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2020-02-25
Sotto il virus Forza Italia fa patti con Conte
Mariastella Gelmini, Silvio Berlusconi e Anna Maria Bernini (Ansa)
Va bene l'emergenza, va bene il discorso di dare la priorità alla lotta alla diffusione al coronavirus, ma spesso fare i primi della classe diventa controproducente e dannoso. È quanto è accaduto a Forza Italia, che ha ritirato gli emendamenti relativi alla prescrizione al decreto legge sulle intercettazioni, per «evitare i temi divisivi», in una fase di emergenza, ha incassato i complimenti pelosi della maggioranza, e poi si è ritrovata con i giallorossi che proprio su quel decreto hanno forzato la mano, dandogli la precedenza anche rispetto al decreto sul coronavirus, per evitare che non venisse convertito entro la scadenza, fissata per il 29 febbraio. Ieri il governo ha posto la questione di fiducia sul decreto intercettazioni: il voto alla Camera dei deputati è previsto oggi a partire dalle 16.35, le dichiarazioni di voto inizieranno alle 15.
Forza Italia, quindi, vede sfumare il tentativo di differenziarsi da Lega e Fratelli d'Italia. Una strategia perdente su tutta la linea, e che fa il gioco dei giallorossi. In questi ultimi giorni, il premier Giuseppe Conte, in tutte le sue innumerevoli apparizioni televisive, ha sempre recitato la stessa filastrocca: «Ho chiamato le opposizioni per metterle al corrente dei provvedimenti sul coronavirus: Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi mi hanno risposto, Matteo Salvini no». Un modo per tentare di dividere la coalizione dei moderati, e per isolare la Lega. Un tentativo destinato a fallire, sempre che nel centrodestra non si offrano sponde al governo e alla maggioranza, cosa che invece è accaduta nelle ultime 48 ore.
Riavvolgiamo il nastro e torniamo a domenica scorsa, quando ai media arriva un comunicato del deputato di Forza Italia Enrico Costa: «Noi pensiamo», dice Costa, «che in questa fase debbano essere messi da parte i temi divisivi. Abbiamo pertanto ritirato i nostri emendamenti in materia di prescrizione. In questo momento di fronte al parlamento ci sono altre priorità». Gli emendamenti sono quelli presentati in commissione Giustizia alla Camera, che mirano a sopprimere o almeno a bloccare per un anno e mezzo la riforma sulla prescrizione varata dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che tante frizioni ha provocato tra Italia viva e gli alleati di maggioranza. Una «grana» politica, quella rappresentata da Costa, per i giallorossi: il partitino di Matteo Renzi già la scorsa settimana ha votato in commissione insieme al centrodestra, contro Pd, M5s e Leu che avevano presentato un emendamento (approvato per un pelo, tra urla, proteste e polemiche dell'opposizione) che sopprimeva la proposta di legge presentata sulla prescrizione dal deputato berlusconiano, con gli stessi principi dell'emendamento ritirato domenica scorsa.
Bene (anzi male), il nobile gesto di Costa gli procura il plauso della maggioranza: «Ho apprezzato la scelta di Enrico Costa», dichiara immediatamente la grillina Francesca Businarolo, presidente della commissione Giustizia della Camera, «di ritirare i due emendamenti relativi alla prescrizione che noi avevamo ammesso».
