
La difesa del giornalista Rai, indagato per le commesse milionarie, ora vuole interrogare Mr Invitalia. Inchiesta a una svolta, gli inquirenti lavorano a nuovi capi di imputazione: ritorna anche la corruzione.L'inchiesta romana sulle mascherine cinesi acquistate dal commissario straordinario per l'emergenza Covid è a un clamoroso punto di svolta. Il pool dei magistrati che si occupa di reati contro la pubblica amministrazione ha raccolto una mole imponente di materiale e sta ipotizzando reati diversi dal traffico illecito di influenze che avevano portato ai sequestri del 4 dicembre e all'iscrizione di sei indagati (un elenco a cui bisogna aggiungere due sospettati di ricettazione). Le bocche, come si dice in gergo, sono cucite, ma un magistrato ieri si è lasciato sfuggire un commento eloquente: «È un casino». Tra le nuove ipotesi la frode in pubbliche forniture per la scarsa qualità dei dispositivi di protezione individuale (come certificato anche da un'inchiesta della trasmissione «Fuori dal coro») forniti al governo italiano ed è tornata d'attualità anche la corruzione che era sparita dai capi d'imputazione contenuti dei decreti di perquisizione di dicembre. Evidentemente l'analisi del materiale sequestrato (documenti, ma anche cellulari e pc) o acquisito presso gli uffici della struttura commissariale e del Comitato tecnico scientifico potrebbe avere aperto nuovi scenari, mettendo nei guai uno o più pubblici ufficiali. Di chi si tratta? Sui nuovi possibili indagati il riserbo è totale. A novembre, lo ricordiamo, erano stati iscritti con l'accusa di corruzione Arcuri e Antonio Fabbrocini (dirigente di Invitalia, cooptato nell'ufficio acquisti della struttura commissariale e «responsabile unico del procedimento» nelle forniture oggetto dell'inchiesta), ma poi la loro posizione era stata stralciata e i magistrati avevano fatto istanza di archiviazione. Che, a quanto ci risulta, non sarebbe ancora stata concessa dal gip. Ma che cosa è accaduto tra il 9 novembre, data dell'iscrizione per corruzione, e il 4 dicembre giorno delle perquisizioni, per convincere i pm a chiedere il proscioglimento dei due dirigenti? Arcuri è stato interrogato dai magistrati? E perché non è ancora stata chiusa la sua posizione? Nei prossimi giorni, molto probabilmente, sarà tutto più comprensibile visto che sono sempre più insistenti le voci che pronosticano una discovery imminente del materiale probatorio raccolto dagli inquirenti.Nel frattempo, lunedì scorso, l'avvocato Alessandro Sammarco, difensore di Daniela Rossana Guarnieri, indagata insieme con il compagno Mario Benotti per la maxi fornitura di mascherine, ha chiesto al gip di poter esaminare in sede di incidente probatorio Arcuri e Fabbrocini per dimostrare che non sussistano gli estremi del reato di traffico illecito di influenze ai loro danni. Insomma i due, nella loro qualità di rappresentanti dell'ufficio del commissario, avrebbero chiesto a Benotti di interessarsi per la fornitura di mascherine, successivamente, sempre da loro, approvata. Le domande che Sammarco vorrebbe fare alla coppia di dirigenti? Eccole: se conoscano Benotti; se sì, quando e in che occasione si siano conosciuti; se, a proposito della fornitura sotto inchiesta, abbiano mai chiesto a Benotti di interessarsi per il reperimento della fornitura e se sì, quando; quando e dove sia avvenuti gli incontri per discutere di tale fornitura; se l'ufficio del commissario abbia deciso di acquistare le mascherine da Benotti & c. e se lo abbia fatto in considerazione della qualità del prodotto, dei tempi della fornitura e dei costi complessivi, nonché delle condizioni di pagamento (alla consegna); «se il contratto di fornitura sia stato direttamente stipulato tra l'ufficio del commissario e i produttori cinesi a un prezzo direttamente concordato con questi» e infine se l'ufficio del commissario «abbia riconosciuto e/o pagato commissioni per l'intermediazione». E qui la risposta sarebbe negativa. Secondo il difensore se Arcuri «risponde e dice la verità allora non potrebbe più essere contestato il traffico illecito di influenze». Se invece «si dovesse sottrarre alle domande allora vorrebbe dire che c'è qualcosa che non torna». A quanto ci risulta anche la difesa di Benotti, rappresentata dall'avvocato Salvino Mondello, avrebbe chiesto l'incidente