2025-04-03
Da Rocco a Borsellino: la cultura dello Stato che la sinistra (e pure certa destra) ha scordato
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Alfredo Rocco, ministro della Giustizia dal 1925 al 1932 (Getty Images)
In un saggio appena uscito, lo studioso Spartaco Pupo ricostruisce la storia dell’idea di Stato nella destra dal primo Novecento a Fratelli d’Italia.La destra e lo Stato: un binomio che parrebbe andare da sé. Eppure, spesso, nell’immaginario le cose non stanno così. Una certa propaganda avversaria ha infatti imposto l’idea di una destra allergica alle regole del vivere comune, individualista, pro evasione, pro giustizia privata, persino priva di anticorpi contro il potere mafioso. «La Casa delle libertà: facciamo un po’ come c… ci pare», satireggiava Corrado Guzzanti. E, a essere del tutto onesti, qualche volta la destra ha finito per avvinarsi a questo stereotipo caricaturale, forse per un malinteso liberalismo. Giunge quindi benvenuto il libro di Spartaco Pupo, che si intitola appunto Lo Stato e la destra (Eclettica).Docente di Storia del pensiero politico all’università della Calabria, con all’attivo diversi saggi (e anche vittima di un tentativo, fortunatamente abortito, di «cancellazione» da parte dei soliti attivisti), Pupo ci fa fare un viaggio nella storia delle idee e della politica, da Gentile a Borsellino, da Rocco a Pound, alla scoperta di una idea di Stato conservatrice, ma anche modernizzatrice. E rimette sugli altari una visione nobile e bella, ma storicamente fondata e niente affatto utopistica, del concetto di destra.Lo studioso parte dalla constatazione che «nonostante tutto, lo Stato sovrano rappresenta il valore identitario per eccellenza, in grado di superare l'imposizione relativistica del progressismo universalista […]. Stato e sovranità, infatti, non sono idee effimere o convenzionali, destinate a essere superate dal corso della storia, poiché dalla loro più intima relazione scaturisce l'elemento necessario della società, la cui dissoluzione sarebbe altrimenti certa. La società, infatti, deprivata del suo principio vitale e del suo centro unificatore, finirebbe col cadere molto facilmente in preda al disordine e all'anarchia. E ciò che più conta, ma che si tende inspiegabilmente a sottovalutare, e che lo Stato rappresenta la struttura fondante di quel dispositivo per l'esercizio del potere per antonomasia fondato sulla sovranità popolare che, fino a prova contraria, è la democrazia».A fronte di tutto ciò, «il fatto che lo Stato nazionale resti l'impressione più alta della civiltà rende ragione a una cultura politica da sempre schierata in difesa della lealtà nei confronti di questa che è l'unica organizzazione è in grado di garantire il perseguimento dell'interesse comune e la convivenza pacifica tra diversi. Si tratta della cultura della destra, armamentario ideale e valoriale su cui si è innestata l'elaborazione ideologica del partito di riferimento, con cui si relaziona strettamente».Il saggio, come detto, parte dalla costruzione dello Stato fascista da parte di Alfredo Rocco, il cui impianto istituzionale e legislativo, è bene ricordarlo, è stato ampiamente conservato dall’Italia repubblicana (e fa sempre sorridere quando qualcuno polemizza con questa o quella legge definendola «norma varata nell’epoca fascista», quando praticamente tutti i codici ancora oggi in uso furono frutto di quella stagione, pur subendo vari aggiornamenti, come è ovvio). Da un punto di vista filosofico, lo stesso periodo vide spopolare la figura di Giovanni Gentile, il cui Stato etico è stato spesso e volentieri frainteso, come se il pensatore siciliano avesse in mente una istituzione che si preoccupa che i cittadini non ingrassino, e non piuttosto una condizione in cui il massimo dell’autorità corrispondeva al massimo della libertà. Una utopia? Di sicuro, per Gentile, una linea d’orizzonte mai data e sempre da conquistare.Nel dopoguerra, malgrado la condizione di «esuli in patria» in cui si vennero a trovare i militanti missini, che non di rado con l’autorità costituita finivano per scontrarsi, una cultura dello Stato si fece comunque largo, il cui frutto più giustamente famoso è rappresentato sicuramente da Paolo Borsellino, giudice e martire antimafia dalla mai rinnegata militanza giovanile nel Fuan. Riferimenti e miti che bisognerebbe ricordare a certi avversari. E pure a certi amici.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)