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2018-10-22
Le casse dei professionisti italiani investono 36 miliardi nell'economia reale. Ma all'estero
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Se ne parla poco. Sembrano rappresentare solo una questione per addetti ai lavori. Ma le casse professionali sono di fatti i salvadanai dei professionisti italiani. Casseforti che investono il denaro dei lavoratori con l'obiettivo di poter offrire loro un futuro migliore. La Covip, la Commissione di vigilanza dei fondi pensione, ha presentato il «Quadro di sintesi» sui dati relativi al patrimonio delle Casse professionali e alla loro gestione finanziaria al 31 dicembre 2017.
La buona notizia è che, in media, le casse professionali hanno visto il loro patrimonio salire negli ultimi anni. Solo tra il 2016 e il 2017 il valore del patrimonio totale delle casse è aumentato di 5,3 miliardi (il 6,6% in più). Una buona notizia, visto l'andamento del mercato del lavoro che predilige il precariato e dunque il proliferare di contratti poco remunerativi sia in termini economici che previdenziali.
Eppure dal 2011 al 2017, le attività totali delle Casse sono cresciute complessivamente del 53,2% (da 55,7 a 85,3 miliardi di euro).
Certo, non tutte le casse sono uguali. Circa il 73% delle risorse complessive del settore fa capo a cinque istituti: l'Enpam, l'ente nazionale di previdenza e assistenza dei medici e degli odontoiatri, Inarcassa, la cassa nazionale di previdenza e assistenza di ingegneri e architetti liberi professionisti, la Cassa dottori Commercialisti e Enasarco, quella che tutela gli agenti di commercio.
Ovviamente le differenze sono riconducibili alle caratteristiche economiche, sociali e demografiche delle diverse platee di riferimento, ma si può affermare che la maggior parte degli enti godono di buona salute. Il problema è che sulla dinamica di crescita dell'attivo incidono i contributi raccolti e le prestazioni erogate: la differenza tra i primi e le seconde è positiva per tutte le Casse ad eccezione dell'Inpgi (il calcolo interessa solo la parte che riguarda i giornalisti assunti e non i freelance che fanno riferimento alla cosiddetta Inpgi 2) e della Cassa geometri. In questi due casi i servizi erogati hanno superato i contributi dei professionisti.
Ma come investono questi enti i soldi dei contribuenti? Gli investimenti immobiliari, 19,4 miliardi di euro nel 2017 (19,1 nel 2016), si sono ridotti in percentuale negli ultimi due anni dell'analisi (22,7% contro il 23,8 del 2016); tra le diverse componenti, l'incidenza delle quote di fondi immobiliari (pari al 16,1%) è in leggero aumento, mentre diminuisce quella degli immobili detenuti direttamente (dal 7,3 al 6%).
Per queste istituzioni l'investimento obbligazionario resta preponderante. Gli investimenti in titoli di debito, 31,2 miliardi (27,9 nel 2016) costituiscono il 36,6% dell'attivo, registrando un aumento di 1,7 punti percentuali rispetto al 2016; tra le diverse componenti, gli investimenti diretti in bond complessivamente scendono passando dal 24,4 al 22,4%, ma aumenta dal 10,5 al 14,3% la componente obbligazionaria investita nei fondi obbligazionari;
In crescita anche gli investimenti azionari: 14,8 miliardi di euro (13,3 nel 2016) formano il 17,3% dell'attivo (16,6 nel 2016); tra le diverse componenti, restano sostanzialmente stabili gli investimenti diretti, mentre si registra un aumento dal 7 al 7,8% della componente azionaria nei fondi.
Le casse professionali (suddivise tra enti di previdenza e fondi pensione di categoria) investono il loro tesoretto anche nell'economia reale, maggiormente fuori dall'Italia. Gli investimenti domestici degli enti di previdenza ammontano a 34,4 miliardi di euro, mentre gli investimenti non domestici si attestano a 36,9 miliardi. Ancora più «esterofili» i fondi pensione: hanno investito nell'economia italiana 38,3 miliardi di euro, mentre gli investimenti non domestici hanno raggiunto quota a 79,5 miliardi.
In linea di massima, dunque, il sistema delle casse previdenziali funziona. Questi enti riescono a raccogliere e a reinvestire i contributi dei loro iscritti offrendo un effettivo per gli associati e, in molti casi, mostrando una salute decisamente migliore dell'Inps che ha chiuso il bilancio 2017 con un buco da 6,3 miliardi.
INFOGRAFICA
L'ente dei medici è quello più in salute. Enasarco mette a segno 147 milioni
L'analisi Covip offre una chiara fotografia di quali sia lo stato di salute delle casse professionali italiane.
