
Il ministro esulta per la vittoria del fondo Elliott sostenuto da Cdp e lancia stoccate a Vivendi: «I capitali stranieri possono essere predatori. Bisogna difendere gli asset strategici». Peccato che su Ilva ed Embraco il Mise non riesca a tutelare i lavoratori.All'indomani del giorno del giudizio di Tim, in cui il fondo Elliott si è preso la maggioranza del cda della maggiore Tlc italiana, il ministro dello sviluppo economico uscente Carlo Calenda non ha perso tempo per commentare la vicenda su Twitter evitando «ingenuità», come lui stesso ha voluto sottolineare. «Il governo interviene a difesa dell'interesse nazionale con buona pace del mercato perfetto che viene dopo, ma molto dopo», ha twittato ieri il ministro. Parlando di investimenti transfrontalieri, Calenda ha scritto: «Identificare e difendere l'interesse nazionale è compito del governo, che se ne assume la responsabilità davanti ai cittadini. Nel 99% dei casi interesse nazionale è attrarre più investitori esteri. Ci sono rari casi in cui questi investimenti diventano predatori. E occorre reagire». «Interesse nazionale», ha aggiunto, «non è la difesa della nazionalità, ma la difesa di asset strategici da comportamenti predatori. Da parte di chiunque».Insomma, Calenda pare non avere dubbi. Secondo il numero uno del Mise, anche questo si è fatto nell'interesse degli italiani. C'è da credere che i dipendenti della Embraco di Riva di Chieri (l'azienda brasiliana che produce compressori ha deciso spostare le linee produttive in Slovacchia a causa di un minor costo del lavoro) non sarebbero d'accordo. Così come, al momento, non lo sarebbero nemmeno i lavoratori dell'Ilva di Taranto pronti a uno sciopero generale per superare lo stallo in cui è la trattativa al Mise con Am investco, la società acquirente formata da Arcelor mittal e Marcegaglia. Intanto, però, Calenda festeggia. «Che Tim diventi una vera public company (cioè una società guidata da piccoli azionisti, ndr) è un risultato importante», scrive su Twitter. È «ora che i conflitti di interesse con gli azionisti non la danneggino più e che si acceleri sulla separazione della rete», dice.Ma in Parlamento c'è già chi non ha gradito le mosse di Calenda. A denunciare l'assenza di chiarezza nel ruolo determinante del ministero dell'Economia è Stefano Fassina, di Liberi e uguali, componente della commissione speciale di Montecitorio. «L'assemblea dei soci ha scelto il cambio di maggioranza. La lista del fondo Elliott ottiene dieci consiglieri. Il voto di Cdp, con il suo 5%, è stato decisivo per il ribaltone. Cassa depositi e prestiti è controllata dal Mef, ma il Parlamento è stato tenuto completamente all'oscuro su tale scelta su un asset di massima rilevanza per l'interesse nazionale. L'esclusione del Parlamento è responsabilità del governo, ma è responsabilità anche dei cosiddetti vincitori del 4 marzo che, in commissione speciale, hanno rigettato la richiesta di audizione del ministro e dei vertici di Cdp. Chiediamo ancora una volta al presidente Nicola Molteni l'audizione del ministro Calenda e di Cassa depositi e prestiti per avere informazioni sul piano industriale di Elliott».Del resto, Calenda è riuscito a «difendere l'interesse nazionale» mettendo nella stanza dei bottoni del gruppo telefonico un fondo attivista americano. A onor del vero, nella Tim di oggi (che tuttora controlla il 65% circa delle linee fisse e il 55% della rete fissa italiana, oltre ad avere il 33% del mercato della telefonia mobile) c'è molta più Italia di un tempo, grazie al 4,9% della Tlc che ora fa capo a Cdp (e quindi allo Stato).Il fondo Elliott - con 35 miliardi di dollari di investimenti al mondo - ha dunque convinto gli azionisti. Ma la parte più difficile viene adesso. Tim dovrà separare la rete dal resto delle attività, dimezzare il debito monstre e staccare una cedola agli azionisti. Un programma non certo facile, sopratutto considerando che in tre anni di guida francese le azioni Telecom hanno perso quota in Borsa. Nell'autunno del 2015 quelle ordinarie viaggiavano tra 1,1 euro e 1,2 euro, nel tempo sono calate a 0,83 centesimi. Stessa traiettoria per le azioni di risparmio, che non danno diritto a un voto in assemblea, ma garantiscono un dividendo più generoso. Erano a 1 euro circa nel 2015, sono scese fino a 0,7 centesimi. Ora il fondo guidato da Paul Singer mira a raddoppiare il valore del titolo Telecom riportandolo a circa 1,6 euro, più di quando Vivendi si fece strada nel capitale del gruppo. Per arrivare a questo obiettivo, si dovrà portare a compimento la separazione della rete. Conferire, in parole povere, a una società ad hoc tutta l'infrastruttura che trasmette i dati.Proprio su questo tema Calenda si era scontrato a più riprese con l'ex ad Flavio Cattaneo, per poi trovarsi più a proprio agio con il management voluto da Vivendi. Ora però il colpo di coda del ministro uscente Calenda sarebbe quello di unire la rete con quella di Open fiber, la società partecipata da Enel e Cassa depositi e prestiti incaricata di cablare l'Italia. L'obiettivo è quello di arrivare a una sola società della rete di telecomunicazioni, esattamente come si è fatto con Terna nel settore energetico. Successivamente l'azienda in questione dovrebbe finire a Piazza Affari. «Penso che vi sia una convergenza di interesse pubblico e privato ad avere una rete forte unica, regolata e possibilmente quotata», ha scritto il ministro su Twitter. Un progetto che non è mai andato particolarmente a genio ai francesi di Vivendi, ma che aveva convinto Elliott che ora potranno metterlo in pratica. Secondo gli americani, scorporare la rete dimezzerebbe il debito di Telecom passando da circa 25 miliardi di euro a circa 12 e il cda potrebbe pensare di staccare una cedola agli azionisti, che non vedono l'ora.«Auspichiamo che Elliott rimanga almeno per tre anni e che Telecom diventi una public companycon Elliott attorno al 10% del capitale, Cdp al 10% e Vivendi che possa ridurre la propria quota adesso attorno al 24%», avevano detto i rappresentanti dell'associazione azionisti di Telecom Italia già nell'assemblea del 4 maggio. Ora però arriva la parte difficile: il piano va messo in atto, ma le insidie non mancano. La cordata Elliott-Cassa depositi e prestiti ha vinto con il 49,8% dei voti, mentre Vivendi ha ottenuto il 47,18%, poco più di 2 punti di vantaggio.
Ansa
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