2019-07-05
Sui social vietato morire. Non è redditizio
Facebook chiede di scegliere un erede che gestisca il profilo in caso di decesso: Mark Zuckerberg non può permettersi un calo di iscritti. Su Twitter imbarazzo per le storie di suicidi e dolore scatenate da un tweet sulla leva. La realtà fa paura. E la tecnologia non aiuta.Pochi giorni fa, aprendo Facebook durante la pausa pranzo, mi è balzata subito all'occhio la notifica di un amico: aveva cambiato la sua foto del profilo. «E dov'è la notizia?», direte voi. «Capita ogni giorno». Non c'è dubbio, ma non è così comune che a farlo sia una persona morta due anni prima in un incidente stradale. Che cos'è successo? È diventato uno zombie e si è messo a consultare il social network di Mark Zuckerberg come un menù, per decidere quale delle sue vecchie conoscenze mangiare per prima? Non ha sopportato di lasciare di sé l'immagine di un ventenne con la maglietta dei Led Zeppelin e un paio di occhiali da sole a forma di fenicottero rosa, ed è tornato dalla morte per caricare una foto più sobria, in giacca e cravatta?Nulla di tutto questo. La spiegazione è che gli amministratori di Facebook, per risolvere il problema dei profili di persone decedute che continuavano a essere segnalati come attivi sul social, hanno deciso di creare la categoria «account commemorativo». Al momento dell'iscrizione viene richiesto di scegliere tra i propri contatti un «erede» (non è specificato se consenziente o meno): costui avrà l'onere e l'onore di gestire il profilo dopo la dipartita del proprietario. Servendosi della foto e del nome del defunto (a cui sarà stata aggiunta la provvidenziale dicitura «In memoria»), potrà accettare le richieste di amicizia, aggiungere nuovi post e modificare, come nel caso del mio amico, l'immagine del profilo e quella di copertina. Appena ho scoperto la bizzarria, sono corso a controllare le opzioni: è possibile richiedere che il proprio profilo venga eliminato al momento della morte, ma Facebook consiglia «vivamente» di impostare un contatto erede che gestisca l'account. È naturale: che Mario Rossi muoia nel mondo reale è contemplato, fa parte dell'ordine delle cose. Ma che muoia su Facebook, beh, questo non è accettabile. Gli account commemorativi hanno lo scopo ufficiale di permettere ad amici e familiari di raccogliere e condividere i ricordi di un caro estinto, ma è inevitabile guardare al risvolto economico della faccenda. Da quando il social è quotato in Borsa, Zuckerberg deve presentare agli azionisti un rendiconto periodico sull'andamento del sito: come potrebbe permettersi di vedere calare le cifre del social per un'inezia come la morte fisica degli iscritti? Per quanto mi riguarda, ho subito chiuso la finestra di selezione del contatto erede. Ho scelto l'oblio.web marketingQuello che potrebbe sembrare soltanto un episodio grottesco, palesa una questione più profonda: i social network, i tanto celebrati miracoli della comunicazione, non sembrano né capaci né intenzionati ad affrontare il tema della morte. Ne è una riprova quanto avvenuto sul profilo Twitter dell'esercito Usa in occasione del Memorial day, giornata dedicata ai caduti di guerra americani. Per promuovere una videointervista in cui il soldato scelto Nathan Spencer decanta l'arruolamento come «esperienza formativa», il social media manager dell'account ha fatto ciò che viene insegnato a ogni corso di web marketing per stimolare la partecipazione degli utenti: ha posto una domanda. Peccato che, nel caso specifico, fosse: «Come vi ha influenzato la leva?». Possiamo immaginare la gioia dell'impiegato nel vedere il tweet sommerso da oltre 12.200 risposte in poche ore; possiamo anche immaginarne lo smarrimento quando si è accorto che oltre 12.200 veterani e parenti di caduti avevano preso d'assalto il suo post con storie di morte, suicidio, dipendenza da sostanze e disturbi mentali. Parole d'odio da chi ha combattuto per il proprio Paese, per poi tornare in patria e vedersi negata l'assistenza sanitaria, il lavoro e le indennità previste per chi ha servito in guerra (secondo la Cnn, le riceve solo il 20 per cento degli oltre 20 milioni di veterani). Grida di dolore di chi ha visto i compagni d'arme o le persone amate distrutti da ansia, depressione, incubi notturni, disturbo da stress post-traumatico, alcolismo, abuso di farmaci e droghe, esplosioni di violenza, stupri, abbandono da parte dei familiari e dello Stato, problemi di salute causati dall'impiego di sostanze chimiche al fronte e, soprattutto, suicidio (secondo i dati della stessa Us Army, nel solo 2018 si sono uccisi più di 5.500 veterani: circa 22 al giorno, quasi uno ogni