2021-10-30
L’Italia risorgimentale fondata sulla pasta
Mangiatori di spaghetti a Napoli nel 1865 (Getty Images)
Spaghetti alla carbonara, fusilli alla Mameli, penne alla garibaldina, agnolotti di Cavour, fettuccine alla papalina... Una religione gastronomica trasversale a tutto l'arco istituzionale di allora che interessò anche Vaticano e fascismo. Ed emigrò anche negli Usa.La pasta è un cibo risorgimentale, unitario. Si mettano in tavola i seguenti piatti per ripercorrere con gusto il cammino dell'unità d'Italia dal Congresso di Vienna, 1814, a Porta Pia, 1870. La pastasciutta, che in questo caso funziona meglio del Bignami, merita una seconda puntata (la prima è uscita sabato 16 ottobre). Cominciamo con gli «Spaghetti alla carbonara», guanciale, uovo e pecorino. Ci ricordano i moti carbonari del 1820 a Napoli e di Ciro Menotti a Modena, 1831. Continuiamo con i «Fusilli alla Mameli», pomodoro, mozzarella e basilico. Intonano «Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta, dell'elmo di Scipio...» e ci rammentano la Repubblica Romana di Saffi, Mazzini, Armellini nel 1849 durante la quale morì il povero Goffredo. Benedetta Parodi si cala nelle vesti di Rosa Vercellana, la Bela Rosin, proponendo le «Reginette di Vittorio Emanuele II» con prosciutto cotto, porcini, uova e parmigiano. Mentre si gustano echeggiano nel parlamento di Torino, gennaio 1859, le parole del Re Galantuomo: «Non siamo insensibili al grido di dolore che si leva da tante parti d'Italia». Nello stesso anno, in luglio, la seconda guerra d'indipendenza si ferma improvvisamente a Villafranca. Nella cittadina in provincia di Verona in ricordo di quell'avvenimento si mangiano le gustose «Paparele della Pace» in brodo con i fegatini di pollo.Con le «Penne alla garibaldina», pomodoro e gamberetti, ci par di sentire la voce dell'Eroe dei due mondi che incita il suo luogotenente a Calatafimi, 1860: «Bixio, qui si fa l'Italia o si muore». Arriviamo alla dichiarazione dell'Unità d'Italia (1861) con gli «Agnolotti di Cavour». Lo statista che imbastì la politica unitaria morì nove anni prima della breccia di Porta Pia, 1870, ma lasciò in eredità una lezione che i governi italiani venuti dopo di lui dimenticarono spesso: «Libera chiesa in libero stato». Quando Roma fu presa dai bersaglieri regnava Pio IX al cui tondo cappello si ispirarono i pasticcieri per creare un dolcetto bianco e giallo (i colori del Vaticano). Un altro Pio, il XII, fu l'ispiratore delle «Fettuccine alla papalina»: soffritto, prosciutto crudo e parmigiano. Massimo d'Azeglio, statista scrittore e pittore piemontese («Tagliolini al tartufo»), non credeva nel coacervo di razze che abitavano la penisola. Nell'impresa di unificarle c'è riuscita la pasta che, secondo una statistica elaborata dalla Doxa, piace al 98 per cento degli italiani. Praticamente a tutti. Fulminante, in proposito, la battuta dell'attrice francese Catherine Deneuve: «Gli italiani hanno in mente solo due cose. L'altra sono gli spaghetti». E Cesare Marchi scrive in Quando siamo a tavola: «L'unità d'Italia, sognata dai padri del Risorgimento oggi si chiama pastasciutta; per essa non si è versato sangue, ma molta pummarola».La pasta - spaghetti, trenette, trofie, bucatini, orecchiette, maccheroni, bigoli, pizzoccheri... - è traversale a tutto l'arco costituzionale: mette d'accordo sinistra, destra e centro. Piccoli e grandi. Ne era ghiottissimo Gioachino Rossini. Il papà del Barbiere di Siviglia e della Gazza ladra amava così tanto i maccheroni che se ne faceva mandare casse da Napoli. Nel 1859, lamentandosi con un amico per il ritardo di una di queste spedizioni, si firmò «Gioachino Rossini, senza maccheroni». Nessuno mette in dubbio la paternità