
L’ad Oscar Marchetto racconta dieci anni nell’azienda trevigiana: dagli allestimenti per navi da crociera ai grattacieli di New York trascurando Pechino.La storia del gruppo Somec è fatta di una imprenditorialità tutta italiana che ha saputo trasformare un’azienda focalizzata sui rivestimenti vetrati per le navi da crociera in un centro di eccellenza che ha fatto della diversificazione e del made in Italy un marchio di fabbrica. La Verità ne ha parlato con Oscar Marchetto, dal 2013 azionista di maggioranza, presidente e amministratore delegato del gruppo con sede vicino a Treviso.Quando è entrato in Somec e quanto conta il made in Italy per il vostro gruppo?«Sono entrato in Somec nel 2013, dopo essere uscito da un’azienda che si occupava di automazione per la casa, la Nice, comprata negli anni Novanta. Mi sono trovato a gestire l’azienda perché volevo continuare a fare qualcosa di speciale. A quei tempi Somec progettava, produceva e installava tutta la parte dell’esterno delle navi da crociera. Poi ho iniziato a fare ricerca e sviluppo, del resto io nasco come tecnico elettronico. Così cercavo di capire cosa andasse nei prodotti per il mondo della home automation, lo creavo e lo mettevo nel mercato. Avevo bisogno di una azienda in cui potessi sia sviluppare business sia divertirmi. Poi siamo cresciuti sempre di più, abbiamo trasportato il Made in Italy anche negli Stati Uniti acquisendo una società che era una start-up, Fabbrica, che produceva rivestimenti per i grattacieli. I miei soci sono di origine italiana anche se vivono lì da 30 anni. Abbiamo portato un pezzo del Made in Italy in America».Poi è arrivata la Borsa e l’idea di avere divisioni specializzate.«Proprio nell’anno del Covid, abbiamo deciso di quotarci all’Aim (oggi Euronext Grwoth Milan) per crescere ulteriormente. Siamo arrivati nel 2019 a 250 milioni di fatturato dai 20 con cui eravamo partiti nel 2013. In quel momento era tutto fermo, tutti i nostri business, era tutto bloccato. Mi sono chiesto, che cosa ci inventiamo adesso? Che cosa vuole il mercato? La tradizione del Made in Italy. Questo artigianato che noi abbiamo sempre trasportato nel mondo sotto forma del saper fare italiano piace molto all’estero. Così mi sono detto che era giunto il momento di riunirlo sotto un unico cappello». Che cosa è successo in quel momento?«È nata la nostra divisione Mestieri. Sviluppata nel 2021, si tratta di una divisione che racchiude l’artigianalità italiana: abbiamo chi tratta il marmo, chi fa architettura metallica, chi opera con il bronzo. Ci sono moltissime aziende italiano da 5,10 o 15 milioni di fatturato che possono essere raggruppate in una rete pensata per conquistare insieme i mercati. Per me è stata una sfida, mettere insieme sotto un’unica guida che è Mestieri e andare a fare lavori complessi negli Stati Uniti e in altre parti del mondo. Siamo partiti da due anni, sta funzionando, abbiamo una serie di commesse negli Stati Uniti, l’obiettivo è quello di creare anche degli showroom. Mestieri deve diventare un marchio, cosa molto difficile, però a me le sfide piacciono. Stiamo comunicando con le università di architettura, vogliamo creare anche una scuola formazione per istruire gli artigiani, perché adesso questi professionisti hanno una certa età e il problema è quello di sostituire piano piano quelle che sono le maestranze con grandi esperienze e si può fare solo con la formazione. Abbiamo anche una linea che si chiama Talenta, che raggruppa tutto il saper fare delle cucine professionali che va dalle cucine orizzontali, forni per pizza, abbattitori». Quindi non solo nautica?«No, assolutamente. Quando parlo di nautica parlo solo di navi da crociera, dove all’interno facciamo sia l’esterno, sia le cucine, sia la parte interior design. Noi andiamo a portare il Made in Italy nei negozi di lusso, nelle ville o negli yacht. Questo piace molto all’estero perché prima venivano usati gli artigiani tramite un contratto stipulato con gli architetti. Ora, invece, possono essere gli artigiani a esporsi direttamente». Oltre agli Stati Uniti, quali mercati vi interessano?«Abbiamo annunciato di recente dei progetti importanti, abbiamo preso una commessa per una villa a Miami, poi lavoreremo su negozi di lusso sulla Quinta Strada a New York, un centro commerciale a Manhattan». Certo, ma quindi oltre agli Stati Uniti che mercati state guardando?«Il 70% della ricchezza mondiale è tra Europa e Stati Uniti. Noi siamo talmente piccoli che ce n’è da fare, perciò concentriamoci su questi due mercati dove si concentra la maggioranza della ricchezza mondiale. Quando parlo dell’Europa, intendo anche l’Inghilterra»Altre mete? «Pensiamo anche all’Arabia Saudita, perché ci sono dei grossi progetti che stanno andando avanti e dobbiamo essere preparati. Ma al momento il nostro grande focus è su Europa e Stati Uniti». La Cina vi interessa?«No, abbiamo fatto delle opere in Corea del Sud, abbiamo fatto delle opere in Russia nel periodo prima della guerra. Io ho una mia natura difensiva che è quella di cercare di lavorare su Paesi dove ci siano delle regole chiare nel mondo del lavoro. Sono molto prudente in questo». Quindi quali sono i vostri obiettivi futuri?«In questo momento dobbiamo ridurre il debito e tornare a fare operazioni straordinarie nel 2025. Noi l’abbiamo sempre fatto, perché le 30 aziende che abbiamo sono state tutte acquisite dalla prima fino all’ultima. Poi, con il Covid c’è stato uno stop e ora vogliamo continuare a guardarci sul mercato».
La sede olandese di Nexperia (Getty Images)
Il governo olandese, che aveva espropriato Nexperia, deve a fare una brusca marcia indietro. La mossa ha sollevato Bruxelles visto che l’automotive era in panne a causa dello stop alla consegna dei semiconduttori imposto come reazione da Pechino.
Vladimir Putin (Ansa)
Il piano Usa: cessione di territori da parte di Kiev, in cambio di garanzie di sicurezza. Ma l’ex attore non ci sta e snobba Steve Witkoff.
Donald Trump ci sta riprovando. Nonostante la situazione complessiva resti parecchio ingarbugliata, il presidente americano, secondo la Cnn, starebbe avviando un nuovo sforzo diplomatico con la Russia per chiudere il conflitto in Ucraina. In particolare, l’iniziativa starebbe avvenendo su input dell’inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff, che risulterebbe in costante contatto con il capo del fondo sovrano russo, Kirill Dmitriev. «I negoziati hanno subito un’accelerazione questa settimana, poiché l’amministrazione Trump ritiene che il Cremlino abbia segnalato una rinnovata apertura a un accordo», ha riferito ieri la testata. Non solo. Sempre ieri, in mattinata, una delegazione di alto livello del Pentagono è arrivata in Ucraina «per una missione conoscitiva volta a incontrare i funzionari ucraini e a discutere gli sforzi per porre fine alla guerra». Stando alla Cnn, la missione rientrerebbe nel quadro della nuova iniziativa diplomatica, portata avanti dalla Casa Bianca.
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
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Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.