L'ente previdenziale di medici e dentisti è di gran lunga quello che sta meglio. Nonostante le prestazioni offerte nel 2017, nelle tasche dell'Enpam sono rimasti 998 milioni di euro, una cifra che distacca di gran lunga il secondo istituto in classifica. La cassa forense che si prende cura delle pensioni degli avvocati ha chiuso l'anno passato con un saldo positivo tra prestazioni e contributi per 659 milioni di euro.
L'ente previdenziale di ingegneri e architetti, Inarcassa, ha chiuso il 2017 con 425 milioni di saldo, poco meno della cassa dei dottori commercialisti (Cnpadc) che ha chiuso i conti dell'anno scorso a quota 468 milioni.
C'è poi Enasarco, la cassa degli agenti di commercio, che ha messo a segno un 2017 con 147 milioni di euro. Questi cinque enti rappresentano insieme il 73% degli istituti.
Tutte le altre casse previdenziali presenti in Italia hanno chiuso l'anno passato con cifre più modeste, ma pur sempre positive. L'Enpaf, che segue i farmacisti, ha finito a 115 milioni di euro.
Ben meno hanno messo da parte i ragionieri. La loro cassa, Cnpr, ha chiuso con un attivo di 42 milioni.
Gli addetti del mondo dell'agricoltura hanno ad esempio chiuso con 34 milioni, cifre che scende decisamente nel caso della gestione separata di questo ente, quella che interessa gli agrotecnici e i periti agrari. In questo caso il saldo si è chiuso pericolosamente vicino allo zero rispettivamente a quota 3 e 7 milioni di euro.
La Cassa nazionale del notariato ha invece chiuso con 57 milioni di attivo, valore inferiore all'Enpap che segue gli psicologi (89 milioni), ai periti industriali laureati con l'Eppi (74 milioni) e ai 65 milioni realizzati dall'Enpacl, la cassa dei consulenti del lavoro.
All'appello non mancano l'Epap, la cassa pluricategoriale per agronomi, forestali, attuari, chimici e geologi che ha chiuso l'anno con 45 milioni, l'Enpapi degli infermieri liberi (72 milioni di saldo), la Fasc, il fondo agenti spedizionieri e corrieri (17 milioni), quello dei veterinari (Enpav, con milioni), dei biologi (Enpab, con 38 milioni). Meno incoraggiante, invece, la posizione dell'Onaosi, l'ente previdenziale degli orfani sanitari che ha concluso l'anno con un attivo di 4 milioni.
È chiaro che il buon andamento di queste casse sia legato a doppio nodo con il mercato del lavoro. Senza la creazione di nuovi posti di lavoro che garantiscono contributi freschi, il rischio è che gli iscritti si trovino a pagare per le prestazioni senza la possibilità di avere accesso, però, a capitali freschi.
In difficoltà ci sono i geometri e soprattutto i giornalisti
In mezzo a tanti istituti previdenziali sani ce n'è sempre qualcuno "malato". Secondo lo studio Covip sul 2017, ad avere la peggio l'anno scorso sono stati i giornalisti e i geometri.
Gli enti che curano la vecchiaia di queste due categorie di professionisti l'anno scorso hanno pagato più di quanto non abbiamo incassato. E non di poco: la cassa dei geometri ha chiuso in passivo tra contributi e saldo per 43 milioni, ben peggiore la situazione dell'Inpgi che ha terminato l'anno a -176 milioni di euro.
Del resto non è un caso se si tratta di due professioni che hanno sentito il peso della crisi. Nel caso dei geometri, si tratta di quella del mattone, per i giornalisti quella dell'editoria.
La crisi dell'edilizia ha pesato non poco sulle spalle dei geometri: dal 2009 al 2016 l'evasione contributiva è salita di sei punti percentuali, passando dal 16,7 al 22,7%. In questo lasso di tempo gli iscritti sono inoltre diminuiti di quasi il 6%, scendendo dai 95.036 agli 89.472 del 2016. Per recuperare le somme dovute la Cassa geometri, per gli importi fino a 2.500 euro mai andati a ruolo, ha avviato la cosiddetta "riscossione gentile" che prevede un contatto diretto con l'iscritto e la possibilità di pagare in maniera agevolata.
Ancora peggiore la situazione dell'Inpgi, l'istituto previdenziale dei giornalisti. Ogni 100 euro che l'Inpgi incassa da contributi ne spende 132,5 per pagare le pensioni, per tutte le altre prestazioni e per le spese di gestione.
