2024-01-27
Autonomia regionale, guerra e temi etici. Nei dem ogni materia scatena la rivolta
Stefano Bonaccini, governatore dem dell'Emilia-Romagna (Ansa)
Anche se il Nazareno nega, le lotte interne si sprecano, dal terzo mandato alla politica estera. Il caso Bigon agita pure la Toscana.«Le divisioni del Pd? Guardate quelle nella maggioranza». Ai piani alti del Nazareno non ne possono più dei retroscena che raccontano di un partito spaccato su temi come fine vita, sostegno all’Ucraina, autonomia. «Un partito spaccato è diviso in due come una mela», aggiunge il nostro interlocutore, «qui siamo in presenza di pochi dissidenti su singole questioni, come è avvenuto sull’Ucraina». Pochi ma buoni: lo scorso 10 gennaio alla Camera mentre il partito si asteneva sugli ulteriori invii di armi a Kiev, tre deputati votavano a favore della mozione del governo: Lorenzo Guerini, Lia Quartapelle e Marianna Madia. Lo ricordiamo al nostro interlocutore, che sbuffa: «Siete incredibili, due giorni fa la Lega stava per ufficializzare un documento per lo stop degli aiuti militari all’Ucraina, praticamente un favore a Vladimir Putin, e voi vi concentrate su alcuni singoli parlamentari che esprimono una posizione diversa da quella ufficiale. Il partito è compatto sulla linea uscita dal congresso», sbotta il big dem, «anche la mozione sul Medio Oriente ha visto l’unanimità dei consensi». In effetti, almeno per quel che riguarda la guerra in Ucraina, è giusto sottolineare che le posizioni di Guerini in particolare, ma pure della Quartapelle, sono da sempre turbo-militariste: il primo, in particolare, è pure presidente del Copasir, posizione che si affida sempre e soltanto a protagonisti politici ritenuti affidabili dagli alleati della Nato. Non solo: proprio sull’altare della guerra in Ucraina, ricorderete, oltre che sulla caduta del governo Draghi, Enrico Letta sacrificò la possibilità di un accordo elettorale con il M5s che avrebbe prodotto un risultato molto diverso alle politiche del settembre 2022. Già in quei giorni tumultuosi il Pd si spaccò, stavolta davvero in due come una mela, con la sinistra interna che tentò in ogni modo di ricucire lo strappo con i pentastellati. Non ci fu verso di convincere Letta, che preferì una clamorosa quanto annunciata sconfitta alla possibilità di giocarsi la partita. Ma non è solo sulla politica estera che si consuma, ogni santo giorno, una lite interna ai dem: il caso del fine vita è emblematico, con Il Pd di Verona che ha sollevato dall’incarico di vicesegretario provinciale la consigliera regionale del Veneto Anna Maria Bigon, colpevole di essersi astenuta sulla legge di iniziativa popolare sul fine vita. Una decisione che, a quanto dichiarato dal responsabile organizzazione del Pd, Igor Taruffi, e dal segretario regionale del Veneto, Andrea Marfella, è stata presa «in totale autonomia» dal segretario provinciale del Pd di Verona, Franco Bonfante, il quale ha precisato di assumersi «personalmente l’intera responsabilità della scelta». La defenestrazione della Bigon ha scatenato le proteste dei cattolici dem, dallo stesso Guerini a Graziano Delrio: del resto, se davvero la rimozione della Bigon da vicesegretaria provinciale è una scelta presa in autonomia da Bonfante, la segretaria nazionale, Elly Schlein, potrebbe annullarla in 30 secondi. Ieri sul punto sono intervenuti ben nove consiglieri regionali dem della Toscana, che hanno appunto sottolineato, in un documento congiunto, che «la revoca dell’incarico di vicesegretario del Pd di Verona operata a danno della collega consigliera regionale del Veneto, Anna Maria Bigon, dopo il voto di coscienza su una questione di carattere etico, non può essere ridotta a mera scelta locale. La questione attiene all'idea stessa di cosa sia il Partito democratico, a prescindere da chi, momentaneamente, ne formula l’indirizzo politico», hanno aggiunto i nove consiglieri regionali, chiedendo alla Schlein «di difendere il diritto alla libertà di coscienza sui temi etici e di garantire il pluralismo culturale come sempre è stato fatto nel Pd fin dalla sua fondazione. Perché, come ricorda il codice etico, il pluralismo è una ricchezza. La libertà di coscienza esercitata dalla collega veneta è parte non negoziabile dei principi e valori costituenti il Pd, che mai possono essere messi in discussione, né, tantomeno, censurati». Verrà reintegrata la Bigon? Non si sa: quello che si sa è che un altro punto sul quale nel Pd non c’è unità è quello dell’Autonomia differenziata. Mentre il partito è contro, il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, è a favore: il problema è che Bonaccini del partito non è un semplice iscritto, bensì il presidente. Anche tra i contrari ci sono lacerazioni: il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, si è intestato la battaglia contro il ddl Calderoli, ma al tempo stesso cannoneggia dialetticamente ogni volta che può il suo partito, bollato come un’entità «a metà fra Lotta continua e lo Zecchino d’oro». De Luca ce l’ha con la Schlein per il suo «no» al terzo mandato. Non è una spaccatura, questa? «Vi sfido», ci risponde il nostro interlocutore dal quartier generale dei dem, «a trovare una sola dichiarazione della Schlein contro De Luca, mentre quest’ultimo, ricordo, ne spara una al giorno e ha scritto un libro che si intitola Nonostante il Pd. Il terzo mandato? Non c’è per legge: se in un ristorante è vietato fumare e De Luca non può accendersi una sigaretta, non è certo colpa della Schlein».
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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