E si arriva così a ieri mattina, quando il centrodestra chiede di dare la precedenza alla discussione alla Camera sul decreto per l'emergenza coronavirus, rispetto a quello sulle intercettazioni. Come era prevedibile, la maggioranza se ne frega e risponde picche, scatenando le veementi proteste dell'opposizione. Il capogruppo al Senato di Forza Italia, Anna Maria Bernini, è costretta a recitare il mea culpa: «Di fronte al coronavirus», dice la Bernini, «Forza Italia si è dimostrata come sempre responsabile e collaborativa, ma la maggioranza non può pretendere che la responsabilità sia a senso unico. Ritengo un atto di protervia politica il no alla richiesta di rinviare il decreto intercettazioni per discutere subito alla Camera le misure sull'emergenza in atto. Nel momento in cui Conte invoca l'unità nazionale», aggiunge la Bernini, «il governo impone al parlamento di approvare un provvedimento ideologico, illiberale e divisivo, la cui mancata conversione non provocherebbe alcun danno al paese. Non solo: il Pd chiede anche di accorciare i tempi della discussione generale, aggiungendo al danno anche la beffa. Prima, insomma, si chiede aiuto all'opposizione e poi la si prende a schiaffi». Verrebbe da chiedere alla Bernini cosa si aspettasse di diverso, visto che il governo e la maggioranza hanno a cuore solo e soltanto le poltrone e i loro provvedimenti illiberali. Verrebbe da chiedere a Forza Italia se valeva la pensa spaccare l'opposizione, rinunciare al garantismo che è uno dei pilastri del partito berlusconiano, fare un favore alla maggioranza per poi essere mortificati su questi temi 24 ore dopo. «La foga della maggioranza nel procedere a tappe forzate sul decreto intercettazioni», si lamenta Enrico Costa, «ponendolo come priorità assoluta, ha una sola spiegazione. Questo decreto è la merce di scambio che il Pd ha ottenuto di fronte al dietrofront sulla prescrizione. Se salta il decreto salta l'accordo». Bisognava pensarci prima.
Il piano shock di Renzi è uno spot per l’aeroporto dell’amico Carrai
Camicia bianca sbottonata, blazer blu d'ordinanza e un raggiante sorriso a trentadue denti. Quando torna a Firenze, Matteo Renzi si sente ancora l'uomo del destino, il leader di un partito al 40 per cento che governa e impone agli alleati le proprie decisioni. Ieri mattina, durante un'affollata conferenza stampa tenutasi nella sede della Regione Toscana, l'ex premier ha voluto mettere in chiaro alcuni punti. Primo tra tutti che il suo territorio è fondamentale per la sopravvivenza stessa del partito. Non è un caso infatti che, nonostante una crisi di governo più volte annunciata e poi mai attuata, feroci divisioni in Puglia e Campania, mai, nemmeno per un attimo, sia stato in discussione Eugenio Giani come candidato governatore del centrosinistra. Matteo Renzi sa benissimo che, di fronte a un possibile disastro, mantenere il potere almeno nel Granducato può essere vitale per un partito nato da appena sei mesi. La parabola di Clemente Mastella insegna.
E proprio per questo ha usato l'aeroporto di Firenze e il suo ampliamento come la madre di tutti gli esempi per spiegare il suo piano per far ripartire i cantieri. «La crisi sanitaria che sta investendo il nostro Paese presto si trasformerà anche in una crisi economica. È inevitabile. Basta guardare i dati odierni della Borsa. A maggior ragione noi di Italia viva pensiamo che il piano “Italia shock" possa rappresentare ancora di più una priorità per l'Italia. Si faccia come si è fatto a Genova per il Ponte Morandi o a Milano per l'Expo, si diano poteri a un commissario. L'aeroporto di Firenze è la priorità per la Toscana, non possiamo perdere altro tempo. Ci sono zone della città dove il disagio per il rumore e le vibrazioni hanno raggiunto vette intollerabili. Sul progetto poi, è bene ricordarlo, c'era ampia convergenza politica. È stato stoppato da un tribunale amministrativo per un cavillo. Ecco, con un commissario tutto ciò non sarebbe avvenuto».
Un fiume in piena, convinto e baldanzoso, che si stizzisce quando un giornalista si permette di porgli una domanda sulla sua storica amicizia con il presidente di Toscana Aeroporti, Marco Carrai, e su quanto quest'ultima possa incidere nella sua posizione a favore dell'ampliamento della pista. «Noto una certa ironia completamente fuori posto, del tutto inutile. Io sono da sempre a favore di questa scelta e mi auguro, anzi sono convinto che tutto il Partito democratico possa appoggiare la nostra proposta».
