2018-11-05
Ogni 100 giovani, 217 anziani e 130 milioni di sim telefoniche: l'Italia nel 2027
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Al di là dell'ideologia il rapporto Coop 2018 contiene dati interessanti per capire il futuro del nostro Paese. Cresce l'età media: gli ultracentenari saliranno esponenzialmente, dalle 17.000 unità attuali agli oltre 120.000, mentre dal 2008 a oggi si contano 900.000 donne in meno in età compresa tra i 15 e i 50 anni. E il 37% dei Comuni è a rischio estinzione.I consumi si sono ridotti del 2% rispetto al 2010 a differenza di Germania e Francia dove la spesa è aumentata rispettivamente del 12,7% e del 10,2%. Ma se solo un 10% delle famiglie attualmente senza figli accedesse alla condizione di genitorialità, l'impatto sarebbe di circa 2 miliardi di euro di Pil in più.Lo speciale comprende due articoli.!function(e,t,n,s){var i="InfogramEmbeds",o=e.getElementsByTagName(t)[0],d=/^http:/.test(e.location)?"http:":"https:";if(/^\/{2}/.test(s)&&(s=d+s),window[i]&&window[i].initialized)window[i].process&&window[i].process();else if(!e.getElementById(n)){var a=e.createElement(t);a.async=1,a.id=n,a.src=s,o.parentNode.insertBefore(a,o)}}(document,"script","infogram-async","https://e.infogram.com/js/dist/embed-loader-min.js");Al netto della propaganda sui temi dell'immigrazione, il rapporto Coop 2018 offre interessanti spunti di riflessione sullo stato delle famiglie italiane. Infatti, se si guarda oltre la retorica immigrazionista (si legge, tra le altre cose, che l'aumento della quota della popolazione anziana mette a rischio la possibilità di disporre di risorse adeguate per il sostegno alle persone in età avanzata, sia in termini di prestazioni pensionistiche che di servizi di assistenza») si può scoprire un divario emergente nella popolazione italiana, spaccata tra nostalgici ed esploratori. Siamo davanti a un Paese polarizzato e diviso, tra paura del nuovo o voglia di sperimentare, incertezza o fiducia nelle innovazioni tecnologiche e nel futuro.Sono sicuramente gli effetti della lunga crisi economica che emergono spulciando tra i numeri relativi alla famiglia. Basti pensare che l'Italia è ultima in Europa consumi (dati relativi al 2017), con una riduzione della spesa delle famiglie superiore al 2% rispetto al 2010. Una situazione preoccupante, ancor più preoccupante però se rapportata agli incrementi registrati in Germania (+12,7%) e Francia (+10,2%). E pur in un contesto di segno favorevole, l'ultimo anno restituisce indicazioni non molto diverse, se si considera che l'incremento italiano (+0,7%) è il più basso tra le grandi economie europee. A rafforzare i sospetti di disparità sociali nel nostro Paese c'è un elemento in particolare: le famiglie benestanti spendono infatti quattro volte di più rispetto a quelle con bassa capacità di spesa. Di conseguenza, si polarizzano anche gli acquisti: crescono da una parte i prodotti ad alto valore aggiunto (quelli biologici e salutistici, per esempio), dall'altra i prodotti low cost.Guardando invece alla distruzione dei consumi per voce di spesa, insieme a quelle spagnole, le famiglie italiane sono quelle che destinano le minori risorse (43%) all'acquisto dei servizi, soprattutto per effetto dell'importanza che il cibo, contabilizzato nella statistica ufficiale tra i beni, riveste nel modello di consumo nei Paesi dell'area mediterranea. Ma sempre guardando le voci di spese si notano le peculiarità del paradigma di consumo delle famiglie italiane. Posta pari a 100 la spesa in servizi, una quota non distante dal 40% prende la via del tempo libero, a suggerire che viaggi e divertimento, teatro e spettacoli, cinema e sport identificano un modo di vivere tipico delle famiglie italiane. Invece, spendiamo