2022-01-14
Solo in alimentari e farmacie non serve il certificato. Scontro per allungare la lista
Dpcm in arrivo. Garantiti pure tabacchi, ospedali, medici e giustizia. Lega in pressing per includere i negozi per bambini, edicole e librerie. Contrari Roberto Speranza e Renato Brunetta.Le assurde norme sull’isolamento inchiodano a casa anche i genitori. Presidi sceriffi: a Siracusa vietate le lezioni in Dad ai positivi. Monza, alunni in corridoio per mangiare.Lo speciale contiene due articoliAvevano giurato di toglierlo di mezzo una volta per tutte, e invece sta per tornare. Stiamo parlando del dpcm, famigerato strumento legislativo impiegato a piene mani dal governo giallorosso nella fase acuta della pandemia, criticato da più parti (a ragione) per aver consentito all’esecutivo di bypassare ogni controllo del Parlamento sugli atti legislativi più delicati come quelli che riguardavano la libertà di movimento dei cittadini, poi messo da parte da Mario Draghi. Fino a oggi, o comunque alle prossime ore, quando Palazzo Chigi sfornerà un nuovo decreto ministeriale che ci dovrà dire quali saranno gli esercizi e i pubblici uffici cui si potrà accedere senza il green pass, sia esso base o rafforzato. E siccome il Parlamento, come è ormai consuetudine, non toccherà palla nemmeno questa volta, lo scontro all’interno della maggioranza sui contenuti del provvedimento si sta svolgendo sottotraccia, a livello di leader politici e di ministri e, come è accaduto per le ultime decisioni importanti prese dall’esecutivo, potrebbe deflagrare nel corso della riunione del Cdm. Da una parte ci sono gli irriducibili della severità, l’ala più intransigente del governo e della maggioranza, raccolta attorno al ministro della Salute Roberto Speranza e all’ormai pasdaran dell’obbligo vaccinale che è divenuto il ministro della Pa, Renato Brunetta. Dall’altra abbiamo l’ala più flessibile, più vicina alle istanze avanzate da alcune categorie produttive e da numerose associazioni di cittadini affinché il giro di vite non diventi soffocante per l’economia e vessatorio per parte della popolazione. Capofila di quest’ultima corrente può essere considerato il ministro per lo Sviluppo economico e numero due leghista, Giancarlo Giorgetti.Il motivo del contendere, in questo caso, è quali e quanti dovranno essere gli esercizi e gli uffici esentati dall’obbligo di green pass, e in base a quale criterio. Dalla bozza (o una delle bozze) di dpcm che sta circolando in queste ore, si evince che l’orientamento generale sia quello di comporre la lista dei luoghi esentati dal green pass sulla base di una scala di urgenza. In quest’ottica, dunque, al primo posto va la necessità di alimentarsi e di curarsi: non dovrebbe servire la certificazione per recarsi al supermercato o al negozio di generi alimentari, dai tabaccai, in farmacia, in ospedale, in un ambulatorio medico o veterinario. Ma visto che gli ultimi decreti adottati dal governo hanno stabilito la necessità di avere il green pass per fare ingresso in tutti gli uffici pubblici, le esenzioni contenute nell’imminente dpcm dovranno salvaguardare alcuni casi di conclamata urgenza di pubblica sicurezza, come il deposito di denunce nei commissariati o nelle Procure, se queste giungono da vittime di reato e se contribuiscono a salvaguardare dei minori.Ma è quando si va oltre il perimetro fin qui delineato (su cui sono tutti d’accordo) che arrivano i contrasti in seno al governo, nella misura in cui alcuni esponenti che la pensano come Giorgetti ritengono che esistano ulteriori attività ed esercizi che necessiterebbero l’esenzione dal green pass. Come ad esempio edicole, librerie, negozi di articoli per neonati e di giocattoli, ma anche profumerie, fiorai e verosimilmente qualche altra attività. Per i più rigidi, queste ultime attività non dovrebbero figurare nella lista delle esenzioni, che dovrebbe obbedire al solo principio dell’urgenza. Ciò, però, rischierebbe di far piombare anche questo provvedimento in una complicatezza che lo renderebbe difficilmente applicabile: la prima difficoltà sarebbe, come sempre, quella dei controlli, come nel caso dei supermercati, che vendono praticamente ogni genere di merce. Nel caso si impedisse a fiorai e giocattolai di far entrare chi non ha il green pass, come si potrebbe impedire a chi entra senza green pass in un supermercato di acquistare dei fiori o un gioco per un bambino, alterando di fatto la concorrenza? E chi dovrebbe controllare? Quanto alla sanità, se passasse la linea dura, chi dovrebbe controllare se una prestazione fornita, ad esempio, da una clinica odontoiatrica è urgente o invece è un intervento cosmetico accessibile solo con green pass? E se le prestazioni fossero contestuali, come ci si dovrebbe regolare? Nodi che, se non sciolti prima, non mancheranno di turbare la prossima riunione dell’esecutivo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/solo-in-alimentari-e-farmacie-non-serve-il-certificato-scontro-per-allungare-la-lista-2656402758.