Un piano che fa parte dei famigerati quattro punti irrinunciabili di Italia viva. Dei quali Matteo Renzi discuterà in settimana col primo ministro Giuseppe Conte. Anzi no. «Di fronte ad un'emergenza nazionale come quella del coronavirus certe divisioni e polemiche devono essere subito fermate. Io resto convinto delle mie idee, ma l'incontro col premier Conte è naturalmente rimandato di almeno quindici giorni. O, in ogni caso, quando l'allarme sanitario che sta toccando il nostro paese sarà superato. Oggi dobbiamo essere tutti uniti». In realtà, l'ex segretario del Pd qualche nuovo vespaio di discussioni lo solleva eccome. «Io sto da sempre dalla parte di Roberto Burioni. Anche quando i novax, sostenuti da alcuni grillini, lo attaccavano quotidianamente. Perché su certi temi è indispensabile affidarsi agli scienziati. Lo voglio dire in modo chiaro, sto dalla parte di Burioni anche nella polemica con il governatore Enrico Rossi, che ha sbagliato senza alcun dubbio a parlare di fascio leghisti».
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Ritirati gli emendamenti sulla prescrizione al decreto intercettazioni per evitare «temi divisivi» in un momento di emergenza Il governo ne approfitta e dà la precedenza alla giustizia rispetto alla salute. Anna Maria Bernini: «Chiedono aiuto e ci prendono a schiaffi».Il piano shock di Matteo Renzi è uno spot per l'aeroporto dell'amico Marco Carrai. Il leader di Italia viva vuol piazzare i suoi paletti in Toscana. Slitta l'incontro con Giuseppe Conte. Lo speciale comprende due articoli.Va bene l'emergenza, va bene il discorso di dare la priorità alla lotta alla diffusione al coronavirus, ma spesso fare i primi della classe diventa controproducente e dannoso. È quanto è accaduto a Forza Italia, che ha ritirato gli emendamenti relativi alla prescrizione al decreto legge sulle intercettazioni, per «evitare i temi divisivi», in una fase di emergenza, ha incassato i complimenti pelosi della maggioranza, e poi si è ritrovata con i giallorossi che proprio su quel decreto hanno forzato la mano, dandogli la precedenza anche rispetto al decreto sul coronavirus, per evitare che non venisse convertito entro la scadenza, fissata per il 29 febbraio. Ieri il governo ha posto la questione di fiducia sul decreto intercettazioni: il voto alla Camera dei deputati è previsto oggi a partire dalle 16.35, le dichiarazioni di voto inizieranno alle 15.Forza Italia, quindi, vede sfumare il tentativo di differenziarsi da Lega e Fratelli d'Italia. Una strategia perdente su tutta la linea, e che fa il gioco dei giallorossi. In questi ultimi giorni, il premier Giuseppe Conte, in tutte le sue innumerevoli apparizioni televisive, ha sempre recitato la stessa filastrocca: «Ho chiamato le opposizioni per metterle al corrente dei provvedimenti sul coronavirus: Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi mi hanno risposto, Matteo Salvini no». Un modo per tentare di dividere la coalizione dei moderati, e per isolare la Lega. Un tentativo destinato a fallire, sempre che nel centrodestra non si offrano sponde al governo e alla maggioranza, cosa che invece è accaduta nelle ultime 48 ore.Riavvolgiamo il nastro e torniamo a domenica scorsa, quando ai media arriva un comunicato del deputato di Forza Italia Enrico Costa: «Noi pensiamo», dice Costa, «che in questa fase debbano essere messi da parte i temi divisivi. Abbiamo pertanto ritirato i nostri emendamenti in materia di prescrizione. In questo momento di fronte al parlamento ci sono altre priorità». Gli emendamenti sono quelli presentati in commissione Giustizia alla Camera, che mirano