meno, almeno in termini relativi, per la casa e le comunicazioni: merito, da una parte, di una ampia diffusione dell'abitazione di proprietà e di livello degli affitti che risulta tipicamente più contenuto se paragonato al costo di una abitazione nei grandi centri urbani degli altri Paesi europei e, dall'altra, di una maggiore competizione che tende a comprimere i prezzi praticati al consumatore finale.A mutare è anche la famiglia, un tempo tradizionale, unica e indivisibile, identificata nell'immaginario collettivo come la classica coppia sposata (un uomo e una donna) con figli (almeno due). Forse era un'immagine semplicistica, ma per decenni ha sostanzialmente coinciso con la realtà dei fatti. Tuttavia dagli anni Sessanta e poi nei decenni successivi, molto è cambiato. Il primo fenomeno: sono cresciute rapidamente le famiglie unipersonali, costituite cioè da un solo componente: dal 10% nel 1961 al 20% nel 1991 fino ad arrivare al 30% del totale delle famiglie ai giorni nostri, superando di poco la soglia di 8 milioni di individui. Il secondo fenomeno: il calo delle nascite e, di conseguenza, del numero medio di figli per donna. L'Italia è notoriamente sempre più un Paese senza figli (il 2017 ha fatto registrare l'ennesimo record negativo, con 9.000 bambini nati in meno rispetto al 2016) ma nel contempo è sempre più un Paese «senza madri»: i più recenti dati Istat relativi agli indicatori demografici certificano che in dieci anni la platea delle madri potenziali si è, infatti, ridimensionata in maniera preoccupante (dal 2008 a oggi si contano 900.000 donne in meno in età compresa tra i 15 e i 50 anni, di cui 200.000 solo nell'ultimo anno), mentre le donne che diventano mamme davvero lo fanno sempre più in ritardo, con un'età media al parto salita a più di 33 anni (mentre gli uomini si affacciano alla paternità in media solo dopo aver compiuto 37 anni) e quasi un italiano su due ritiene oramai che le donne non dovrebbero cominciare a pensare di diventare madri prima dei 35 anni. Ed è proprio il numero di figli ad aver avuto un impatto sul sistema economico nazionale e in particolare sui livelli di consumo di beni e servizi. Elaborando i micro dati dell'indagine Istat sui consumi delle famiglie, è possibile stimare, si legge nel rapporto, che se anche solo un 10% delle famiglie attualmente senza figli accedesse alla condizione di genitorialità, l'impatto sarebbe di circa 2 miliardi di euro di maggiori consumi.C'è infine un interessante capitolo che riguarda il rapporto degli italiani con il digitale. Con la più alta percentuale di Sim per abitante in Ue (100 milioni sono quelle attive in Italia e si calcola che fra dieci anni saranno 130 milioni), gli italiani dimostrano da tempo di non aver paura delle tecnologie. Dopo lo scandalo Facebook che ha fatto emergere le criticità della Rete circa la sicurezza dei dati personali, siamo ormai coscienti del rischio di dipendenza smartphone, soprattutto nei giovani matura un approccio più critico verso il digitale. E così, dalle foto alla musica, qualcuno riscopre il gusto dell'analogico tra rullini, libri di carta e vinili. O, parlando di telefonini, del vintage: basti pensare al ritorno del brand Nokia, che punta tutto sulla semplicità e le poche funzionalità dei suoi apparecchi.Gabriele Carrer<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/speciale-lunedi-2617669191.