di Dante Alighieri riguardo la lingua italiana eppure il giornalista e scrittore Giuseppe Prezzolini si chiede in Maccheroni & C.: «Mi domando, io che sono un professore poco professorale, che cos'è la gloria di Dante appresso quella degli spaghetti». Benito Mussolini che aveva il pallino fisso di ricalcare la grandezza dell'antica Roma tentò di cambiare la dieta degli italiani per trasformarli in soldati snelli e scattanti: «Una nazione di mangiatori di spaghetti non può ripristinare la civiltà romana!». La folla oceanica sotto il balcone di Palazzo Venezia urlò in coro: «A noi». Ma in bocca aveva l'acquolina pensando al piatto di bucatini che di lì a poco, tornata a casa, avrebbe succhiato dal piatto facendoli fischiare come zufoli. Era un modo per fischiare il duce senza incorrere nell'Ovra. Il vate del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti, era sulla stessa lunghezza d'onda del dittatore fascista e tuonava contro «le tagliatelle, ultima trincea dei passatisti» che favoriscono la «tronfiezza panciuta»: «Crediamo necessaria l'abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana. Forse gioveranno agli inglesi lo stoccafisso, il roast-beef e il budino, agli olandesi la carne cotta col formaggio, ai tedeschi il sauer-kraut, il lardone affumicato e il cotechino; ma agli italiani la pastasciutta non giova». Marinetti fu sorpreso mentre infilava in bocca una forchettata di spaghetti grondante sugo e i nemici gli strinsero, in versi, il cappio al collo: «Marinetti dice basta:/ messa al bando sia la pasta./ Poi si scopre Marinetti/ che divora gli spaghetti».La pasta vuol essere cotta al dente. Secondo alcuni storici della gastronomia tale metodo di cottura si sviluppa a Napoli nel Seicento, secondo altri nel settentrione nell'Ottocento. La prima ipotesi ci pare più credibile. Non solo perché la città partenopea è la capitale tecnica e morale dei maccheroni, ma perché furono i garibaldini tornati al nord dopo Teano a spiegare a mamme, mogli e morose quello che avevano imparato a Napoli: la pasta va cotta al dente.Giuseppe Prezzolini, nel libro sopra citato, racconta di aver letto in un ricettario americano quale metodo veniva suggerito agli yankees per stabilire la giusta cottura degli spaghetti: lanciare uno spaghetto contro una parete (piastrellata si presume); se rimane attaccato si scoli la pasta.Nando Mericoni, magistrale interpretazione di Alberto Sordi in Un americano a Roma, a tavola allontana un piatto colmo di maccheroni minacciando di distruggerli: troppo romani per un americano come lui. Ma quando mette in bocca un improbabile cibo Usa, una fetta di pane spalmata di marmellata, yogurt e mostarda, riprende il piatto di pasta: «Maccarone! M'hai provocato e io ti distruggo. Io me te magno!».I ruoli si sono rovesciati e gli statunitensi, oggi, sono tra i maggiori consumatori di spaghetti, lasagne e penne al mondo con 8,8 chilogrammi consumati pro capite in un anno. Una delle più belle canzoni della musica leggera anni Cinquanta del secolo scorso, That's amore, dichiara questa passione per la pasta: «When the moon hits your eye like a big pizza pie,/ that's amore./ When the stars make you drool/ just like a pasta e fasule,/ that's amore». Traduciamo liberamente dallo slang: «Quando la luna colpisce il tuo occhio come una grande pizza, quello è amore. Quando le stelle ti mettono l'acquolina in bocca come la pasta e fagioli, quello è amore». Gorgheggiava That's amore un cantante italo-americano dalla voce ammaliante, Dino Crocetti, in arte Dean Martin. Era figlio di emigranti italiani abruzzesi. Il padre era di Montesilvano, patria delle chitarrine all'abruzzese.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)