a sopprimere o almeno a bloccare per un anno e mezzo la riforma sulla prescrizione varata dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che tante frizioni ha provocato tra Italia viva e gli alleati di maggioranza. Una «grana» politica, quella rappresentata da Costa, per i giallorossi: il partitino di Matteo Renzi già la scorsa settimana ha votato in commissione insieme al centrodestra, contro Pd, M5s e Leu che avevano presentato un emendamento (approvato per un pelo, tra urla, proteste e polemiche dell'opposizione) che sopprimeva la proposta di legge presentata sulla prescrizione dal deputato berlusconiano, con gli stessi principi dell'emendamento ritirato domenica scorsa.Bene (anzi male), il nobile gesto di Costa gli procura il plauso della maggioranza: «Ho apprezzato la scelta di Enrico Costa», dichiara immediatamente la grillina Francesca Businarolo, presidente della commissione Giustizia della Camera, «di ritirare i due emendamenti relativi alla prescrizione che noi avevamo ammesso».E si arriva così a ieri mattina, quando il centrodestra chiede di dare la precedenza alla discussione alla Camera sul decreto per l'emergenza coronavirus, rispetto a quello sulle intercettazioni. Come era prevedibile, la maggioranza se ne frega e risponde picche, scatenando le veementi proteste dell'opposizione. Il capogruppo al Senato di Forza Italia, Anna Maria Bernini, è costretta a recitare il mea culpa: «Di fronte al coronavirus», dice la Bernini, «Forza Italia si è dimostrata come sempre responsabile e collaborativa, ma la maggioranza non può pretendere che la responsabilità sia a senso unico. Ritengo un atto di protervia politica il no alla richiesta di rinviare il decreto intercettazioni per discutere subito alla Camera le misure sull'emergenza in atto. Nel momento in cui Conte invoca l'unità nazionale», aggiunge la Bernini, «il governo impone al parlamento di approvare un provvedimento ideologico, illiberale e divisivo, la cui mancata conversione non provocherebbe alcun danno al paese. Non solo: il Pd chiede anche di accorciare i tempi della discussione generale, aggiungendo al danno anche la beffa. Prima, insomma, si chiede aiuto all'opposizione e poi la si prende a schiaffi». Verrebbe da chiedere alla Bernini cosa si aspettasse di diverso, visto che il governo e la maggioranza hanno a cuore solo e soltanto le poltrone e i loro provvedimenti illiberali. Verrebbe da chiedere a Forza Italia se valeva la pensa spaccare l'opposizione, rinunciare al garantismo che è uno dei pilastri del partito berlusconiano, fare un favore alla maggioranza per poi essere mortificati su questi temi 24 ore dopo. «La foga della maggioranza nel procedere a tappe forzate sul decreto intercettazioni», si lamenta Enrico Costa, «ponendolo come priorità assoluta, ha una sola spiegazione. Questo decreto è la merce di scambio che il Pd ha ottenuto di fronte al dietrofront sulla prescrizione. Se salta il decreto salta l'accordo». Bisognava pensarci prima. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sotto-il-virus-forza-italia-fa-patti-con-conte-2645239875.