2025-01-12
Sono già pronti ad annullare il voto tedesco
Thierry Breton (Getty images)
L’ex commissario europeo Thierry Breton minaccia interferenze sul voto tedesco. E Musk lo bolla come «tiranno». Intanto la leader di Afd si candida alla cancelleria e alza il tiro: «Se vinciamo, remigrazione e stop al gender».Non è chiaro a nome di chi abbia parlato Thierry Breton, ex commissario europeo, nel dichiarare all’emittente francese Rmc che l’Unione europea ha gli strumenti per bloccare qualsiasi ingerenza straniera «come ha fatto in Romania e come dovrà fare, se necessario, anche in Germania». Il riferimento alle elezioni rumene, invalidate il 6 dicembre per presunta «ingerenza russa» dalla Corte costituzionale di Bucarest su pressione dell’Ue, che paventava la violazione del Digital services act europeo (Dsa) attraverso la piattaforma social TikTok, è stato fin troppo esplicito: un’ammissione di responsabilità per interposta persona, dato che Breton a dicembre non era neanche più commissario Ue. Ma ancor più bellicosa è apparsa l’indicazione a seguire la stessa procedura per le elezioni in Germania. La sfida di Breton, ormai signor nessuno della politica europea, sacrificato sull’altare della realpolitik anche dal presidente Emmanuel Macron ma un tempo potente ministro dell’Industria e potentissimo manager di France Télécom e Atos, ha lasciato tutti sconcertati. A cominciare da Elon Musk, oggetto delle originali invettive di Breton per aver ospitato sul suo X (ex Twitter) la leader della destra tedesca Alice Weidel, invisa al sedicente mondo democratico. Breton non si è fermato ai commenti: in un’intervista rilasciata a France 5, ha rivelato di aver scritto una settimana fa (non si sa in quale veste dato che non ricopre più alcun incarico), a Weidel per ammonirla in vista dell’intervista: «Deve ricordare a Elon Musk che il Dsa va rispettato». Lo stesso copione andato in scena ad agosto quando, alla vigilia della pubblicazione dell’intervista del patron di X a Donald Trump, Breton gli aveva inviato un’inusitata lettera di «censura preventiva», dalla quale la Commissione della appena rieletta Ursula von der Leyen aveva subito preso le distanze. «Comportamento tirannico», ha commentato Musk a proposito delle parole dell’ex commissario francese. Certo, gli ululati alla luna di Breton dovrebbero, in teoria, lasciare il tempo che trovano, considerando che l’ex commissario Ue attualmente non riveste alcun ruolo. Ma quel riferimento al rischio d’ingerenza risolto con l’annullamento delle elezioni, rivendicato da Breton come fosse un merito dell’Ue, fa riflettere. Musk gli ha riservato un altra bordata («La sorprendente assurdità di Thierry Breton, tiranno d’Europa»), cui Breton ha replicato rinnegando quanto dichiarato il giorno prima: «L’Ue non ha alcun meccanismo per annullare elezioni in nessuna parte d’Europa, è una fake news». «E le elezioni in Romania, allora?», gli ha replicato Musk. Notizia falsa, è stata la replica di Breton, che come Pier Luigi Bersani può ancora contare, in patria, della disponibilità dei maggiori media. È infatti a France Info che ha affidato la sua autodifesa articolata in tre punti sostanziali: non è vero, non è vero e non è vero. Secondo Breton, la decisione della Corte Costituzionale rumena è slegata dalle verifiche fatte dalla Commissione europea per verificare che l’utilizzo di Tik Tok fosse conforme alle regole del Dsa. L’ex commissario si è poi rimangiato l’accusa di presunte ingerenze di Musk («No, non ha alcun incarico quindi ha il diritto di parlare»), bontà sua, per poi precisare che «in Europa c’è libertà di parola. Non siamo censori. Tutti hanno il diritto di esprimersi, purché non pronuncino dichiarazioni condannabili, antisemite, razziste o non facciano apologia di terrorismo». Ottimo, se non fosse che Musk non le ha rivolte a nessuno e sia stato lo stesso Breton a sollecitarne la censura preventiva sia nel caso di Alice Weidel che in quello del presidente eletto Trump. Il problema, secondo il francese, consiste nello «tsunami informativo» che si genera sulle piattaforme con milioni di utenti. Va bene, dunque, se Musk parla a «pochi intimi» sulla carta stampata, ha detto, ma non va bene se lo fa su un social popolare dove «attraverso l’algoritmo» i messaggi possono diventare virali - ad esempio X, nonostante sia casa sua, dato che lo possiede. Quelle di Breton non si possono però del tutto derubricare a boutade. Per quanto nelle ultime ventiquattr’ore abbia tentato di giustificarsi in tutti i modi sostenendo che l’Ue «non imbavaglia nessuno», è lui il principale autore e promotore del famigerato Dsa, condannato anche dallo storico e saggista Niall Ferguson («l’Unione Europea aspira a essere il capo censore di Internet»).È stato l’ex commissario Ue a dichiarare che «la priorità dell’Ue è la lotta alla disinformazione, in particolare ora che ci avviciniamo alle elezioni europee». E queste dichiarazioni non le ha fatte in totale solitudine: fino a un certo punto, ha potuto contare sul sostegno della presidente Ue Ursula von der Leyen, oggi riorientata, come tanti altri leader e imprenditori globali (citofonare Zuckerberg), sul nuovo vento che spira da Washington. Ironia della sorte, la Commissione europea, secondo un’interrogazione presentata di recente dagli eurodeputati di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza e Stefano Cavedagna, avrebbe targhettizzato alcune sponsorizzazioni sulla piattaforma X per influenzare gli utenti ed ottenerne il favore, escludendo dal filtraggio i sostenitori di Meloni, Orban e Le Pen. Un uso improprio dell’algoritmo, insomma: quello di cui Breton accusa, senza prove, Musk. Perché il lupo perde il pelo ma non il vizio.Intanto Afd, secondo nei sondaggi e unico partito tedesco in crescita, anche grazie alla chiacchierata di Alice Weidel con Musk, candida la leader alla cancelleria. E, al congresso del movimento tedesco, alza il tiro, annunciando la «remigrazione» e la chiusura dei dipartimenti di «gender studies».
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
Francesca Albanese (Ansa)