probatorio.Intanto continua il mistero delle lauree di Benotti di cui abbiamo scritto ieri. Il giornalista nel suo curriculum ufficiale ha indicato una laurea all'università La Sapienza di Roma che, pare ormai certo, non avrebbe mai conseguito. Domenica la trasmissione Non è l'arena ha certificato che il giornalista Rai è stato sì iscritto alla facoltà di giurisprudenza dal 1983 al 1989, ma che in quel periodo non ha superato neanche un esame. Però il 4 dicembre, durante le operazioni di perquisizione, Benotti ha fatto mettere a verbale dai finanzieri: «Titolo di studio: laurea utroque iure conseguita presso l'università lateranense presso la Città del Vaticano».Quindi non si sarebbe diplomato alla Sapienza, ma presso un istituto della Santa Sede. In realtà il cv online di Benotti racconta che nell'ateneo pontificio il giornalista avrebbe conseguito dei gradi accademici in diritto canonico nel 1989 e svolto un corso di diplomazia internazionale nel 1994. Della laurea non si fa menzione. Per chiarirci le idee abbiamo provato a chiedere delucidazioni al magnifico Rettore. Ieri ci ha risposto la direzione della sala stampa della Santa Sede: «In merito alla domanda che poneva al Rettore della Pontificia Università Lateranense nei giorni scorsi, la informiamo che da un esame dell'archivio storico della medesima Università il Signor Benotti non risulta tra i laureati». Dunque l'ex direttore di Rai World, «professore a contratto presso la Facoltà di Scienza della comunicazione» della Sapienza, ma anche docente di corsi e master a Scienze politiche, non avrebbe mai conseguito il diploma di laurea.Se fosse confermata la notizia che anche su questo secondo titolo Benotti ha mentito ci troveremmo di fronte a una vicenda che ricorda da vicino quella di Oscar Giannino che per anni aveva fatto credere di avere due lauree e un master salvo poi ammettere di esserseli inventati «per un complesso di inferiorità».
Agostino Ghiglia e Sigfrido Ranucci (Imagoeconomica)
Il premier risponde a Schlein e Conte che chiedono l’azzeramento dell’Autorità per la privacy dopo le ingerenze in un servizio di «Report»: «Membri eletti durante il governo giallorosso». Donzelli: «Favorevoli a sciogliere i collegi nominati dalla sinistra».
Il no della Rai alla richiesta del Garante della privacy di fermare il servizio di Report sull’istruttoria portata avanti dall’Autorità nei confronti di Meta, relativa agli smart glass, nel quale la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci punta il dito su un incontro, risalente a ottobre 2024, tra il componente del collegio del Garante Agostino Ghiglia e il responsabile istituzionale di Meta in Italia prima della decisione del Garante su una multa da 44 milioni di euro, ha scatenato una tempesta politica con le opposizioni che chiedono l’azzeramento dell’intero collegio.
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Imagoeconomica)
La direttiva Ue consente di sforare 18 volte i limiti: le misure di Sala non servono.
Quarantaquattro giorni di aria tossica dall’inizio dell’anno. È il nuovo bilancio dell’emergenza smog nel capoluogo lombardo: un numero che mostra come la città sia quasi arrivata, già a novembre, ai livelli di tutto il 2024, quando i giorni di superamento del limite di legge per le polveri sottili erano stati 68 in totale. Se il trend dovesse proseguire, Milano chiuderebbe l’anno con un bilancio peggiore rispetto al precedente. La media delle concentrazioni di Pm10 - le particelle più pericolose per la salute - è passata da 29 a 30 microgrammi per metro cubo d’aria, confermando un’inversione di tendenza dopo anni di lento calo.
Bill Gates (Ansa)
Solo pochi fanatici si ostinano a sostenere le strategie che ci hanno impoverito senza risultati sull’ambiente. Però le politiche green restano. E gli 838 milioni versati dall’Italia nel 2023 sono diventati 3,5 miliardi nel 2024.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce - se non un ridimensionamento di tutto il discorso green - almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Elly Schlein (Ansa)
Avete presente Massimo D’Alema quando confessò di voler vedere Silvio Berlusconi chiedere l’elemosina in via del Corso? Non era solo desiderare che fosse ridotto sul lastrico un avversario politico, ma c’era anche l’avversione nei confronti di chi aveva fatto i soldi.
