
Il Papa prolunga al 2025 i lavori dell’assemblea, affidando a 10 gruppi di studio questioni teologiche delicate. Così il prefetto della Fede potrà tentare ulteriori blitz.Dei gruppi di studio approfondiranno «importanti questioni teologiche» emerse dalla prima sessione dell’Assemblea sinodale, in vista della seconda - che si terrà dal 2 al 27 ottobre prossimo; ma, data la portata delle tematiche che saranno chiamati a sviluppare, detti gruppi, che saranno coordinati dai Dicasteri competenti, rimarranno in carica pure dopo. Quanto? Fino a giugno 2025. Così ha stabilito papa Francesco, con una lettera indirizzata al maltese Mario Grech, cardinale e segretario generale del Sinodo dei vescovi. Il Pontefice ha preso tale decisione dato che, essendo poco plausibile che i temi da affrontare possano essere sviluppati adeguatamente entro l’autunno prossimo, è necessario che essi siano «assegnati a specifici Gruppi di studio, affinché si proceda a un loro adeguato esame». Una sorta di prorogatio dei lavori, dunque, quali che siano gli esiti della sessione sinodale di ottobre, che Francesco ha presentato a come «uno dei frutti del processo sinodale avviato il 9 ottobre 2021». I temi di cui i gruppi di lavoro sono chiamati da occuparsi sono strettamente derivati dalla prima sessione del Sinodo sulla Sinodalità dell’ottobre 2023, e per la precisione dalla Relazione di Sintesi votata quasi all’unanimità al termine di lavori. I nuclei tematici che i gruppi di lavoro sono chiamati a sviluppare sono dieci: il grido dei poveri, la missione nel digitale, ministeri - inclusi la riflessione sulla delle donne nella Chiesa e la ricerca sull’accesso delle donne al diaconato, le relazioni con le Chiese orientali e quelle tra vescovi, la vita consacrata e movimenti ecclesiali, la formazione dei sacerdoti, la figura e il ministero del vescovo, il ruolo dei nunzi, l’ecumenismo e, infine, le questioni dottrinali, pastorali ed etiche maggiormente «controverse», da studiare per mettere meglio a fuoco i «rapporti tra pastorale e morale». Un decalogo particolarmente denso ed impegnativo, come si può vedere, con ricadute potenzialmente rilevanti.Particolarmente delicato, per esempio, appare il lavoro del gruppo di studio che dovrà confrontarsi sulle questioni teologiche e canonistiche intorno a specifiche forme ministeriali, nucleo tematico che comprendere anche «la ricerca teologica e pastorale sull’accesso delle donne al diaconato». Va detto che lo stesso papa Francesco, nel libro Non sei solo. Sfide, risposte, speranze (Salani), realizzato dai giornalisti Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, aveva escluso in modo netto il sacerdozio per le donne («se una donna non può accedere al sacerdozio, meno che meno potrà accedere all’episcopato»), ma è altrettanto noto l’impegno del Pontefice argentino per una più chiara valorizzazione femminile all’interno della Chiesa.Merita d’essere richiamato anche il gruppo sulle questioni «controverse», dato che esso - differenziandosi in questo dagli altri - vedrà la regia affidata al prefetto del Dicastero della Dottrina della fede e al Segretario della Commissione teologica internazionale, rispettivamente il cardinale Victor Manuel Fernández e monsignor Antonio Staglianò; con anche la Pontificia accademia per la vita invitata a dare un proprio contributo. Ma al di là dell’importanza dei temi che questi gruppi di studio saranno chiamati a sviscerare, a colpire è la loro stessa istituzione, che se da un lato sarà senza dubbio funzionale ad approfondire sfumature, istanze ed eventuali aspetti specifici, dall’altro potrebbe determinare delle sorprese.Benché papa Francesco si sia espressamente raccomandato che detti gruppi «lavorino secondo un metodo autenticamente sinodale» - «metodo» del quale la Segreteria generale del Sinodo dovrà farsi «garante» - non si può di fatti escludere che essi possano essere impiegati dai novatori per delle svolte sostanziali, la cui approvazione sarebbe più opportuna fosse oggetto di approvazione dell’intera Assemblea sinodale. Dopotutto, questi gruppi resteranno operativi per sette mesi dopo la conclusione del Sinodo di ottobre; e sette mesi non sono certamente pochi.
