Pubblicato il decreto Ferx che esclude pannelli e componenti prodotti da aziende del Dragone dagli aiuti alle rinnovabili. L’obiettivo è ridurre la dipendenza da Xi Jinping e dare una scossa a Bruxelles, che nel 2018 ha tolto le barriere e spalancato la strada agli stranieri.
Pubblicato il decreto Ferx che esclude pannelli e componenti prodotti da aziende del Dragone dagli aiuti alle rinnovabili. L’obiettivo è ridurre la dipendenza da Xi Jinping e dare una scossa a Bruxelles, che nel 2018 ha tolto le barriere e spalancato la strada agli stranieri.L’Italia cerca di riparare i danni fatti da Bruxelles sul fronte dei rapporti commerciali con la Cina nel settore sensibile delle rinnovabili. Con una misura senza precedenti, il governo Meloni ha escluso i pannelli e i componenti fotovoltaici di origine cinese dai nuovi incentivi sulle rinnovabili. Il provvedimento riguarda la seconda tranche del decreto Ferx (in Gazzetta ufficiale dal 27 agosto), con il quale nel corso dell’estate sono state riavviate le aste per gli incentivi agli impianti fotovoltaici, in particolare quelli di grandi dimensioni. A differenza della prima tranche del decreto, il nuovo provvedimento è limitato a un contingente di 1,6 gigawatt di impianti fotovoltaici che devono avere caratteristiche specifiche, ovvero il modulo fotovoltaico non deve essere assemblato in Cina dove non devono essere prodotte nemmeno le celle fotovoltaiche, gli inverter e almeno uno dei componenti di tecnologia solare.L’obiettivo dichiarato è di supportare la produzione europea di pannelli e dei loro componenti, di rendere l’approvvigionamento e la produzione meno dipendente dalla Cina e ridurre i rischi geopolitici legati a un’eccessiva concentrazione in mani cinesi. L’introduzione di questo criterio consentirà agli installatori di ottenere un incentivo più alto rispetto a quello riconosciuto sulla prima tranche del decreto, anche perché i prodotti made in Europe sono più costosi. L’Italia è in prima linea nel dare attuazione a iniziative per tutelare la filiera e la produzione europea mentre a Bruxelles si continua solo a parlare senza prendere iniziative concrete.Peraltro è stata proprio la Ue ad aver aperto le porte alle rinnovabili made in China. L’Europa era un produttore di pannelli, poi nel 2018 ha tolto i dazi alle imprese cinesi del settore lasciando che queste inondassero il mercato con i loro prodotti. I cinesi sono stati al centro anche di diverse cause per aver copiato i brevetti e le macchine per realizzare le celle ma alla fine hanno sviluppato una filiera integrata costruita su alcuni distretti, che vanno dalla miniera ai moduli, dal vetro all’alluminio. In Europa e anche in Italia ci sono produttori di inverter e di altre componenti. Le fabbriche di pannelli, invece, sono poche. Quella più importante, in Germania, la Meyer Burger di Friburgo, ha annunciato nelle scorse settimane l’intenzione di chiudere i battenti, nonostante abbia un ampio magazzino smaltire. Alcuni progetti sono stati avviati in Francia, mentre in Italia c’è l’impianto 3Sun a Catania del gruppo Enel. Si tratta quindi di irrobustire un settore strategico. Il decreto italiano si colloca nel solco della strategia delineata a Bruxelles con il Clean industrial act e la revisione del Public procurement act, volti a promuovere il «made in Eu» anche negli appalti pubblici. Il provvedimento arriva mentre la Commissione europea sta valutando possibili dazi o misure correttive per evitare dumping cinese sul mercato europeo dei pannelli. Quindi ha il carattere di una sollecitazione ad accelerare i tempi. La sfida è impegnativa. Oggi l’80% della produzione globale di moduli solari è concentrata in Cina, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea). In Italia, oltre il 70% delle importazioni di pannelli proviene da Pechino. Due studi recenti - riportati dalla testata online Formiche.net - della Carnagie endowment for international peace e del Bruegel - evidenziano come la riduzione della dipendenza dalle catene di fornitura cinesi sia un’operazione complessa ma necessaria. Da un lato, non bisogna compromettere la transizione verde, dall’altro serve una politica industriale europea in grado di bilanciare costi più alti e sostegno pubblico. Il rischio, sbarrando le porte ai cinesi, è di rallentare la corsa alle rinnovabili. E qui dovrebbero entrare in gioco politiche europee per irrobustire l’industria del settore. C’è poi il tema della presenza cinese nei settori strategici. Come riportato da Bloomberg nei giorni scorsi, l’Italia sta valutando come la partecipazione cinese impedisce talvolta a imprese italiane di competere in gare pubbliche negli Stati Uniti. Sono circa 700 le aziende italiane interessate da partecipazioni cinesi, ma il governo concentra la sua attenzione soprattutto su energia, trasporti, tecnologia e finanza. Questa presenza ha una valenza sulla sicurezza nazionale. L’esclusione dei componenti cinesi dal fotovoltaico diventa quindi anche parte di una politica di ridimensionamento degli investimenti cinesi in Italia. Non a caso, il decreto arriva a poche settimane da nuovi interventi del governo sugli strumenti di golden power, rafforzati per proteggere asset considerati sensibili. Il decreto infine si colloca nell’ambito dello sforzo dei Paesi Nato per ridurre la dipendenza da Pechino (oltre che da Mosca).
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