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2022-08-25
Sinistra nel panico. «Con la Meloni meno bimbi morti»
Chiara Ferragni (Ansa)
Come slogan elettorale per il Partito democratico, in effetti, è perfettamente calzante: «Se vincerà il centrodestra non moriranno abbastanza bambini». Il nuovo babau che da qualche giorno impensierisce i progressisti di casa nostra, infatti, riguarda l’aborto e la possibilità che non sia praticato a sufficienza. Il ragionamento che giunge da sinistra è il seguente: Fratelli d’Italia ha deciso di seguire il «modello Marche», che mette in pericolo i «diritti acquisiti» delle donne e delle minoranze. Dunque se arriverà al potere estenderà tale modello a tutta la nazione.
Tale eventualità impensierisce tantissimo persino Chiara Ferragni, che da qualche tempo ha ricevuto la benedizione di Repubblica e può presentarsi come intellettuale di riferimento della gauche, salvo le occasioni in cui si azzarda a ricordare che a Milano c’è un problema di sicurezza (in quel caso viene bruscamente invitata a farsi gli affari propri). Subito dopo aver terminato di farsi fotografie su una roccia sospesa nel vuoto a Ibiza, la presunta modella ha pensato bene di cimentarsi in un’altra attività estrema: la campagna elettorale. Ha rilanciato sui suoi profili un articolo dedicato proprio alle Marche e al loro modello «liberticida», suggerendo ai suoi follower che, in caso di vittoria della destra, verrà negato il diritto ad abortire. Seguiva battagliera esortazione: «Ora è il nostro tempo di agire e far sì che queste cose non accadano» (in realtà lei ha scritto «si» senza accento, ma passi: conoscere l’italiano è roba da boomer).
Va detto che la simpatica attivista non ha inventato nulla, si è soltanto accodata all’ultima ondata di sdegno progressista adeguatamente alimentata da Repubblica e dalla sua variante inglese appena meno aggressiva, cioè The Guardian. Ai colleghi di tutte le nazioni che s’infiammano per i mancati aborti nelle Marche, tuttavia, sarebbe bastata una ricerca priva di pregiudizi per rendersi conto che nella regione governata dal fratello d’Italia Francesco Acquaroli non ci sono state modifiche rispetto alla precedente gestione. Nessun provvedimento della giunta regionale ha vietato l’interruzione di gravidanza o ha imposto la pubblica flagellazione per le donne che hanno deciso di abortire. Infatti, nelle Marche si abortisce eccome, e se non ci credete date un’occhiata all’indagine realizzata dalle transfemministe di Non una di meno giusto qualche mese fa (scegliamo loro perché sono una fonte al di sopra di ogni sospetto di bigottismo). Da quella ricerca è «emerso che in Italia 7 medici su 10 si rifiutano di praticare l’Ivg. Nelle Marche la percentuale dei ginecologi obiettori è del 71,2% (57 su 80, escluso l’ospedale di Ancona che non ha risposto), in linea con la media nazionale». Ma pensa: le Marche amministrate dalla destra più retriva sono perfettamente in linea con la media nazionale di obiettori, ben lontane dalle percentuali registrate nel non lontano Molise.
Non è tutto: «Urbino conta appena il 40% di ginecologi obiettori (4 su 10). Un quadro comunque peggiorato rispetto ai dati Istat del 2017, quando contava solo due obiettori su 10». Gli unici casi particolari sono quelli di Fermo e degli Ospedali riuniti di Jesi, dove gli obiettori fra il personale sanitario raggiungono il 100%. Va notato però che questi dati erano sostanzialmente identici nel 2017, quando la destra non governava. C’è inoltre da considerare un particolare non irrilevante, e cioè che l’obiezione di coscienza è un diritto per lo meno equivalente a quello di abortire, e se un numero crescente di professionisti ogni anno sceglie di esercitarlo, magari qualche motivo esiste.
Dove stia allora il vero problema riguardante le Marche è presto detto: siamo di fronte alla solita, vecchia storia della pillola abortiva. Da tempo infatti una parte del Pd e di una larga fetta di sinistra brigano affinché la caramellina magica sia diffusa il più possibile, e somministrata senza ricetta e senza ricovero in ospedale. A che cosa serva tutto ciò non è difficile da capire: chiunque desideri liberarsi del fardello sgradito non ha che da presentarsi in consultorio e farsi dare il rimedio rapido, via il bambino via il dolore. A facilitare la procedura ci ha pensato il sempre solerte Roberto Speranza. Nell’agosto del 2020, in piena emergenza Covid, il ministro passava parte del suo tempo a occuparsi dell’ormai mitologico libro Perché guariremo, e nei ritagli - invece di concentrarsi sul virus - studiava nuove linee guida sulla interruzione di gravidanza. Le regoline stilate dal bravo Roberto prevedono che una donna intenzionata ad abortire possa farlo fino alla nona settimana e una volta assunta la pillola RU486 possa tornare subito a casa, senza obbligo di ricovero in ospedale. In pratica, si è trattato di uno sdoganamento dell’aborto facile, a cui fortunatamente non tutte le regioni hanno prontamente e passivamente aderito. Il Piemonte ad esempio ha scelto di opporsi, sulla base di una relazione realizzata da una commissione sanitaria bipartisan. L’Umbria aveva cercato di rendere tassativo il ricovero in ospedale (cosa che in teoria tutela le donne), e la governatrice Donatella Tesei ne ha ricavato una marea di insulti, tanto che negli ultimi tempi sembra aver leggermente modificato la propria linea sui temi etici. Minacce e attacchi brutali sono arrivati anche all’assessore regionale marchigiano Giorgia Latini: quando tentò di dire che avrebbe volentieri seguito l’esempio umbro della Tesei, ci fu chi le fece sapere che avrebbe provveduto a bruciarle la casa. Cose che capitano..