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-piano-shock-di-renzi-e-uno-spot-per-laeroporto-dellamico-carrai" data-post-id="2645239875" data-published-at="1767160520" data-use-pagination="False"> Il piano shock di Renzi è uno spot per l’aeroporto dell’amico Carrai Camicia bianca sbottonata, blazer blu d'ordinanza e un raggiante sorriso a trentadue denti. Quando torna a Firenze, Matteo Renzi si sente ancora l'uomo del destino, il leader di un partito al 40 per cento che governa e impone agli alleati le proprie decisioni. Ieri mattina, durante un'affollata conferenza stampa tenutasi nella sede della Regione Toscana, l'ex premier ha voluto mettere in chiaro alcuni punti. Primo tra tutti che il suo territorio è fondamentale per la sopravvivenza stessa del partito. Non è un caso infatti che, nonostante una crisi di governo più volte annunciata e poi mai attuata, feroci divisioni in Puglia e Campania, mai, nemmeno per un attimo, sia stato in discussione Eugenio Giani come candidato governatore del centrosinistra. Matteo Renzi sa benissimo che, di fronte a un possibile disastro, mantenere il potere almeno nel Granducato può essere vitale per un partito nato da appena sei mesi. La parabola di Clemente Mastella insegna. E proprio per questo ha usato l'aeroporto di Firenze e il suo ampliamento come la madre di tutti gli esempi per spiegare il suo piano per far ripartire i cantieri. «La crisi sanitaria che sta investendo il nostro Paese presto si trasformerà anche in una crisi economica. È inevitabile. Basta guardare i dati odierni della Borsa. A maggior ragione noi di Italia viva pensiamo che il piano “Italia shock" possa rappresentare ancora di più una priorità per l'Italia. Si faccia come si è fatto a Genova per il Ponte Morandi o a Milano per l'Expo, si diano poteri a un commissario. L'aeroporto di Firenze è la priorità per la Toscana, non possiamo perdere altro tempo. Ci sono zone della città dove il disagio per il rumore e le vibrazioni hanno raggiunto vette intollerabili. Sul progetto poi, è bene ricordarlo, c'era ampia convergenza politica. È stato stoppato da un tribunale amministrativo per un cavillo. Ecco, con un commissario tutto ciò non sarebbe avvenuto». Un fiume in piena, convinto e baldanzoso, che si stizzisce quando un giornalista si permette di porgli una domanda sulla sua storica amicizia con il presidente di Toscana Aeroporti, Marco Carrai, e su quanto quest'ultima possa incidere nella sua posizione a favore dell'ampliamento della pista. «Noto una certa ironia completamente fuori posto, del tutto inutile. Io sono da sempre a favore di questa scelta e mi auguro, anzi sono convinto che tutto il Partito democratico possa appoggiare la nostra proposta». Un piano che fa parte dei famigerati quattro punti irrinunciabili di Italia viva. Dei quali Matteo Renzi discuterà in settimana col primo ministro Giuseppe Conte. Anzi no. «Di fronte ad un'emergenza nazionale come quella del coronavirus certe divisioni e polemiche devono essere subito fermate. Io resto convinto delle mie idee, ma l'incontro col premier Conte è naturalmente rimandato di almeno quindici giorni. O, in ogni caso, quando l'allarme sanitario che sta toccando il nostro paese sarà superato. Oggi dobbiamo essere tutti uniti». In realtà, l'ex segretario del Pd qualche nuovo vespaio di discussioni lo solleva eccome. «Io sto da sempre dalla parte di Roberto Burioni. Anche quando i novax, sostenuti da alcuni grillini, lo attaccavano quotidianamente. Perché su certi temi è indispensabile affidarsi agli scienziati. Lo voglio dire in modo chiaro, sto dalla parte di Burioni anche nella polemica con il governatore Enrico Rossi, che ha sbagliato senza alcun dubbio a parlare di fascio leghisti».
Ansa
L’accordo è stato siglato con Certares, fondo statunitense specializzato nel turismo e nei viaggi, nome ben noto nel settore per American express global business travel e per una rete di partecipazioni che abbraccia distribuzione, servizi e tecnologia legata alla mobilità globale. Il piano è robusto: una joint venture e investimenti complessivi per circa un miliardo di euro tra Francia e Regno Unito.
