2022-09-18
Sparatoria contro l’inviato del Papa. Mosca non esclude l’arma nucleare
Il convoglio dell’elemosiniere Krajewski raggiunto da colpi vicino a Zaporizhzhia: illeso. Il Cremlino avverte Joe Biden: «Se la nostra sovranità sarà in pericolo, useremo la atomica». L’Italia accusa di genocidio i russi.Ankara: «Pagheremo il gas in rubli». Bilaterale Putin-Erdogan a Samarcanda. Il Sultano: «Il 25% delle forniture sarà saldato in valuta russa». E conferma il suo ruolo di mediazione: «Risposta a Occidente e Usa».Lo speciale comprende due articoli.Mentre a Samarcanda Putin cerca di costruire nuovi equilibri internazionali ed insegue il consenso dei leader ancora non allineati, la paura dell’uso del nucleare incombe e gli Usa cercano di cautelarsi contro sviluppi del conflitto in tale direzione. Il presidente americano Biden ha infatti messo in guardia Putin sull’utilizzo di armi nucleari o chimiche. «Non farlo, non farlo. Se lo facessi il volto della guerra cambierebbe», è l’appello lanciato da Biden in un’intervista a 60 Minutes. Il presidente americano non è entrato nei dettagli di quale potrebbe essere la risposta americana, limitandosi a suggerire che «sarebbe consequenziale». Non si è scomposto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che sul punto ha invitato Biden a leggere la dottrina russa. «È tutto scritto lì», ha spiegato Peskov, riferendosi al testo che prevede l’utilizzo di testate nucleari tattiche nel caso di aggressione alla Federazione russa che «metta a rischio l’esistenza ma anche la sovranità e l’integrità territoriale dello Stato». Si alzano i toni e il nervosismo, dunque, e chiunque cerchi di portare aiuti non se la passa troppo bene. Ne sa qualcosa l’inviato del Papa in Ucraina, il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski, che, insieme a due vescovi, ha caricato il suo pulmino di aiuti e si è inoltrato verso il fronte di Zaporizhzhia. Il cardinale è già noto per azioni «forti»: nel 2019 si era calato personalmente sotto il tombino davanti allo stabile occupato da 400 persone, in maggioranza migranti, nel quartiere Esquilino di Roma, per staccare i sigilli ai contatori e riaccendere la luce interrotta per i mancati pagamenti. Allora si trovò sotto il fuoco delle polemiche per l’azione non aderente alle norme di legge (che gli fece guadagnare l’appellativo «Don Bolletta»), stavolta si è trovato a dover schivare proiettili veri.Il gruppo è stato raggiunto da colpi d’arma da fuoco e il cardinale, insieme agli altri, si è dovuto mettere in salvo. Ora sta bene. Nel frattempo la Russia comincia ad avvertire il peso della controffensiva ucraina, anche se lo stesso Putin si è mostrato tranquillo al vertice di Samarcanda, confermando di «non avere fretta di concludere la sua invasione del Donbass». Secondo l’intelligence britannica, però, le forze russe sul campo potrebbero non avere «riserve sufficienti» o «morale adeguato» per resistere a un altro assalto ucraino a Lugansk. La valutazione è arrivata dopo che le forze ucraine hanno riconquistato più di 6.000 kmq di territorio, inclusa la città di Izyum, considerata la porta del Donbass. La controffensiva ucraina, tra l’altro, sta iniziando a funzionare anche nel Donetsk. Kiev ha annunciato la liberazione del villaggio di Shchurove, a 12 chilometri dalla città di Lyman che è il punto di accesso a importanti ponti ferroviari e stradali sul fiume Siverskyy Donets. Gli attacchi missilistici di Kiev hanno causato la morte di quattro civili a Donetsk e di tre a Horlivka. Ma le armi ucraine rischiano anche pericolosamente di oltrepassare il confine: una persona è morta e altre due sono rimaste ferite in un attacco delle forze ucraine al villaggio russo di Krasny Khutor, nell’Oblast di confine di Belgorod. Mosca, insomma, al di là della calma ostentata, inizia a sentire il bisogno di rinforzi. Così il leader ceceno Kadyrov ha annunciato che due battaglioni «si sono uniti all’enorme numero di truppe alleate nel Donbass». La controffensiva nel Sud, a Kherson, è invece stata per ora respinta. Le truppe ucraine hanno perso oltre 120 militari e sette carri armati. Sempre a Sud, Mosca si sta organizzando per nuovi attacchi. «Nel Mar Nero, vicino alla costa della Crimea, stanno manovrando 11 navi nemiche», hanno riferito le forze armate dell’Ucraina. Intanto l’Assemblea Generale Onu ha dato il via libera al presidente Zelensky per parlare a distanza, la prossima settimana, per il dibattito di alto livello. L’Assemblea ha deciso che «l’Ucraina può presentare una dichiarazione pre-registrata del suo capo di Stato», ma non è escluso che Zelensky decida di partecipare di persona all’Assemblea. Di certo verrà affrontato il tema delle fosse comuni scoperte a Izyum dopo la riconquista della città, sulle quali l’Onu ha già deciso di indagare. E a proposito di diritti umani, l’Italia ha firmato la richiesta di intervento della Corte internazionale di giustizia sulle accuse di genocidio avanzate dall’Ucraina nei confronti della Russia, invocando il suo diritto a sostenere la causa come parte della «Convenzione contro il genocidio». In base alle norme che regolano la Corte, Russia e Ucraina potranno presentare osservazioni scritte sull’iniziativa italiana. Nel conflitto senza fine, un’unica buona notizia: Mattia Sorbi, il giornalista freelance milanese ferito in Ucraina, è in viaggio per tornare in Italia a bordo di un’aeroambulanza. Il reporter era rimasto vicino a Kherson.