
La morte di George Floyd sta ridisegnando le strategie elettorali dei due principali candidati alla Casa Bianca in vista delle elezioni di novembre. E, nel pieno dello scontro politico, si riaffaccia la figura di Richard Nixon.In un recente intervento a Filadelfia, Joe Biden (che ha quasi blindato matematicamente la nomination democratica) ha accusato Donald Trump di fomentare le divisioni razziali, oltre che di mancanza di leadership politica. «Il presidente Trump ha trasformato questo Paese in un campo di battaglia, devastato da vecchi risentimenti e nuove paure. Pensa che la divisione lo aiuti», ha detto Biden. "Il suo narcisismo è diventato più importante del benessere della nazione che guida". Il presidente, dal canto suo, ha ormai saldamente scelto la linea dura. Non soltanto ha invitato da giorni i governatori locali ad attivare la guardia nazionale, ma non ha neppure escluso di ricorrere all'invio dell'esercito. Del resto, è proprio la questione dell'esercito ad aver principalmente infiammato il dibattito elettorale. Biden ha non a caso accusato Trump di aver usato le forze armate per sgomberare pochi giorni fa l'area attorno alla Casa Bianca dai manifestanti. "Sta usando l'esercito americano contro il popolo americano", ha twittato martedì l'ex vicepresidente.Il punto è che Biden si trova al momento in una posizione ambigua. Se a Filadelfia ha riconosciuto che si debba «distinguere tra legittima protesta pacifica e opportunistica distruzione violenta», dall'altra parte critica comunque la linea dura della Casa Bianca: tutto questo non fa che porre il candidato democratico in una contraddizione non indifferente. Se infatti ammette che - oltre alle proteste - si stanno verificando episodi di guerriglia illegittima, per quale ragione Trump non avrebbe il diritto di intervenire a salvaguardia dell'ordine pubblico? Il paradosso si spiega con l'eterogenea tipologia di elettorato a cui Biden sta cercando di appellarsi: da una parte, l'ex vicepresidente vorrebbe rassicurare le frange più moderate ma, dall'altra, teme di scontentare il bacino democratico più spostato a sinistra. Il risultato è una linea politica fondamentalmente strabica, che non è esattamente chiaro dove lo condurrà. Anche perché, a ben vedere, un ulteriore problema per Biden risiede nel fatto che Minneapolis - dove Floyd è stato ucciso durante un controllo di polizia - sia un città amministrata da sindaci democratici ininterrottamente dal 1978. Ricordiamo, a tal proposito, che il corpo di polizia di questa città abbia una storia trentennale di controversie e che, negli Stati Uniti, siano proprio i sindaci a nominare i vertici della polizia cittadina. Biden quindi deve fare anche i conti con l'inefficienza della classe dirigente, espressa dal suo partito a livello locale. Un problema che potrebbe rivelarglisi elettoralmente problematico soprattutto sul fronte delle minoranze etniche.Trump, piaccia o meno, ha invece imboccato una linea più consequenziale. Durante un discorso tenuto lunedì alla Casa Bianca, il presidente ha nettamente distinto tra proteste legittime e facinorosi dediti a vandalismi e saccheggi. Ed è in tal senso che non ha escluso la possibilità di ricorrere alle forze armate. Un'ipotesi che, da più parti, è stata accolta con scetticismo e critica. Ma che, in realtà, rientra pienamente nei poteri presidenziali. Trump potrebbe infatti invocare l'Insurrection Act: una legge del 1807, che consente all'inquilino della Casa Bianca di schierare l'esercito all'interno degli Stati Uniti per domare sedizioni e sommosse. Si tratta di una norma che è stata talvolta usata nel corso della storia americana (l'ultima volta fu nel 1992) e che non ha necessariamente bisogno di una richiesta da parte dei governatori locali per essere applicata: Dwight Eisenhower (nel 1957) e John Kennedy (nel 1962) vi fecero per esempio ricorso contro la volontà dei governatori, nel pieno degli scontri sul segregazionismo. Non si capisce quindi per quale ragione, minacciare l'uso dell'esercito in caso di guerriglia e saccheggi, debba essere considerato da qualcuno un incitamento alla violenza.Più in generale, è sempre più chiaro che il presidente stia seguendo una strategia elettorale ben precisa: una strategia, che si richiama esplicitamente a quella adottata con successo da Richard Nixon alle presidenziali del 1968 e del 1972. Non sarà un caso del resto che, negli ultimi giorni, Trump abbia spesso twittato classici slogan elettorali nixoniani come "law and order" e "silent majority". E, in tal senso, l'obiettivo dell'attuale presidente è esattamente questo: proporsi come il candidato baluardo dell'ordine, contro l'anarchia e l'estremismo politico della sinistra. Nel 1968, Nixon si presentò infatti efficacemente come colui che avrebbe frenato il caos delle proteste che, in quell'anno, stavano infiammando varie parti degli Stati Uniti (soprattutto a causa del Vietnam e dell'assassinio del reverendo Martin Luther King). Nel 1972, basò invece la propria strategia elettorale nell'additare i democratici come una forza estremista, visto che quell'anno avevano conferito la nomination al senatore George McGovern (uno dei candidati più a sinistra che la storia americana ricordi). In entrambi i casi, per Nixon fu un successo. E, oggi, Trump vuole imitarlo. Anche perché, al di là dei suddetti slogan e del pugno duro promesso nel domare i disordini, l'attuale presidente sta anche attaccando Biden come troppo vicino alla "sinistra radicale". Un tipo di accusa, quest'ultima, che Trump sta del resto muovendo da mesi all'intero Partito democratico.E attenzione: perché il nixonismo di Trump non si ferma soltanto all'aspetto meramente "law and order". Per quanto accusato di razzismo dai suoi avversari, Nixon fu un presidente che si batté sotto svariati punti di vista contro la segregazione razziale (soprattutto nelle scuole). Ecco, nonostante si dica spesso superficialmente il contrario, Trump non ha alcuna intenzione di fomentare il razzismo verso gli afroamericani. Del resto, ha subito condannato l'uccisione di Floyd, dando inoltre ordine al Dipartimento di Giustizia e all'Fbi di fare chiarezza sull'accaduto. Senza poi trascurare che - come già ricordato - Trump non ha criticato le proteste ma i saccheggi e i vandalismi. Tra l'altro, se anche non si vuole credere alla buona fede del presidente, basterebbe ragionare in termini di mero calcolo elettorale. Trump sa bene che, per essere rieletto a novembre, non può fare affidamento esclusivamente sul voto dei bianchi. Per lui, incrementare il consenso tra le minoranze etniche è assolutamente fondamentale (soprattutto in aree come la Florida). È quindi esattamente in questo senso che, ormai da numerosi mesi, il comitato elettorale del presidente si è attivato per rafforzare il consenso tra afroamericani e ispanici (puntando soprattutto sul fronte del recente miglioramento delle loro condizioni socioeconomiche). La pretestuosità di chi accusa Trump di fomentare il razzismo è quindi smascherata dal fatto che, se così fosse, l'attuale inquilino della Casa Bianca danneggerebbe le proprie chances di riconferma a novembre. E di questo presidente si può dire tutto. Tranne che, come Nixon, non abbia fiuto elettorale.
Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
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In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.