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="caos-scuola-famiglie-in-lockdown" data-post-id="2656402758" data-published-at="1642103461" data-use-pagination="False"> Caos scuola, famiglie in lockdown Nell’inverno Omicron c’è una sola certezza: l’Ufficio complicazioni affari semplici funziona alla perfezione. E quello del ministero dell’Istruzione riesce a superare in bizantinismi gli Speranza boys che presidiano il dicastero della Salute. La conferma arriva dalla nota operativa che il ministro Patrizio Bianchi ha inviato ai presidi per l’applicazione delle misure vecchie e nuove; un calembour, un complicato gioco dell’oca per le famiglie italiane che rischiano di vedersi sconvolgere ancora una volta l’esistenza. Per comprendere la rigidità da burocrazia sovietica, il metodo migliore è riassumere il protocollo. Scuola per l’infanzia: con un bimbo positivo, dieci giorni a casa per tutti. Scuola elementare: con un contagiato tutta la classe deve sottoporsi a tampone immediato il prima possibile (qui cominciano le penombre lessicali) e un altro dopo cinque giorni; se l’esito è negativo gli alunni possono tornare in classe ed evitare la didattica a distanza. Se però i contagiati sono due l’intera classe va in quarantena per dieci giorni e le lezioni proseguono in Dad. Già ci sono genitori preoccupati per quel «prima possibile», essendo a conoscenza delle difficoltà congenite delle Ats regionali a processare tamponi scolastici a causa delle migliaia di richieste contemporanee. Scuola media e scuola superiore: un positivo prevede per tutti autosorveglianza (con tamponi preventivi gratuiti) e mascherine ffp2. Con due contagiati la faccenda si complica. Chi ha completato il ciclo vaccinale con booster o è guarito da meno di 120 giorni continua ad andare in classe. Gli altri (non vaccinati, senza terza dose, guariti oltre i 120 giorni) entrano nella casella Dad, a casa davanti al computer. Se invece i positivi al Covid sono tre o di più, l’intera classe finisce in quarantena per 10 giorni. Una giungla amazzonica. Al di là del cubo di Rubik si materializza un problema di gestione dei dati sanitari perché, nel caso di chi frequenta in presenza in regime di autosorveglianza, «i requisiti per poter frequentare devono essere dimostrati dall’alunno. E la norma di legge autorizza le scuole a prendere visione della situazione vaccinale degli studenti, senza che ciò comporti una violazione della privacy». Di fatto la responsabilità di effettuare tamponi a raffica e di dimostrare lo status sanitario degli studenti ricade sulle famiglie. Inoltre l’istituto può controllare lo stato vaccinale e non dei ragazzi. Con tre conseguenze di non indifferente impatto: l’attesa infinita dell’esito dei tamponi che si sovrappongono l’uno con l’altro, il rischio di lockdown per interi nuclei famigliari e la possibile emarginazione sociale dei ragazzi più fragili. Con le sue incrostazioni normative da emicrania, la circolare ministeriale lascia spazio alle interpretazioni più fantasiose che già stanno affiorando con una contagiosità anche superiore a quella del virus cinese. All’istituto tecnico industriale Enrico Fermi di Siracusa, il preside ha deciso che gli studenti positivi asintomatici non potranno neppure partecipare alla Dad. Forse per non contagiare con un virus sconosciuto il computer. Antonio Ferrarini spiega così il suo diktat: «Potrei mai interrogare una persona malata? Se uno studente è malato non è nelle condizioni di svolgere attività didattica». Al di là della discriminazione a distanza, sarebbe interessante scoprire con quale artificio spionistico il preside è in grado di smascherare un asintomatico collegato online. L’istituto superiore Albert Einstein di Vimercate si sta invece concentrando sul problema del vitto. Poiché il ministero prevede due metri di distanziamento fra gli allievi nella consumazione pasti, la preside Michelina Ciotta ha pubblicato una circolare per proibire «di abbassare la mascherina per consumare pasti anche durante l’intervallo». Poi, con un sussulto di umanità, ha aggiunto: «Gli studenti potranno consumare spuntini o pasti chiedendo al docente di uscire dall’aula, uno per volta e con il cartellino di classe, in modo da poter mangiare in corridoio o nelle aree permesse». Davanti alla guerra della merendina non resta che arrendersi.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)