Il problema è che ad essere in crisi non è tutta l'Inpgi, ma a gestione sostitutiva dell'Assicurazione generale obbligatoria, che paga e dovrebbe garantire la pensione a tutti i giornalisti che sono lavoratori dipendenti. La crisi, per fortuna, non riguarda la gestione separata, quella di chi è freelance.
Del resto, i giornalisti regolarmente assunti sono sempre meno. L'anno scorso, ha detto la presidente dell'Inpgi, Marina Macelloni, c'è stata una diminuzione di 889 rapporti di lavoro, scesi da 16.045 a 15.156. Mentre le pensioni erogate sono state 388 in più, da 9.010 a 9.398 (7.114 dirette e 2.284 a superstiti). «Negli ultimi cinque anni», afferma Macelloni nella relazione Inpgi sull'andamento dell'ente, «la categoria ha perso quasi 3.000 lavoratori attivi». Il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati continua a scendere, è diminuito da 1,76 del 2016 a 1,60 nel 2017. Una discesa vertiginosa: era circa 1,8 nel 2015 e 1,97 nel 2014.
In questo caso dovrebbero essere le istituzioni a muoversi, d'accordo le rappresentanze di categoria. Altrimenti, di questo passo, geometri e giornalisti rischiano di non essere più tutelati e di non avere più una pensione.
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Riduci
Solo tra il 2016 e il 2017 il valore del patrimonio totale delle casse è aumentato di 5,3 miliardi (il 6,6% in più). Una buona notizia, visto l'andamento del mercato del lavoro che predilige il precariato e dunque il proliferare di contratti poco remunerativi. I più «esterofili» sono i fondi pensione: hanno puntato sul Pil tricolore 38,3 miliardi di euro, mentre gli investimenti non domestici hanno raggiunto quota a 79,5 miliardi.Nonostante le prestazioni offerte nel 2017, nelle tasche dell'Enpam (medici) sono rimasti 998 milioni di euro, una cifra che distacca di gran lunga il secondo istituto in classifica. La cassa forense che si prende cura delle pensioni degli avvocati ha chiuso l'anno passato con un saldo positivo per 659 milioni di euro.In difficoltà ci sono i geometri e soprattutto i giornalisti. Ogni 100 euro che l'Inpgi incassa da contributi ne spende 132,5 per pagare le pensioni, per tutte le altre prestazioni e per le spese di gestione.Lo speciale contiene tre articoli.Se ne parla poco. Sembrano rappresentare solo una questione per addetti ai lavori. Ma le casse professionali sono di fatti i salvadanai dei professionisti italiani. Casseforti che investono il denaro dei lavoratori con l'obiettivo di poter offrire loro un futuro migliore. La Covip, la Commissione di vigilanza dei fondi pensione, ha presentato il «Quadro di sintesi» sui dati relativi al patrimonio delle Casse professionali e alla loro gestione finanziaria al 31 dicembre 2017.La buona notizia è che, in media, le casse professionali hanno visto il loro patrimonio salire negli ultimi anni. Solo tra il 2016 e il 2017 il valore del patrimonio totale delle casse è aumentato di 5,3 miliardi (il 6,6% in più). Una buona notizia, visto l'andamento del mercato del lavoro che predilige il precariato e dunque il proliferare di contratti poco remunerativi sia in termini economici che previdenziali. Eppure dal 2011 al 2017, le attività totali delle Casse sono cresciute complessivamente del 53,2% (da 55,7 a 85,3 miliardi di euro).Certo, non tutte le casse sono uguali. Circa il 73% delle risorse complessive del settore fa capo a cinque istituti: l'Enpam, l'ente nazionale di previdenza e assistenza dei medici e degli odontoiatri, Inarcassa, la cassa nazionale di previdenza e assistenza di ingegneri e architetti liberi professionisti, la Cassa dottori Commercialisti e Enasarco, quella che tutela gli agenti di commercio. Ovviamente le differenze sono riconducibili alle caratteristiche economiche, sociali e demografiche delle diverse platee di riferimento, ma si può affermare che la maggior parte degli enti godono di buona salute. Il problema è che sulla dinamica di crescita dell'attivo incidono i contributi raccolti e le prestazioni erogate: la differenza tra i primi e le seconde è positiva per tutte le Casse ad eccezione dell'Inpgi (il calcolo interessa solo la parte che riguarda i giornalisti assunti e non i freelance che fanno riferimento alla cosiddetta Inpgi 2) e della Cassa geometri. In questi due casi i servizi erogati hanno superato