Germania, Svezia e Olanda dopo la sentenza della Corte di giustizia Ue hanno continuato regolarmente a effettuare rimpatri: da noi invece la magistratura si è sentita in dovere di indirizzare la politica estera.
Germania, Svezia e Olanda dopo la sentenza della Corte di giustizia Ue hanno continuato regolarmente a effettuare rimpatri: da noi invece la magistratura si è sentita in dovere di indirizzare la politica estera.Davvero i giudici che hanno deciso di riportare in Italia i migranti trasferiti in Albania non potevano fare altro? A sentire chi sostiene con entusiasmo il provvedimento, i magistrati del tribunale di Roma hanno solo rispettato la legge. In realtà non si tratta di una legge, ma della sentenza del 4 ottobre, con cui la Corte di giustizia europea ha circoscritto la definizione di Paesi sicuri verso cui praticare i respingimenti. Il senso è chiaro: i verdetti non si discutono, si applicano. Ma è proprio così? No. Prova ne sia che alcuni Paesi europei, che come noi sarebbero tenuti a rispettare le sentenze della Corte di giustizia Ue, se ne infischiano. Prendete ad esempio la Francia, che per anni ha praticato i respingimenti dei migranti verso l’Italia, rimandandoli indietro senza troppi complimenti, al punto da creare una situazione di grave tensione con il nostro Paese. Nel settembre dello scorso anno, la Corte di giustizia, a cui si erano rivolte alcune associazioni, ha bocciato l’allontanamento forzoso, sentenziando che anche nei confronti dei migranti irregolari si devono rispettare le procedure comuni previste dalla direttiva per i rimpatri. Nonostante la pronuncia dei magistrati lussemburghesi, Parigi ha però continuato a fare come voleva, praticando i respingimenti come prima e più di prima. Solo dopo una sentenza del Consiglio di Stato francese i gendarmi hanno rallentato, ma non fermato, l’abitudine di rimandare oltre confine gli stranieri beccati alla frontiera: giusto il tempo di inasprire le leggi e ricominciare da capo.Del resto, secondo i dati diffusi da Eurostat, la Francia è in assoluto il Paese europeo che pratica il maggior numero di rimpatri. Nel secondo trimestre del 2024, il governo Attal ne ha disposti oltre 31.000, più del doppio di quelli del governo Scholz e il quadruplo degli ordini impartiti in Grecia. Certo, se si guarda poi a quelli effettivamente eseguiti si scende, per quanto riguarda Parigi, a meno di 4.000, ma il numero è sempre di gran lunga superiore a quello del resto d’Europa, Italia compresa. Qualcuno potrebbe obiettare che questo era l’atteggiamento di Macron e dei suoi ministri dell’Interno prima che la Corte di giustizia europea si pronunciasse. Ma le cose non stanno così, perché nonostante la sentenza dei giudici lussemburghesi, la Francia va avanti per la propria strada, ovvero accelera sui rimpatri. Per rendersene conto è sufficiente rileggere le dichiarazioni del nuovo ministro dell’Interno, Bruno Retailleau, il quale lunedì, insieme al presidente francese, sarà a Rabat, Marocco, dove tra l’altro discuterà di flussi migratori (da ridurre) e rimpatri. Solo propositi difficili da attuare? Non è detto. Lo stesso Retailleau, in un’intervista a Le Figaro concessa dopo il caso Philippine, dal nome della studentessa stuprata e uccisa da un marocchino che avrebbe dovuto essere espulso, ha ribadito che il governo inasprirà le procedure di trattenimento ed espulsione, prolungando le prime e accelerando le seconde. In pratica, Parigi vuole ridurre a poche settimane il tempo per i rimpatri, rafforzando la percentuale di respingimenti, che lo scorso anno, su 50.000 persone trattenute, sfiorò il 35%. Del resto, rimandare a casa i migranti è ciò che la Francia sta facendo anche a Mayotte, dipartimento d’oltremare, con i profughi congolesi.E se Macron e il suo governo puntano ad aumentare quelle che le Ong chiamano deportazioni, ignorando la sentenza della Corte di giustizia Ue, altri Paesi fanno altrettanto. Dopo la stretta decisa dal cancelliere Scholz, la Germania ha rispedito in patria un certo numero di afgani e non è noto se abbia ritenuto sicura Kabul in mano ai talebani. Decisioni simili sono state prese dalla Svezia, che di recente ha messo su un aereo diretti a Baghdad 22 iracheni e anche in questo caso non risulta che i giudici abbiano fatto un plissé, obiettando che l’Iraq è un posto ancora in parte infestato dai tagliagole dello Stato islamico.Ma forse il caso più in assoluto interessante è quello della Spagna, dove da anni il governo respinge i migranti a Ceuta e Melilla, enclave in Marocco sotto il controllo della Guardia civil. Nonostante Madrid pratichi respingimenti collettivi, già sanzionati dalla Corte dei diritti dell’uomo perché ritenuti illegali, l’esecutivo progressista di Pedro Sánchez non indietreggia, nascondendosi dietro a una sentenza della Corte costituzionale che ha considerato legali le cosiddette devoluciones en caliente, ossia le espulsioni a caldo, quelle praticate senza nemmeno identificare il migrante. Naturalmente, nei Paesi citati non ci sono magistrati che ai convegni delle Ong annunciano che bocceranno i trasferimenti in Albania o in Paesi considerati poco sicuri. Né ci sono giudici che processano il ministro dell’Interno con l’accusa di aver sequestrato i migranti per il solo fatto di non averli fatti sbarcare, stendendo davanti a loro un tappeto rosso. A voi le conclusioni, sulla magistratura e l’inevitabilità di certe sentenze.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