Benjamin Netanyahu (Ansa)
Colpi sulle forze Onu in Libano. Gerusalemme: «Abbiamo confuso i soldati per sospetti a causa del maltempo». E l’esercito avverte: «Se necessario operazioni a Gaza».
Ennesimo attacco alle stazioni Unifil in Libano da parte dell’Idf, ennesimo rimpallo di responsabilità. «Le forze israeliane (Idf) hanno aperto il fuoco contro peacekeeper di Unifil da un tank Merkava nei pressi di una postazione allestita da Israele in territorio libanese» ha denunciato Unifil ieri mattina, precisando che «i colpi sono arrivati a circa cinque metri dai peacekeeper, che erano a piedi» e sono stati costretti a mettersi al riparo. «I caschi blu hanno chiesto alle Idf di cessare il fuoco tramite i canali di collegamento di Unifil. Sono riusciti ad allontanarsi in sicurezza circa trenta minuti dopo, quando il carro armato Merkava si è ritirato all'interno della postazione delle Idf. Fortunatamente nessuno è rimasto ferito». Poco dopo l’Idf si è difeso chiarendo di non aver «sparato deliberatamente» contro le forze di pace delle Nazioni Unite in Libano. Hanno affermato di aver scambiato i soldati per «sospetti» a causa «delle cattive condizioni meteorologiche».
Un volo breve, un dirottatore Naif e un mistero ancora irrisolto. Ecco la storia del terrorista a bordo di Northwest 305.
Volodomyr Zelensky e Kyriakos Mitsotakis (Ansa)
Prima è stato in Grecia, oggi va a Parigi e domani in Spagna: il presidente ucraino ha la faccia tosta di pretendere gas, fondi e aerei dopo che i suoi hanno sperperato svariati miliardi per farsi i water d’oro.
Non indossa il saio del pentimento anche se assomiglia sempre più a Fra Galdino impegnato in una questua perenne. È Volodymyr Zelensky che ieri è andato in Grecia, oggi sarà a Parigi e domani in Spagna a chiedere soldi, energia e armi. Come il frate cercatore del Manzoni dice: noi siam come il mare che riceve acqua da tutte le parti e la torna a distribuire ai fiumi. Solo che i suoi fiumi sono gli oligarchi e gli amici dello stesso Zelensky, che si sono spartiti tangenti miliardarie mentre gli ucraini continuano a morire di guerra e di freddo. Lo scandalo sulla corruzione – che l’Europa conosceva dal 2021 attraverso una denuncia della sua Corte dei conti, ma che Ursula von der Leyen ha scelto di ignorare – non si placa e il presidente ucraino, mentre va in giro a fare la questua, ha annunciato profonde modifiche negli assetti istituzionali a cominciare da un radicale cambiamento della e nella Commissione per l’energia e ai vertici delle aziende di Stato, che ha chiesto al governo di presentare con urgenza alla Verkovna Rada, il Parlamento.
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Una tassa su chi non vota. L’idea l’ha lanciata il direttore della Stampa, Andrea Malaguti, per arrestare il calo della partecipazione popolare alle elezioni, sintomo - a suo dire - del declino della democrazia.
L’articolo 48 della Costituzione dice che votare è un dovere civico, cioè una specie di impegno morale, ma non un obbligo. Per l’illustre collega, invece, si dovrebbe essere costretti a partecipare alle elezioni. «Si va», ha spiegato, «con la forza». Non mi è chiaro se Malaguti preveda l’intervento dei carabinieri o, visto che «chi non va alle urne fa un danno alla collettività», quello degli esattori del fisco, per monetizzare il diritto a non esercitare un diritto (di voto). Quali che siano le procedure che il collega intende adottare per risolvere i problemi della crisi della democrazia, segnalo che il fenomeno dell’astensionismo riguarda ogni Paese occidentale.