i contributi dei professionisti. Ma come investono questi enti i soldi dei contribuenti? Gli investimenti immobiliari, 19,4 miliardi di euro nel 2017 (19,1 nel 2016), si sono ridotti in percentuale negli ultimi due anni dell'analisi (22,7% contro il 23,8 del 2016); tra le diverse componenti, l'incidenza delle quote di fondi immobiliari (pari al 16,1%) è in leggero aumento, mentre diminuisce quella degli immobili detenuti direttamente (dal 7,3 al 6%). Per queste istituzioni l'investimento obbligazionario resta preponderante. Gli investimenti in titoli di debito, 31,2 miliardi (27,9 nel 2016) costituiscono il 36,6% dell'attivo, registrando un aumento di 1,7 punti percentuali rispetto al 2016; tra le diverse componenti, gli investimenti diretti in bond complessivamente scendono passando dal 24,4 al 22,4%, ma aumenta dal 10,5 al 14,3% la componente obbligazionaria investita nei fondi obbligazionari; In crescita anche gli investimenti azionari: 14,8 miliardi di euro (13,3 nel 2016) formano il 17,3% dell'attivo (16,6 nel 2016); tra le diverse componenti, restano sostanzialmente stabili gli investimenti diretti, mentre si registra un aumento dal 7 al 7,8% della componente azionaria nei fondi.Le casse professionali (suddivise tra enti di previdenza e fondi pensione di categoria) investono il loro tesoretto anche nell'economia reale, maggiormente fuori dall'Italia. Gli investimenti domestici degli enti di previdenza ammontano a 34,4 miliardi di euro, mentre gli investimenti non domestici si attestano a 36,9 miliardi. Ancora più «esterofili» i fondi pensione: hanno investito nell'economia italiana 38,3 miliardi di euro, mentre gli investimenti non domestici hanno raggiunto quota a 79,5 miliardi. In linea di massima, dunque, il sistema delle casse previdenziali funziona. Questi enti riescono a raccogliere e a reinvestire i contributi dei loro iscritti offrendo un effettivo per gli associati e, in molti casi, mostrando una salute decisamente migliore dell'Inps che ha chiuso il bilancio 2017 con un buco da 6,3 miliardi.INFOGRAFICA!function(e,t,n,s){var i="InfogramEmbeds",o=e.getElementsByTagName(t)[0],d=/^http:/.test(e.location)?"http:":"https:";if(/^\/{2}/.test(s)&&(s=d+s),window[i]&&window[i].initialized)window[i].process&&window[i].process();else if(!e.getElementById(n)){var a=e.createElement(t);a.async=1,a.id=n,a.src=s,o.parentNode.insertBefore(a,o)}}(document,"script","infogram-async","https://e.infogram.com/js/dist/embed-loader-min.js");<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/speciale-lunedi-2613798843.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="l-ente-dei-medici-e-quello-piu-in-salute-enasarco-mette-a-segno-147-milioni" data-post-id="2613798843" data-published-at="1765405934" data-use-pagination="False"> L'ente dei medici è quello più in salute. Enasarco mette a segno 147 milioni L'analisi Covip offre una chiara fotografia di quali sia lo stato di salute delle casse professionali italiane. L'ente previdenziale di medici e dentisti è di gran lunga quello che sta meglio. Nonostante le prestazioni offerte nel 2017, nelle tasche dell'Enpam sono rimasti 998 milioni di euro, una cifra che distacca di gran lunga il secondo istituto in classifica. La cassa forense che si prende cura delle pensioni degli avvocati ha chiuso l'anno passato con un saldo positivo tra prestazioni e contributi per 659 milioni di euro.L'ente previdenziale di ingegneri e architetti, Inarcassa, ha chiuso il 2017 con 425 milioni di saldo, poco meno della cassa dei dottori commercialisti (Cnpadc) che ha chiuso i conti dell'anno scorso a quota 468 milioni.C'è poi Enasarco, la cassa degli agenti di commercio, che ha messo a segno un 2017 con 147 milioni di euro. Questi cinque enti rappresentano insieme il 73% degli istituti. Tutte le altre casse previdenziali presenti in Italia hanno chiuso l'anno passato con cifre più modeste, ma pur sempre positive. L'Enpaf, che segue i farmacisti, ha finito a 115 milioni di euro.Ben meno hanno messo da parte i ragionieri. La loro cassa, Cnpr, ha chiuso con un attivo di 42 milioni. Gli addetti del mondo dell'agricoltura hanno ad esempio chiuso con 34 milioni, cifre che scende decisamente nel caso della gestione separata di questo ente, quella che interessa gli agrotecnici e i periti agrari. In