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nel-2080-il-numero-degli-italiani-scendera-a-53-milioni" data-post-id="2617669191" data-published-at="1758066020" data-use-pagination="False"> Nel 2080 il numero degli italiani scenderà a 53 milioni Giphy La crisi economica degli ultimi dieci anni gli italiani non l'hanno ancora pagata del tutto. Oltre alle tasche dei cittadini, a svuotarsi, secondo le previsioni, sarà l'Italia.Secondo il rapporto Coop, entro il 2080 il numero di italiani scenderà dell'11,5%, passando dagli attuali 60,5 milioni a circa 53.Come se non bastasse, inoltre, lo studio realizzato dall'Ufficio Studi di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) guidato dal direttore Albino Russo, sottolinea che questa sarebbe una stima prudenziale e pertanto il calo demografico potrebbe essere anche peggiore.Non basta: entro il 2066, continua lo studio, al nord vivrà oltre il 50% della popolazione, mentre nel Mezzogiorno vivrà solo il 29% degli italiani, perdendo dunque terreno rispetto a oggi dove al Sud vive il 34% del totale. Le regioni del Centro-Nord, in particolar modo, nei prossimi trent'anni sono le uniche che sperimenteranno una crescita demografica, in buona misura grazie a migrazioni interregionali di italiani che si spostano da una regione all'altra.In compenso, nei prossimi cinquanta anni il Sud e le Isole perderanno complessivamente circa 5 milioni di abitanti, oltre i tre quarti del calo demografico totale della penisola.Quel che è peggio è che, mentre lo Stivale si vuota, altri Stati si popolano. Nei prossimi 50-60 anni, spiega lo studio, in Spagna e Francia la popolazione crescerà rispettivamente del +9,8% e del +18,5%. Ancor più nel Regno Unito (+27,1%) e nei Paesi dell'area scandinava (l'incremento in Svezia e Norvegia potrebbe superare il 35%, il più elevato in Europa), che dovrebbero beneficiare del mutamento delle condizioni climatiche e dell'accessibilità di nuove aree per la creazione di nuovi centri urbani. Segno meno, ma di entità minore rispetto all'Italia, per la Germania che in futuro perderà il 4,2% della popolazione.In questo contesto, inoltre, ad avere la peggio saranno i piccoli centri urbani, da sempre uno degli elementi identitari della geografia italiana.Infatti, i movimenti demografici futuri, in un contesto di rapidi cambiamenti tecnologici (disponibilità della banda larga, ripensamento degli ambienti urbani in chiave più ecosostenibile) tenderanno a favorire i centri di maggiori dimensioni a svantaggio dei circa 8.000 comuni italiani presenti sul territorio (di cui due terzi con meno di 5.000 abitanti).Secondo una recente analisi a cura della Fondazione per la Sussidiarietà, se le tendenze demografiche dovessero seguire gli scenari descritti nei prossimi decenni, il 37% dei Comuni italiani è a rischio estinzione e in quasi tutte le regioni del Sud dove tale incidenza supera il 50%.C'è poi il tema dell'invecchiamento, spiega l'indagine Coop, che avrà un impatto diretto sui conti pubblici. Secondo le ultime proiezioni dell'Istat, la vita media dovrebbe crescere di oltre cinque anni per entrambi i sessi, raggiungendo 86,1 anni e 90,2 anni rispettivamente per uomini e donne (dagli 80,6 e 85 anni di oggi).Ciò significa un ulteriore spostamento in alto dell'età media, dagli attuali 44,9 ad oltre 50 anni nel 2066. Per avere un confronto, alla stessa data, francesi e spagnoli avranno in media sette anni di meno: in parole povere, maggiore dinamismo della società e un costo minore sotto il profilo previdenzialePerché? Quella anziana sarà la componente prevalente della futura popolazione italiana, se è vero che entro dieci anni ad ogni 100 giovani corrisponderanno 217 anziani. In questo contesto gli ultracentenari saliranno esponenzialmente, dalle 17.000 unità attuali agli oltre 120.000. Il saldo naturale passerà dall'attuale -183.000 a -400.000 (con 800.000 decessi e 400.000 nascite all'anno).Secondo le stime contenute nel Def, questo comporterà un aumento della spesa previdenziale che passerà dall'attuale 15,3% del prodotto interno lordo a circa il 18,4% nel 2040.Gianluca Baldini