Vediamo quindi di rimettere un attimo in ordine i vari elementi. Nelle Marche non ci sono problemi ad abortire. Se in un paio di città gli obiettori sono tanti, stanno semplicemente esercitando un diritto. Ciò comporta che qualcuna dovrà spostarsi per interrompere la gravidanza? Vorremmo sapere di quante persone si parla, in ogni caso in Italia che ci si debba spostare per effettuare visite, esami o interventi è la normalità. Ogni giorno persone affette da patologie anche gravi sono costrette a farlo, ma alle transfemministe o alla Ferragni non sembra fregare molto. Se poi il punto è la pillola abortiva, non si capisce dove stia la lesione dei diritti nell’idea di garantire alle donne la somministrazione ospedaliera. O, meglio, si capisce benissimo: con la scusa dei soliti diritti, si legittima il taglio dei posti letto e del personale medico, si spinge per favorire le case farmaceutiche e si instilla l’idea che una ragazzina possa abortire esattamente come si leva un neo dalla schiena, anzi con più facilità. È a questo sistema che produce morte in nome del business che portano acqua la Ferragni e le bellicose attiviste nemiche del patriarcato. In ogni caso, facciano pure, nessuno glielo impedisce. Così come nessuno vuole modificare la legge 194, nemmeno i cosiddetti anti sistema come Italexit o il movimento di Adinolfi e Di Stefano. Le pasionarie abortiste si sbracciano perché convinte che alla legge non si stia dando piena attuazione? Benissimo, e allora applichiamola pienamente, tutta quanta. Compresa però la parte iniziale, in cui si specifica che la vita va difesa dall’inizio alla fine, e si lascia ampia libertà di azione anche nelle strutture sanitarie alle associazioni pro life. Se esiste una discriminazione sull’interruzione di gravidanza, infatti, riguarda semmai i movimenti a favore della vita, i quali vengono regolarmente censurati non appena tentano di affiggere un cartellone, e per lo più hanno vita difficile quando provano a fornire materiale informativo o aiuto a chi si appresta ad abortire.
In ogni caso, ben presto il problema si risolverà da solo, dato che gli italiani hanno praticamente smesso di fare figli. Ma chissà, magari un bel giorno, quando le nascite saranno a zero, la Ferragni (che pure con la sua bella famiglia tradizionale un po’ di soldini li porta a casa) e i suoi adepti sinistrorsi saranno felici perché con meno bambini si rispetta di più l’ambiente. E si conservano meravigliosi sfondi per i selfie.
La teoria gender sarà imposta in oltre 4.000 scuole americane
La teoria del gender - definita dal pur apertissimo papa Francesco come uno «sbaglio della mente umana» - ha avuto varie fasi. All’inizio era negata dai suoi promotori. Poi però, con la diffusione dei gay pride, l’accelerata secolarizzazione dei costumi e soprattutto il sostegno delle élite finanziarie, il gender si è manifestato in tutto il suo splendore. E in tutto il suo marciume.
L’attentissima Fox news, tira l’allarme per quel che riguarda la scuola americana. Secondo la testata americana, «la teoria radicale del gender ha fatto improvvise incursioni nelle scuole americane». E rischia ormai di dilagare «in più di 4.000 scuole». Molti genitori, attenti allo sviluppo dei loro ragazzi, hanno infatti notato, come gli studenti, tornati a casa, «ripetessero gli slogan del movimento e adottassero identità sessuali nuove come non binario, pansessuale e queer». Ora, una cosa è una lezione sulla (presunta) omofobia e gli «stereotipi di genere». Un’altra cosa è un bambino, magari delle elementari, che a casa dica fiero di essere «gender fluid», «cisgender» o «bisessuale».