questo caso il saldo si è chiuso pericolosamente vicino allo zero rispettivamente a quota 3 e 7 milioni di euro.La Cassa nazionale del notariato ha invece chiuso con 57 milioni di attivo, valore inferiore all'Enpap che segue gli psicologi (89 milioni), ai periti industriali laureati con l'Eppi (74 milioni) e ai 65 milioni realizzati dall'Enpacl, la cassa dei consulenti del lavoro. All'appello non mancano l'Epap, la cassa pluricategoriale per agronomi, forestali, attuari, chimici e geologi che ha chiuso l'anno con 45 milioni, l'Enpapi degli infermieri liberi (72 milioni di saldo), la Fasc, il fondo agenti spedizionieri e corrieri (17 milioni), quello dei veterinari (Enpav, con milioni), dei biologi (Enpab, con 38 milioni). Meno incoraggiante, invece, la posizione dell'Onaosi, l'ente previdenziale degli orfani sanitari che ha concluso l'anno con un attivo di 4 milioni. È chiaro che il buon andamento di queste casse sia legato a doppio nodo con il mercato del lavoro. Senza la creazione di nuovi posti di lavoro che garantiscono contributi freschi, il rischio è che gli iscritti si trovino a pagare per le prestazioni senza la possibilità di avere accesso, però, a capitali freschi. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/speciale-lunedi-2613798843.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="in-difficolta-ci-sono-i-geometri-e-soprattutto-i-giornalisti" data-post-id="2613798843" data-published-at="1765405934" data-use-pagination="False"> In difficoltà ci sono i geometri e soprattutto i giornalisti In mezzo a tanti istituti previdenziali sani ce n'è sempre qualcuno "malato". Secondo lo studio Covip sul 2017, ad avere la peggio l'anno scorso sono stati i giornalisti e i geometri. Gli enti che curano la vecchiaia di queste due categorie di professionisti l'anno scorso hanno pagato più di quanto non abbiamo incassato. E non di poco: la cassa dei geometri ha chiuso in passivo tra contributi e saldo per 43 milioni, ben peggiore la situazione dell'Inpgi che ha terminato l'anno a -176 milioni di euro.Del resto non è un caso se si tratta di due professioni che hanno sentito il peso della crisi. Nel caso dei geometri, si tratta di quella del mattone, per i giornalisti quella dell'editoria. La crisi dell'edilizia ha pesato non poco sulle spalle dei geometri: dal 2009 al 2016 l'evasione contributiva è salita di sei punti percentuali, passando dal 16,7 al 22,7%. In questo lasso di tempo gli iscritti sono inoltre diminuiti di quasi il 6%, scendendo dai 95.036 agli 89.472 del 2016. Per recuperare le somme dovute la Cassa geometri, per gli importi fino a 2.500 euro mai andati a ruolo, ha avviato la cosiddetta "riscossione gentile" che prevede un contatto diretto con l'iscritto e la possibilità di pagare in maniera agevolata. Ancora peggiore la situazione dell'Inpgi, l'istituto previdenziale dei giornalisti. Ogni 100 euro che l'Inpgi incassa da contributi ne spende 132,5 per pagare le pensioni, per tutte le altre prestazioni e per le spese di gestione.Il problema è che ad essere in crisi non è tutta l'Inpgi, ma a gestione sostitutiva dell'Assicurazione generale obbligatoria, che paga e dovrebbe garantire la pensione a tutti i giornalisti che sono lavoratori dipendenti. La crisi, per fortuna, non riguarda la gestione separata, quella di chi è freelance. Del resto, i giornalisti regolarmente assunti sono sempre meno. L'anno scorso, ha detto la presidente dell'Inpgi, Marina Macelloni, c'è stata una diminuzione di 889 rapporti di lavoro, scesi da 16.045 a 15.156. Mentre le pensioni erogate sono state 388 in più, da 9.010 a 9.398 (7.114 dirette e 2.284 a superstiti). «Negli ultimi cinque anni», afferma Macelloni nella relazione Inpgi sull'andamento dell'ente, «la categoria ha perso quasi 3.000 lavoratori attivi». Il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati continua a scendere, è diminuito da 1,76 del 2016 a 1,60 nel 2017. Una discesa vertiginosa: era circa 1,8 nel 2015 e 1,97 nel 2014. In questo caso dovrebbero essere le istituzioni a muoversi, d'accordo le rappresentanze di categoria. Altrimenti, di questo passo, geometri e giornalisti rischiano di non essere più tutelati e di non avere più una pensione.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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