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sparatoria-contro-linviato-del-papa-mosca-non-esclude-larma-nucleare-2658255779.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ankara-pagheremo-il-gas-in-rubli" data-post-id="2658255779" data-published-at="1663439837" data-use-pagination="False"> Ankara: «Pagheremo il gas in rubli» Chiudendo il summit dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco), tenutosi a Samarcanda, in Uzbekistan, il presidente uzbeko Shavkat Mirziyoyev ha delineato le sfide future dell’Organizzazione sottolineando che «dall’evoluzione della Sco dipende anche la garanzia della sicurezza regionale e mondiale». Ma quanto vale questa alleanza? Con Cina, Russia e India tra i Paesi membri, la Sco rappresenta oltre tre miliardi di persone e genera più di un quarto del Pil mondiale lordo. Secondo l’ultimo report del China Institute for International Studies (Itss) «l’aggregato economico dei Paesi membri si avvicina ai ventimila miliardi di dollari», praticamente superiore di tredici volte di quando l’organizzazione venne fondata, con un commercio estero che si attesta oltre i 6.600 miliardi di dollari, quindi cento volte più grande dei valori iniziali. Durante l’ultima giornata si è parlato anche delle sanzioni economiche alla Russia e nella dichiarazione finale si legge che «tutte le sanzioni economiche, eccetto quelle adottate dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, sono incompatibili con la legge internazionale». A margine della conferenza si è tenuto anche l’atteso incontro bilaterale tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan - che punta alla piena adesione della Turchia alla Sco (oggi è solo «partner di dialogo») - e l’omologo russo Vladimir Putin. Il presidente turco ha ribadito a Putin quanto chiesto nella riunione plenaria dello Sco ovvero «la fine della guerra in Ucraina al più presto». I due leader hanno anche parlato dell’accordo che sta per entrare in vigore tra Russia e Turchia che prevede che Ankara pagherà il 25% delle proprie importazioni di gas in rubli, mentre il restante 75% verrà fatto con la lira turca. Come riporta l’agenzia di stampa russa Ria Novosti, Putin a questo proposito era stato molto chiaro: «Siamo pronti ad aumentare in modo significativo le nostre forniture alla Turchia in tutte le aree di vostro interesse. E, come sapete, il nostro accordo sulla fornitura di gas naturale di origine russa alla Turchia prevede il pagamento del 25% di queste forniture in rubli». Durante il colloquio, il leader del Cremlino ha anche ringraziato Erdogan che «sta davvero dando un serio contributo alla risoluzione di una serie di gravi problemi che sorgono legati a questa crisi. E va da sé che propone anche un incontro con il presidente Zelensky, credendo che possa portare a qualche risultato positivo. In questo incontro non me ne ha parlato». Erdogan durante la conferenza stampa a Samarcanda ha ricordato che il corridoio del grano potrà essere aperto anche a prodotti russi, ribadendo che i negoziati tra i due Paesi vanno avanti con la mediazione di Ankara: «Sia i prodotti ucraini che i prodotti russi, sia che si tratti di grano, sia che si tratti di fertilizzante. I colloqui vanno avanti con le parti per far passare tutti questi prodotti dal corridoio del grano. Al momento non ci sono problemi e di questo ne ho parlato anche con il presidente russo Vladimir Putin e siamo d’accordo». Al rientro in patria Erdogan, che è in partenza per New York dove parteciperà all’Assemblea generale d’Onu, ha dichiarato: «La Turchia è decisa a mantenere una posizione equilibrata nel conflitto tra Russia e Ucraina: continueremo a mantenere una posizione di equilibrio. I nostri tentativi di mediazione sono la risposta che abbiamo dato a Occidente e Stati Uniti. L’esempio principale è il corridoio del grano. Di questo ho parlato anche con il presidente Putin, moltiplicheremo gli sforzi perché il grano raggiunga i Paesi poveri. Il nostro è un ruolo chiave e tutti ci hanno ringraziato e fatto i complimenti per il ruolo che la Turchia ha avuto nel cercare una mediazione tra le parti».
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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