2022-12-04
Tutti i misteri dell’uomo del Rwanda. E spunta la terza coop del caso Soumahoro
Nel riquadro il cognato di Aboubakar Soumahoro, Richard Mutangana (Imagoeconomica)
A guidare la società il cognato del deputato di sinistra: è stato segnalato all’Antiriciclaggio. Ha abbandonato la famiglia in Italia e ora fa affari in Africa. La moglie: anche io avevo stipendi arretrati.Nella vicenda delle cooperative legate alla famiglia del deputato Aboubakar Soumahoro spunta una terza coop sociale, già attenzionata dall’Antiriciclaggio. Una società che non sarebbe ancora entrata nell’inchiesta della Procura di Latina, né nelle ispezioni del ministero delle Imprese del Made in Italy. Si tratta della Jambo Africa, un’«associazione di promozione sociale» che sarebbe stata impegnata nei servizi agli immigrati a Roccagorga (Latina), dove Aid e Karibu avevano la gestione dello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati).Per comprendere qualcosa in più di questa nuova pista bisogna appuntarsi un nome: è quello di Richard Mutangana, nato a Butare in Ruanda il giorno della festa dei lavoratori nel 1976. Un omone grande e grosso che vive nel Paese centroafricano dal 2016, ma che sino a gennaio risultava essere un dipendente della Karibu, presieduta dalla mamma Marie Therese Mukamitsindo. Ovvero la suocera indagata di Soumahoro.La storia di Mutangana è importante perché è il primo della famiglia a essere entrato nella rete del nostro Antiriciclaggio. E vi è rimasto impigliato mentre dirigeva, con una retribuzione di circa 40.000 euro l’anno, la Jambo Africa. La società all’epoca sarebbe stata seguita da un promotore finanziario e avrebbe avuto come rappresentante legale proprio Mutangana. La segnalazione di operazione sospetta è datata 28 novembre 2012 e secondo i risk manager la Jambo, che aveva organizzato eventi come il «Crotone Festival», aveva ricevuto dalla Karibu 33 bonifici, con importi da 100 a 30.000 euro, per un totale di 237.280 euro. Richard spiega in banca che la sua Jambo ha una convenzione con quella della madre, dopo che i funzionari erano stati insospettiti da un versamento in contanti di 8.800 euro.In quel periodo il quarantaseienne italo-ruandese (ha la doppia cittadinanza) ritira allo sportello (in più volte) 46.000 euro. Contemporaneamente ricarica con 131.000 euro numerose Postepay. Sembrano soldi per i pocket money dei migranti e per le ricariche telefoniche, ma non solo. Il segnalante precisa che desta «forte sospetto l’operatività del signor Mutangana, in quanto appare nel concreto un’attività di gestione amministrativa della Karibu società cooperativa sociale, effettuata con un conto corrente intestato a una persona fisica che non è il rappresentante legale della stessa». Che cosa è la Jambo Africa? Uno schermo? O qualcos’altro? Nel 2018 la situazione si complica ulteriormente. Il 27 aprile di quell’anno viene fatta un’altra segnalazione per un bonifico da 1.314.512 euro proveniente dalla Karibu e diretto su un «conto corrente intestato alla Jambo Africa». Infatti Richard sino al novembre di quell’anno risulta lavorare ancora per l’associazione-coop, prima di essere assunto direttamente dalla Karibu.Nella sos viene messa sotto osservazione la movimentazione del conto a partire da gennaio 2016 e vengono evidenziati «diversi bonifici esteri (diretti, ndr) verso conti in Ruanda intestati alla Karibu Rwa». Ovvero la gemella ruandese della Karibu, che, apprendiamo da Internet, si occuperebbe di safari e noleggio di fuoristrada giapponesi. Non passano inosservati movimenti verso conti intestati a Muntagana «sia in Italia che all’estero con causali relative a “retribuzione, rimborsi spese e viaggi”, nonché ricariche su carta prepagata sempre intestata allo stesso la cui provvista viene utilizzata principalmente per pagamenti presso pos e prelevamenti presso atm situati in Ruanda». La segnalazione fa riferimento anche a bonifici inviati a società di import-export di abbigliamento di seconda mano e a un rivenditore di macchine usate giapponesi. Richard avrebbe mostrato in banca «il contratto di collaborazione […] che sancisce la convenzione tra le due cooperative» (Karibu e Jambo) stipulato anni prima, ma che, secondo i risk manager, «non è stato firmato dal signor Mutangana». Il quale, nel frattempo, si era trasferito in Ruanda, diventando uccel di bosco: «Il cliente, dopo un’iniziale disponibilità a fornire documentazione che potesse giustificare parte della movimentazione […] si è reso irreperibile» si legge sempre nell’alert inviato all’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia. L’uomo è volato in Africa per fare impresa nel Paese degli avi. Con quali soldi sembra abbastanza chiaro. I legami tra accoglienza e affari africani sono resi plasticamente da un’altra storia. Nel 2018 L. R., già collaboratrice della Jambo Africa e moglie di un ex operatore della Karibu, va a lavorare a Kigali nella «migliore pizzeria del Ruanda», Gusto italiano, aperta proprio da Richard. La donna ha descritto così il locale su Internet: «Il ristorante è unico e accogliente, sviluppato attorno ad una comoda piscina, la sola del quartiere, all’interno di un ampio giardino privato, ben curato e adiacente ad un discreto hotel, che ben presto aprirà». Contattata