Il primo terreno di gioco è Trenitalia France, la controllata con sede a Parigi che negli ultimi anni ha dimostrato come la concorrenza sui binari francesi non sia più un tabù. Oggi opera nell’Alta velocità sulle tratte Parigi-Lione e Parigi-Marsiglia, oltre al collegamento internazionale Parigi-Milano. Dal debutto ha trasportato oltre 4,7 milioni di passeggeri, ritagliandosi il ruolo di secondo operatore nel mercato francese. A dominarlo il monopolio storico di Sncf il cui Tgv è stato il primo treno super-veloce in Europa. Intaccarne il primato richiede investimenti e impegno. Il nuovo capitale messo sul tavolo servirà a consolidare la presenza di Fs non solo in Francia, ma anche nei mercati transfrontalieri. Il progetto prevede l’ampliamento della flotta fino a 19 treni, aumento delle frequenze - sulla Parigi-Lione si arriverà a 28 corse giornaliere - e la realizzazione di un nuovo impianto di manutenzione nell’area parigina. A questo si aggiunge la creazione di centinaia di nuovi posti di lavoro e il rafforzamento degli investimenti in tecnologia, brand e marketing. Ma il vero orizzonte strategico è oltre il Canale della Manica. La partnership punta infatti all’ingresso sulla rotta Parigi-Londra entro il 2029, un corridoio simbolico e ad altissimo traffico, finora appannaggio quasi esclusivo dell’Eurostar. Portare l’Alta velocità italiana su quella linea significa non solo competere su prezzi e servizi, ma anche ridisegnare la geografia dei viaggi europei, offrendo un’alternativa all’aereo.
In questo disegno Certares gioca un ruolo chiave. Il fondo americano non si limita a investire capitale, ma mette a disposizione la rete di distribuzione e le società in portafoglio per favorire la transizione dei clienti business verso il treno ad Alta velocità. Parallelamente, l’accordo guarda anche ad altro. Trenitalia France e Certares intendono promuovere itinerari integrati che includano il treno, semplificare gli strumenti di prenotazione e spingere milioni di viaggiatori a scegliere la ferrovia come modalità di trasporto preferita, soprattutto sulle medie distanze. L’operazione si inserisce nel piano strategico 2025-2029 del gruppo Fs, che punta su una crescita internazionale accelerata attraverso alleanze con partner finanziari e industriali di primo piano. Sarà centrale Fs International, la divisione che si occupa delle attività passeggeri fuori dall’Italia. Oggi vale circa 3 miliardi di euro di fatturato e conta su 12.000 dipendenti.
L’obiettivo, come spiega un comunicato del gruppo, combinare l’eccellenza operativa di Fs e di Trenitalia France con la potenza commerciale e distributiva globale di Certares per trasformare la Francia, il corridoio Parigi-Londra e i futuri mercati della joint venture in una vetrina del trasporto europeo. Un’Europa che viaggia veloce, sempre più su rotaia, e che riscopre il treno non come nostalgia del passato, ma come infrastruttura del futuro.
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Brigitte Bardot guarda Gunter Sachs (Ansa)
Ora che è morta, la destra la vorrebbe ricordare. Ma non perché in passato aveva detto di votare il Front National. Semplicemente perché la Bardot è stata un simbolo della Francia, come ha chiesto Eric Ciotti, del Rassemblement National, a Emmanuel Macron. Una proposta scontata, alla quale però hanno risposto negativamente i socialisti. Su X, infatti, Olivier Faure ha scritto: «Gli omaggi nazionali vengono organizzati per servizi eccezionali resi alla Nazione. Brigitte Bardot è stata un'attrice emblematica della Nouvelle Vague. Solare, ha segnato il cinema francese. Ma ha anche voltato le spalle ai valori repubblicani ed è stata pluri-condannata dalla giustizia per razzismo». Un po’ come se esser stata la più importante attrice degli anni Cinquanta e Sessanta passasse in secondo piano a causa delle sue scelte politiche. Come se BB, per le sue idee, non facesse più parte di quella Francia che aveva portato al centro del mondo. Non solo nel cinema. Ma anche nel turismo. Fu grazie a lei che la spiaggia di Saint Tropez divenne di moda. Le sue immagini, nuda sulla riva, finirono sulle copertine delle riviste più importanti dell’epoca. E fecero sì che, ricchi e meno ricchi, raggiungessero quel mare limpido e selvaggio nella speranza di poterla incontrare. Tra loro anche Gigi Rizzi, che faceva parte di quel gruppo di italiani in cerca di belle donne e fortuna sulla spiaggia di Saint Tropez. Un amore estivo, che però lo rese immortale.