ora).Tra i numerosi commenti, Karly Kathleen ha scritto: «Sono stata violentata da un commilitone, ho portato il caso in corte marziale e ho perso. Lui sa cos'ha fatto e ne è uscito libero. Ora soffro di depressione e di disturbo da stress post-traumatico». Arthur Gonzales, di suo, ha twittato: «Quand'è tornato, mio padre sfogava rabbia e depressione su di me. L'Associazione veterani non gli ha più rimborsato le spese mediche. Non dimenticherò mai le botte». Infine, un reduce ha risposto: «Molti di noi non sono che il guscio vuoto di ciò che siamo stati». All'insipiente social media manager non è passato per la mente che in guerra i soldati uccidano e muoiano? Che, come scrisse William Faulkner, le battaglie non si vincano e nemmeno si combattano, perché «l'uomo scopre, sul campo, solo la sua follia e disperazione»? Evidentemente no. La reazione, a frittata ormai fatta, è consistita solo in due messaggi retorici sulla necessità di onorare chi ha dato la vita per il Paese e nel segnalare il numero verde dell'esercito dedicato ai veterani in difficoltà.black humourPassando da Twitter a Youtube, l'unica, inquietante eccezione al rigetto social della morte sembra essere il canale Ask A Mortician (letteralmente, «Chiedilo a una becchina»), che questo mese ha superato i 780.000 iscritti. Interamente gestito da Caitlin Doughty, 34 anni, losangelina, impresaria di pompe funebri, è una vera e propria videoenciclopedia di tutti gli aspetti tecnico-scientifici riguardanti la morte fisica e il mestiere di necrofori. A giustificarne il successo è la forte impronta di black humour che l'autrice imprime ai suoi video, come si può intuire da titoli frizzanti quali «Make-up mortuari per corpi difficili», «Morire grassi: le tue opzioni funebri» o «Così tanti modi di decomporsi!». Ma, come ho scritto, sembra un'eccezione senza esserlo realmente. La youtuber americana concentra la sua attenzione sugli aspetti più macabri e iconici del morire: cadaveri, processi di putrefazione, omicidi di star dello spettacolo… Un varietà morboso, ma a suo modo affascinante e glamour. Il massimo di speculazione filosofica che si concede la Doughty è che la morte sia un passo inevitabile e, in quanto tale, vada accettato. Punto. Poco o nulla è detto su ciò che potrebbe venire dopo la dipartita, o su quale sia il peso di un simile, ineluttabile evento sul piano esistenziale di un uomo.Cosa impedisce dunque ai social network di diventare un minuzioso specchio della realtà? La verità è che a molti (se non a tutti) la vita fa paura. Che il mondo, la natura e il tipo di società che abbiamo costruito fanno paura. I rapporti umani, poi, sono terrorizzanti: gli amici di una vita possono pugnalarti alle spalle; la persona che ti ha giurato amore incondizionato può tradirti con il primo di passaggio; i figli possono abbandonarti a ogni momento di difficoltà. Ma a tutto questo può esserci rimedio. La tecnologia offre una via di fuga da queste paure, dando la possibilità di mediare tutti gli aspetti della realtà a distanza di sicurezza, attraverso lo schermo di un computer. Vuoi goderti i mille volti della natura senza il pericolo di ritrovarti tra le fauci di un leone? Eccoti il meglio di National Geographic su Google Immagini, così risparmi pure il tragitto verso l'edicola. Vuoi assaporare il brivido dell'imprevisto senza assumerne il rischio? Eccoti le più appassionanti serie tv di Netflix: 7,99 euro al mese e non devi neanche sorbirti le pubblicità. Vuoi avvicinare gli altri, ma hai paura di ferirti? Ecco i social, con cui puoi quantificare il numero dei tuoi amici, stabilire il vostro tipo di rapporto nelle informazioni personali, scegliere come e quando parlargli e, grazie alle emoticon, che umore assumere sul momento. Ma la morte no. Nonostante gli sforzi fatti, quella la tecnologia non riesce proprio a mediarla. È un viaggio che s'intraprende in solitudine, e questo né i social né tutta la rivoluzione digitale potranno mai cambiarlo. O l'uomo moderno riscoprirà dentro di sé qualcosa di più antico, di più profondo, di più spirituale, o si troverà a vagare incredulo nell'oscurità. Senza la possibilità di chiedere consigli ai contatti di Facebook, senza l'oppio di Instagram e Youtube, senza poter twittare le proprie emozioni o cercare informazioni sull'itinerario con Tripadvisor, non potrà che abbandonarsi al vuoto disperato che porta dentro, arrancando verso la luce in fondo al tunnel. Salvo poi scoprire che non è altro che il display di uno smartphone, su cui lampeggia la scritta «Nessuna connessione».
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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