dalla Verità, L.R. precisa i suoi rapporti con Mutangana & C.: «Su lettera di incarico ho fatto corsi di italiano per i richiedenti asilo a Roccagorga». Su mandato della Jambo Africa? «Tramite la Jambo Africa, ma mi occupavo di accoglienza sotto un’altra coop». La Karibu? «Può darsi. Io cercavo lavoro e ho accettato. Mi hanno pagato regolarmente anche se con qualche mese di ritardo, come accadeva sempre con loro. Me ne sono andata proprio perché avevo bisogno di pagamenti puntuali». Come è iniziata la collaborazione con la Jambo? «Attraverso una signora che faceva l’accoglienza tramite la Jambo. Questa persona dovrebbe avere anche delle case di cura. Ma non ricordo il suo nome». Lei ha lavorato anche in Ruanda per Gusto italiano… «Sì. Credo di aver ricevuto l’incarico direttamente dalla Karibu del Ruanda. Facevo corsi di formazione per chef, per i ragazzi del ristorante». Per avere altre notizie su Mutangana abbiamo cercato V.G., l’italianissima moglie. È stata lei a dirci che Richard è tornato a vivere in Ruanda nel 2016, anche se dal 2018 al 2022 risultava dipendente della Karibu di Latina. Per la consorte l’uomo si occupava della contabilità, sebbene sia un informatico. Mutangana sarebbe figlio di uno «stimato medico ruandese», un oftalmologo. «Quando sono scappati da Kigali il loro obiettivo era di andare a Bruxelles dove già si era trasferita la sorella di mia suocera. E anche Marie Therese ha studiato in Belgio» ci confida V.G. nel cortile della casa colonica in cui vive alle porte di Latina con la madre e i due figli minorenni. Una modesta abitazione di proprietà di Richard, che qui non si vede da anni. Tanto che la consorte lo ha denunciato per violazione degli obblighi famigliari.«Mio marito per me è irrintracciabile da almeno due anni», ci dice. «Se sapessi dove poterlo rintracciare, andrei a cercarlo personalmente». La donna ci spiega che anche lei per un periodo ha vissuto in Africa: «Nel 2017 ho raggiunto Richard in Ruanda con i nostri ragazzi per trascorrere un’estate intera insieme. Alla fine ci siamo fermati a Kigali due anni e mezzo. In quel periodo lui mi ha raccontato di aver ripreso contatti importanti nella capitale e che aveva deciso di avviare delle attività in proprio». Per V.G. Gusto italiano non era un resort, ma, almeno inizialmente, un locale alla buona. E le auto nipponiche citate nelle Sos servivano per i migranti? La signora dà la sua versione: «Per quanto riguarda le vetture lui le comprò attraverso un sito online giapponese che le vendeva a poco più di 600 euro. Dall’Italia non era possibile importarle e quindi le prese lì. Le noleggiava ai dipendenti delle ambasciate».La donna ci dà qualche altra informazione sul marito «desaparecido»: «Fa il programmatore ed è molto bravo. Che io sappia lui lavora alla Karibu dal 2010. Ci siamo conosciuti lì perché anche io, dopo la laurea in Scienze della comunicazione, ho cominciato a collaborare con la cooperativa di mia suocera. Io percepivo un salario di 600 euro al mese e, finché sono stata con lui, ho sempre saputo che lo stipendio di Richard non superava i 1.200 euro». In realtà sino al 2011 Mutangana ha lavorato ufficialmente per diverse società, per lo più di informatica, ma non per la Karibu, arrivando a guadagnare anche 30.000 euro l’anno, 40.000 a partire dal 2012. Insomma i conti sembrano non tornare. Ma torniamo al Ruanda: «I problemi con Richard sono iniziati quando ci siamo trasferiti a Kigali. Lui di fatto è sparito. Si allontanava da casa e stava fuori settimane senza farsi vedere né sentire. Per questo ho deciso di tornare in Italia con i miei figli». È adesso come va? «Sono quattro anni che sto crescendo i ragazzi da sola. Lui ogni tanto manda qualche messaggio e molto raramente telefona. In questo periodo noi abbiamo vissuto anche con 40 euro a settimana. Mi sono arrangiata facendo delle ripetizioni e andando a fare delle pulizie». E il suo impiego alla Karibu? «Solo negli ultimi due o tre anni ero stata assunta a tempo indeterminato. Quando sono rientrata a Latina, non avendo certezza del fatto che Richard contribuisse alle spese, ho atteso che fossero loro a licenziarmi». Cosa che è puntualmente accaduta.La nostra intervista alla moglie di Mutangana si conclude con alcune domande sulla cognata Liliane, la compagna di Soumahoro, la quale per qualche anno è stata socia lavoratrice e consigliera d’amministrazione della Karibu: «Di lei ho sempre saputo molto poco. Non ho mai ben capito quello che facesse anche se negli ultimi tempi ho visto che era più presente nella cooperativa. Ricordo che con lei ebbi anche una discussione perché mi chiedeva documenti riservati di alcuni lavoratori e siccome io ero la responsabile delle risorse umane le dissi che doveva farmi dare l’autorizzazione dalla madre.Infine mi ricordo un episodio che ci creò molto imbarazzo. Eravamo a un pranzo di Natale e uno dei miei figli, all’epoca piccolino, era molto affascinato da lei e le chiese: “Zia, ma tu che lavoro fai?”. Scese il silenzio. Nessuno ha risposto. Nemmeno lei. Poi qualcuno ha sviato il discorso ed è finita lì».Hanno collaborato Paolo Gianlorenzo e François de Tonquédec
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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