
Il vertice in corso a Kazan, insieme all’ingresso dei cinque nuovi membri che potrebbero far cambiare il nome in Brics10, ha visto la presenza di una lunga serie di Stati pronti ad aderire a questo nuovo gruppo economico-politico.Il vertice di Brics in corso a Kazan insieme all’ingresso dei cinque nuovi membri che potrebbero far cambiare il nome in Brics10, ha visto la presenza di una lunga serie di Stati pronti ad aderire a questo nuovo gruppo economico-politico. Se la presenza della Turchia è quella che ha raggiunto il maggior eco mediatico a causa del peso geopolitico di Ankara in tre continenti e della grande capacità da mediatore di Recep Tayyip Erdogan, Venezuela, Algeria, Indonesia, Azerbaijan, Cuba, Armenia sono soltanto alcuni dei paesi che si sono fortemente avvicinati ai Brics.In questa nutrita e variegata pattuglia si è da poco inserito anche lo Sri Lanka, perla dell’Oceano Indiano, che nel 2022 è stato travolto da una terribile crisi economica che ha costretto il presidente alla fuga in India. Lo Stato insulare asiatico aveva visto la popolazione invadere i palazzi del potere della capitale Colombo dopo settimane di scontri con polizia ed esercito. Le proteste avevano travolto il paese a causa della mancanza di generi di prima necessità e dell’impossibilità di importare prodotti visto l’enorme debito accumulato dallo stato. Oggi la situazione resta molto complessa nell’ex colonia britannica e nel settembre scorso alle elezioni presidenziali si è imposto il candidato marxista del Fronte Popolare di Liberazione Anura Kumara Dissanayaka. Il presidente neo-eletto ed il suo ministro degli Esteri Vijitha Herath non hanno potuto partecipare al summit di Kazan per le imminenti elezioni parlamentari, ma il Segretario del Ministero degli Esteri Aruni Wijewardane è intervenuto con pieni poteri e spiega la posizione del governo cingalese. «Il nostro presidente ed il ministro degli Esteri non possono intervenire al summit, ma l’onorevole Vijitha Herath ha inviato lettere a tutti gli omologhi per chiedere la massima collaborazione e per mettersi a disposizione per un confronto che possa accelerare l’adesione dello Sri Lanka ai Brics. Il presidente Dissanayaka ha scritto direttamente al presidente Vladimir Putin, come padrone di casa, per comunicargli la decisione ad aderire. Il parlamento nazionale ha approvato questa decisione con grande convinzione e questo da forza al nuovo corso di cui il nostro popolo ha estremo bisogno. Sono stati anni difficili dove politici inadeguati hanno distrutto il tessuto dello Sri Lanka, mentre le potenze occidentali stavano a guardare ed il popolo non aveva nulla da mangiare. Come ha detto più volte il nostro ministro degli Esteri noi consideriamo i Brics un partenariato efficace per realizzare l’aspirazione alla operazione internazionale, alla pace e allo sviluppo reciprocamente vantaggioso, attraverso un multilateralismo rafforzato e inclusivo nel quadro della Carta delle Nazioni Unite. Un cambio di passo per tanti paesi in via di sviluppo che nei Brics possono trovare chi è davvero in grado di ascoltare e capire».Un messaggio chiaro a tutto quel mondo che per troppo tempo ha sottovalutato la portata e l’appeal che questo gruppo nato nel 2009 avrebbe potuto esercitare nel resto del mondo. «Naturalmente noi vogliamo lavorare con tutti i Paesi membri, ma abbiamo un occhio di riguardo soprattutto per l’India, il nostro vicino che sta diventando una potenza globale. In questi due anni di gravissima crisi economica Nuova Delhi ci ha aiutato finanziariamente ( circa 3,5 miliardi di dollari ndr), dimostrando come il nostro legame sia profondo. Lo Sri Lanka sta provando a ripartire dopo un periodo buio e la fiducia del popolo cingalese al nuovo corso politico lo dimostra. Stiamo ripensando anche il nostro posizionamento nello scacchiere internazionale e siamo consapevoli di avere una posizione strategica importante. La Cina sta investendo molto nella Nuova Via della Seta sia terrestre che marittima, un progetto globale che crea una rete commerciale nel quale lo Sri Lanka può giocare un ruolo di ponte fra Oceano Indiano e Mar Arabico in direzione dell’Europa. Il nostro posto è nei Brics che vediamo come la nostra collocazione naturale».
