2025-04-22
Posizionarsi nello scontro Usa-Cina sarà la prima sfida del successore
Il cardinale Stephen Chow, vescovo di Hong Kong (Getty Images)
Pechino e Washington cercheranno entrambe la sponda della Santa Sede per rafforzarsi nel Sud globale. In Vaticano la linea della distensione col Dragone ha molti critici. Migranti e sinodalità gli altri temi chiave.Sono sfide rilevanti quelle che attendono il successore di papa Francesco. Il prossimo pontefice si troverà infatti ad agire in un contesto internazionale sempre più aggrovigliato. E sarà chiamato a effettuare delle scelte non facili.Il dossier più significativo che lo attende è quello del rapporto con la Cina. Papa Francesco ha significativamente avvicinato la Santa Sede alla Repubblica popolare soprattutto attraverso l’accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi: un’intesa che, originariamente siglata nel 2018, è stata rinnovata per la terza volta a ottobre scorso ed estesa per altri quattro anni. Un accordo, quello sino-vaticano, che ha diviso internamente la Chiesa. Da una parte, realtà come la Compagna di Gesù e la Comunità di Sant’Egidio hanno spinto verso una progressiva distensione nei confronti di Pechino. Dall’altra, i settori ecclesiastici più «ratzingeriani» hanno sempre auspicato che il baricentro della politica estera vaticana tornasse a Occidente. Il nuovo pontefice dovrà quindi prendere una decisione davanti a queste due linee contrastanti. Il tema è ancor più dirimente alla luce del fatto che, con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, la tensione tra Stati Uniti e Cina è salita ulteriormente. E attenzione: la questione risulterà probabilmente decisiva già in sede di conclave. Se quello del 1549 fu de facto uno scontro tra gli Asburgo e il regno di Francia, il conclave del 2025 vedrà una sfida tra Washington e Pechino.Sempre sul versante geopolitico, il prossimo papa «erediterà» altri due dossier: la crisi ucraina e quella di Gaza. Francesco ha più volte invocato una mediazione diplomatica tra Kiev e Mosca, mentre, venendo al Medio Oriente, ha spesso espresso profonda preoccupazione per la situazione umanitaria nella Striscia. Anche in questo caso, l’azione del futuro pontefice dovrà inserirsi nelle complesse dinamiche di competizione che intercorrono tra Stati Uniti e Cina. Trump sta cercando, non senza difficoltà, di portare avanti un processo diplomatico sulla crisi ucraina. E, in quest’ottica, ha finora marginalizzato il ruolo di Pechino sulla questione. Ciononostante, sull’Ucraina si è finora registrata una relativa vicinanza tra la Santa Sede e l’attuale Casa Bianca. Dall’altra parte, americani e cinesi sono in aspra concorrenza nello scacchiere mediorientale. Se è sempre stata in profondo disaccordo con il piano di Trump su Gaza, la Santa Sede potrebbe aver maggiormente apprezzato l’approccio diplomatico recentemente mostrato dal presidente statunitense nei confronti dell’Iran.Il punto è che per Washington e Pechino la sponda vaticana è di assoluta importanza. La Cina ne ha bisogno per rafforzare la propria posizione politico-diplomatica agli occhi del Sud Globale (con particolare riferimento all’America Latina). Trump, dal canto suo, vuole contendere alla Cina proprio l’influenza sul Sud Globale. In questo senso, ha bisogno che la Santa Sede allenti i suoi rapporti con il Dragone. Non a caso, nel suo recente incontro in Vaticano con il cardinal segretario di Stato Pietro Parolin, il vicepresidente americano, JD Vance, ha parlato anche di libertà religiosa: un’implicita stoccata all’accordo sino-vaticano sui vescovi.Un altro fattore dirimente sarà quello migratorio. Papa Francesco e Trump hanno intrattenuto una relazione tutt’altro che idilliaca soprattutto a causa di questo dossier, che ha creato fibrillazioni anche tra l’attuale presidente americano e la Conferenza episcopale degli Usa. Va però fatta una precisazione. Quando a febbraio Francesco inviò ai vescovi d’Oltreatlantico una lettera in cui si criticavano esplicitamente le espulsioni di massa promosse dall’amministrazione Trump, il presidente della Cei americana, Timothy Broglio, diede una risposta particolarmente blanda. Segno, questo, che in seno all’episcopato statunitense si registrano sensibilità variegate sulla questione. Bisognerà quindi capire se il prossimo pontefice proseguirà con la linea severa del predecessore o se riformulerà l’approccio. Ma non è tutto. Un ulteriore tema sarà quello della riforma finanziaria. Francesco aveva rinnovato lo statuto dello Ior nel 2023, mentre, tre anni prima, aveva trasferito all’Apsa la gestione degli investimenti e dei beni immobili della Segreteria di Stato. Infine, emerge la sinodalità: una questione che, negli scorsi anni, ha suscitato malumori da parte di chi – come il cardinal Gerhard Müller – temeva che il Sinodo sulla sinodalità servisse a diffondere «nuove dottrine». Non solo. Nel novembre 2023, il nunzio apostolico negli Usa, il cardinale Christophe Pierre, aveva parzialmente bacchettato la Chiesa statunitense, esortandola ad adottare il modello sinodale. Broglio aveva replicato che la Chiesa d’Oltreatlantico sinodale lo fosse già. Di contro, un grande sostenitore del sinodo sulla sinodalità è stato il cardinale Stephen Chow: vescovo gesuita di Hong Kong e punto di raccordo nei rapporti tra Pechino e la Santa Sede. È probabilmente un caso, ma Müller – insieme ai cardinali Joseph Zen, Timothy Dolan e Raymond Burke – è stato uno dei porporati più critici dell’intesa sino-vaticana sui vescovi.Ciò significa che i dossier con cui avrà a che fare il prossimo Papa saranno vicendevolmente intrecciati, mentre sullo sfondo si staglierà la crescente competizione geopolitica tra Stati Uniti e Cina. È in questo quadro complesso che i cardinali si avviano a entrare nella Cappella Sistina.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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