È vero: BB era di destra. Era una femmina che non poteva essere femminista. Avrebbe tradito sé stessa se lo avesse fatto. Del resto, disse: «Il femminismo non è il mio genere. A me piacciono gli uomini». Impossibile aggiungere altro.
Se non il dispiacere nel vedere una certa Francia voltarle le spalle. Ancora una volta. Quella stessa Francia che ha dimenticato sé stessa e che ha perso la propria identità. Quella Francia che oggi vuole dimenticare chi, Brigitte Bardot, le ricordava che cosa avrebbe potuto essere. Una Francia dei francesi. Una Francia certamente capace di accogliere, ma senza perdere la propria identità. Era questo che chiedeva BB, massacrata da morta sui giornali di sinistra, vedi Liberation, che titolano Brigitte Bardot, la discesa verso l'odio razziale.
Forse, nelle sue lettere contro l’islamizzazione, BB odiò davvero. Chi lo sa. Di certo amò la Francia, che incarnò. Nel 1956, proprio mentre la Bardot riempiva i cinema mondiali, Édith Piaf scrisse Non, je ne regrette rien (no, non mi pento di nulla). Lo fece per i legionari che combattevano la guerra d’Algeria. Una guerra che oggi i socialisti definirebbero colonialista. Quelle parole di gioia possono essere il testamento spirituale di BB. Che visse, senza rimpiangere nulla. Vivendo in un eterno presente. Mangiando la vita a morsi. Sparendo dalla scena. Ora per sempre.
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«Gigolò per caso» (Amazon Prime Video)
Un infarto, però, lo aveva costretto ad una lunga degenza e, insieme, ad uno stop professionale. Stop che non avrebbe potuto permettersi, indebitato com'era con un orologiaio affatto mite. Così, pur sapendo che avrebbe incontrato la riprova del figlio, già inviperito con suo padre, Giacomo aveva deciso di chiedergli una mano. Una sostituzione, il favore di frequentare le sue clienti abituali, consentendogli con ciò un'adeguata ripresa. La prima stagione della serie televisiva era passata, perciò, dalla rabbia allo stupore, per trovare, infine, il divertimento e una strana armonia. La seconda, intitolata La sex gurue pronta a debuttare su Amazon Prime video venerdì 2 gennaio, dovrebbe fare altrettanto, risparmiandosi però la fase della rabbia. Alfonso, cioè, è ormai a suo agio nel ruolo di gigolò. Non solo. La strana alleanza professionale, arrivata in un momento topico della sua vita, quello della crisi con la moglie Margherita, gli ha consentito di recuperare il rapporto con il padre, che credeva irrimediabilmente compromesso. Si diverte, quasi, a frequentare le sue clienti sgallettate. Peccato solo l'arrivo di Rossana Astri, il volto di Sabrina Ferilli. La donna è una fra le più celebri guru del nuovo femminismo, determinata ad indottrinare le sue simili perché si convincano sia giusto fare a meno degli uomini. Ed è questa convinzione che muove anche Margherita, moglie in crisi di Alfonso. Margherita, interpretata da Ambra Angiolini, diventa un'adepta della Astri, una sua fedele scudiera. Quasi, si scopre ad odiarli, gli uomini, dando vita ad una sorta di guerra tra sessi. Divertita, però. E capace, pure di far emergere le abissali differenze tra il maschile e il femminile, i desideri degli uni e le aspettative, quasi mai soddisfatte, delle altre.
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