Beh, in un trentennio sono cambia ti i protagonisti, ma la sinistra non è cambiata e continua a odiare la ricchezza che non sia la propria. Così adesso, sepolto il Cavaliere, se la prende con il ceto medio, i nuovi ricchi, a cui sogna di togliere gli sgravi decisi dal governo Meloni. Da anni si parla dell’appiattimento reddituale di quella che un tempo era la classe intermedia, ma è bastato che l’esecutivo parlasse di concedere aiuti a chi guadagna 50.000 euro lordi l’anno perché dal Pd alla Cgil alzassero le barricate. E dire che poche settimane fa la pubblicazione di un’analisi delle denunce dei redditi aveva portato a conclusioni a dir poco sor prendenti. Dei 42,6 milioni di dichiaranti, 31 milioni si fanno carico del 23,13 dell’Irpef, mentre gli altri 11,6 milioni pagano il resto, ovvero il 76,87 per cento.
In sintesi, il 43 per cento degli italiani non paga l’imposta, mentre chi guadagna più di 60.000 euro lordi l’anno paga per due. Di fronte a questi numeri qualsiasi persona di buon senso capirebbe che è necessario alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, evitando di tartassarlo. Qualsiasi, ma non i vertici della sinistra. Pd, Avs e Cgil dunque si agitano compatti contro gli sgravi previsti dal la finanziaria, sostenendo che il taglio dell’Irpef è un regalo ai più ricchi. Premesso che per i redditi alti, cioè quello 0,2 per cento che in Italia dichiara più di 200.000 euro lordi l’anno, non ci sarà alcun vantaggio, gli altri, quelli che non sono in bolletta e guadagnano più di 2.000 euro netti al mese, pare davvero difficile considerarli ricchi. Certo, non so no ridotti alla canna del gas, ma nelle città (e quasi sempre le persone con maggiori entrate vivono nei capoluoghi) si fa fatica ad arrivare a fine mese con uno stipendio che per metà e forse più se ne va per l’affitto. Negli ultimi anni le finanziarie del governo Meloni hanno favorito le fasce di reddito basse e medie. Ora è la volta di chi guadagna un po’di più, ma non molto di più, e che ha visto in questi anni il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Ma a sinistra non se la prendono solo con i redditi oltre i 50.000 euro. Vogliono anche colpire il patrimonio e così rispolverano una tassa che punisca le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari. Premesso che le due cose non vanno di pari passo: si può anche possedere un appartamento del valore di un paio di milioni ma, avendolo ereditato dai geni tori, non avere i soldi per ristrutturarlo e dunque nemmeno per pagare ogni anno una tassa.
Dunque, possedere un alloggio in centro, dove si vive, non sempre è indice di patrimonio da ricchi. E poi chi ha una seconda casa paga già u n’imposta sul valore immobiliare detenuto ed è l’I mu, che nel 2024 ha consentito allo Stato di incassare l’astronomica cifra di 17 miliardi di euro, il livello più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Milionari e miliardari, quelli veri e non immaginati dai compagni, certo non hanno il problema di pagare una tassa sui palazzi che possiedono, ma non hanno neppure alcuna difficoltà a ingaggiare i migliori fiscali sti per sottrarsi alle pretese del fisco e, nel caso in cui neppure i professionisti sia no in grado di metterli al riparo dall’Agenzia delle entrate, possono sempre traslocare, spostando i propri soldi altrove. Come è noto, la finanza non ha confini e l’apertura dei mercati consente di portare le proprie attività dove è più conveniente. Quando proprio il Pd, all’e poca guidato da Matteo Renzi, decise di introdurre una flat tax per i Paperoni stranieri, migliaia di nababbi presero la residenza da noi. E se domani l’imposta venisse abolita probabilmente andrebbero altrove, seguiti quasi certamente dai ricconi italiani. Del resto, la Svizzera è vicina e, come insegna Carlo De Benedetti, è sempre pronta ad accogliere chi emigra con le tasche piene di soldi. Inoltre uno studio ha recentemente documentato che l’introduzione negli Usa di una patrimoniale per ogni dollaro incassato farebbe calare il Pil di 1 euro e 20 centesimi, con una perdita secca del 20 per cento. Risultato, la nuova lotta di classe di Elly Schlein e compagni rischia di colpire solo il ceto medio, cancellando gli sgravi fiscali e inasprendo le imposte patrimoniali. Quando Mario Monti, con al fianco la professoressa dalla lacrima facile, fece i compiti a casa per conto di Sarkozy e Merkel , l’Italia entrò in de pressione, ma oggi una patrimoniale potrebbe essere il colpo di grazia.
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