettare anni per ottenerlo». Con il che - nota sarcasticamente lo stesso Gallo - si sarebbe riempita la lacuna riscontrabile nelle famigerate leggi razziali del 1938 mentre Concita, dal canto suo, esprime il suo orrore dicendo che, con la norma in questione, «siamo nel sadismo, nella bestialità». A smorzare il sacro fuoco di tanta indignazione dovrebbe però bastare la pedestre osservazione che il «titolo di soggiorno» richiesto dalla norma ben può essere costituito anche dall’avvenuta presentazione della domanda di asilo o protezione internazionale che i migranti irregolari, nella quasi totalità, avanzano all’atto stesso in cui, in un modo o nell’altro, raggiungono il territorio italiano. A seguito di tale domanda, infatti, secondo quanto dispone l’articolo 7 del decreto legislativo numero 25/2008, chi la propone è autorizzato a rimanere nel nostro Paese fino alla decisione della competente Commissione territoriale. Di fatto, quindi, il divieto in questione riguarderebbe soltanto quella sparutissima minoranza di migranti irregolari che, per loro libera scelta, siano riusciti a rimanere in Italia in condizione di assoluta clandestinità ed ai quali, quindi, non si vede per quale ragione si debba consentire la facile disponibilità di strumenti che, come i telefoni cellulari, possono essere anche usati per fini illeciti. Sia dunque consentito concludere, a questo punto, con l’amichevole esortazione, a quanti vogliano ancora cimentarsi nella critica al disegno di legge in questione, di darsi almeno la briga di leggerlo, prima, con la necessaria attenzione.
(Ansa)
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