L’aumento dei tassi reali giapponesi azzoppa il meccanismo del «carry trade», la divisa indiana non è più difesa dalla Banca centrale: ignorare l’effetto oscillazioni significa fare metà analisi del proprio portafoglio.
Il rischio di cambio resta il grande convitato di pietra per chi investe fuori dall’euro, mentre l’attenzione è spesso concentrata solo su azioni e bond. Gli ultimi scossoni su yen giapponese e rupia indiana ricordano che la valuta può amplificare o azzerare i rendimenti di fondi ed Etf in valuta estera, trasformando un portafoglio «conservativo» in qualcosa di molto più volatile di quanto l’investitore percepisca.
Per Ursula von der Leyen è «inaccettabile» che gli europei siano i soli a sborsare per il Paese invaso. Perciò rilancia la confisca degli asset russi. Belgio e Ungheria però si oppongono. Così la Commissione pensa al piano B: l’ennesimo prestito, nonostante lo scandalo mazzette.
Per un attimo, Ursula von der Leyen è sembrata illuminata dal buon senso: «È inaccettabile», ha tuonato ieri, di fronte alla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo, pensare che «i contribuenti europei pagheranno da soli il conto» per il «fabbisogno finanziario dell’Ucraina», nel biennio 2026/2027. Ma è stato solo un attimo, appunto. La presidente della Commissione non aveva in mente i famigerati cessi d’oro dei corrotti ucraini, che si sono pappati gli aiuti occidentali. E nemmeno i funzionari lambiti dallo scandalo mazzette (Andrij Yermak), o addirittura coinvolti nell’inchiesta (Rustem Umerov), ai quali Volodymyr Zelensky ha rinnovato lo stesso la fiducia, tanto da mandarli a negoziare con gli americani a Ginevra. La tedesca non pretende che i nostri beneficati facciano pulizia. Piuttosto, vuole costringere Mosca a sborsare il necessario per Kiev. «Nell’ultimo Consiglio europeo», ha ricordato ai deputati riuniti, «abbiamo presentato un documento di opzioni» per sostenere il Paese sotto attacco. «Questo include un’opzione sui beni russi immobilizzati. Il passo successivo», ha dunque annunciato, sarà «un testo giuridico», che l’esecutivo è pronto a presentare.
Luis de Guindos (Ansa)
Nel «Rapporto stabilità finanziaria» il vice di Christine Lagarde parla di «vulnerabilità» e «bruschi aggiustamenti». Debito in crescita, deficit fuori controllo e spese militari in aumento fanno di Parigi l’anello debole dell’Unione.
A Francoforte hanno imparato l’arte delle allusioni. Parlano di «vulnerabilità» di «bruschi aggiustamenti». Ad ascoltare con attenzione, tra le righe si sente un nome che risuona come un brontolio lontano. Non serve pronunciarlo: basta dire crisi di fiducia, conti pubblici esplosivi, spread che si stiracchia al mattino come un vecchio atleta arrugginito per capire che l’ombra ha sede in Francia. L’elefante nella cristalleria finanziaria europea.
Manfred Weber (Ansa)
Manfred Weber rompe il compromesso con i socialisti e si allea con Ecr e Patrioti. Carlo Fidanza: «Ora lavoreremo sull’automotive».
La baronessa von Truppen continua a strillare «nulla senza l’Ucraina sull’Ucraina, nulla sull’Europa senza l’Europa» per dire a Donald Trump: non provare a fare il furbo con Volodymyr Zelensky perché è cosa nostra. Solo che Ursula von der Leyen come non ha un esercito europeo rischia di trovarsi senza neppure truppe politiche. Al posto della maggioranza Ursula ormai è sorta la «maggioranza Giorgia». Per la terza volta in un paio di settimane al Parlamento europeo è andato in frantumi il compromesso Ppe-Pse che sostiene la Commissione della baronessa per seppellire il Green deal che ha condannato l’industria - si veda l’auto - e l’economia europea alla marginalità economica.