Dietro l’indottrinamento dei giovani nelle scuole Usa ci sarebbe un gruppo ben preciso. La Gsa network, «un’organizzazione no profit» ma con «un budget annuale multimilionario». (Quando gruppi come Facebook o Amazon donano miliardi, facciamo attenzione prima di giudicarli filantropi). Questo network, che un tempo si chiamava Gay-Straight Alliance, dirigerebbe centinaia di gruppi attivi in 40 Stati americani. Con la mission di invitare docenti e studenti a riflettere sui «limiti del sistema binario». Dubbi socratici, certo. Questa propaganda risulterebbe ardua se non fosse associata alle campagne «anti-bullismo e di inclusione Lgbtq».
Il passo forse non è automatico, ma di fatto è breve. Si parte dal caso orribile di un ragazzino schernito dai compagni perché indossava una maglietta rosa, e si finisce per chiedersi se esistano la virilità e la femminilità. Ed effettivamente, se non esistessero, andrebbero decostruite come la razionalità fa con la superstizione. Ma qui la realtà è capovolta. Per la scienza (biologia, anatomia, psicologia) i sessi esistono, sono due e non sono a scelta. Per la «superstizione gender» invece, esistono tanti generi quanti sono gli abitanti del pianeta, e forse più. Fox news nota il legame di questa folle teoria pansessualista con le nuove forme dell’antirazzismo. Il quale, mentre nega le razze, vede razzisti ovunque. Questa pericolosa ideologia fa la sintesi tra la teoria radicale del gender e la teoria critica della razza. Fino a sostenere che «gli uomini bianchi europei hanno creato un sistema oppressivo basato sul capitalismo, la supremazia bianca e l’eteronormatività». Il che avrebbe portato alla «promozione dell’eterosessualità e delle norme familiari borghesi». I militanti del gender e i fanatici dell’antirazzismo hanno quindi un nemico comune: l’uomo bianco che avrebbe inventato la distinzione maschio femmina per dominare il mondo!
Delirio? Sì, ma facciamo attenzione. Dagli States a Roma l’utopia vola alla velocità della luce.
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Repubblica e Chiara Ferragni temono il «modello Marche». Ma nella Regione governata da Fdi l’aborto non è stato negato.La teoria gender sarà imposta in oltre 4.000 scuole americane. Allarme di «Fox news»: con la scusa della lotta al bullismo, migliaia di bimbi indottrinati.Lo speciale comprende due articoli.Come slogan elettorale per il Partito democratico, in effetti, è perfettamente calzante: «Se vincerà il centrodestra non moriranno abbastanza bambini». Il nuovo babau che da qualche giorno impensierisce i progressisti di casa nostra, infatti, riguarda l’aborto e la possibilità che non sia praticato a sufficienza. Il ragionamento che giunge da sinistra è il seguente: Fratelli d’Italia ha deciso di seguire il «modello Marche», che mette in pericolo i «diritti acquisiti» delle donne e delle minoranze. Dunque se arriverà al potere estenderà tale modello a tutta la nazione.Tale eventualità impensierisce tantissimo persino Chiara Ferragni, che da qualche tempo ha ricevuto la benedizione di Repubblica e può presentarsi come intellettuale di riferimento della gauche, salvo le occasioni in cui si azzarda a ricordare che a Milano c’è un problema di sicurezza (in quel caso viene bruscamente invitata a farsi gli affari propri). Subito dopo aver terminato di farsi fotografie su una roccia sospesa nel vuoto a Ibiza, la presunta modella ha pensato bene di cimentarsi in un’altra attività estrema: la campagna elettorale. Ha rilanciato sui suoi profili un articolo dedicato proprio alle Marche e al loro modello «liberticida», suggerendo ai suoi follower che, in caso di vittoria della destra, verrà negato il diritto ad abortire. Seguiva battagliera esortazione: «Ora è il nostro tempo di agire e far sì che queste cose non accadano» (in realtà lei ha scritto «si» senza accento, ma passi: conoscere l’italiano è roba da boomer).Va detto che la simpatica attivista non ha inventato nulla, si è soltanto accodata all’ultima ondata di sdegno progressista adeguatamente alimentata da Repubblica e dalla sua variante inglese appena meno aggressiva, cioè The Guardian. Ai colleghi di tutte le nazioni che s’infiammano per i mancati aborti nelle Marche, tuttavia, sarebbe bastata una ricerca priva di pregiudizi per rendersi conto che nella regione governata dal fratello d’Italia Francesco Acquaroli non ci sono state modifiche rispetto alla precedente gestione. Nessun provvedimento della giunta regionale ha vietato l’interruzione di gravidanza o ha imposto la pubblica flagellazione per le donne che hanno deciso di abortire. Infatti, nelle Marche si abortisce eccome, e se non ci credete date un’occhiata all’indagine realizzata dalle transfemministe di Non una di meno giusto qualche mese fa (scegliamo loro perché sono una fonte al di sopra di ogni sospetto di bigottismo). Da quella ricerca è «emerso che in Italia 7 medici su 10 si rifiutano di praticare l’Ivg. Nelle Marche la percentuale dei ginecologi obiettori è del 71,2% (57 su 80, escluso l’ospedale di Ancona che non ha risposto), in linea con la media nazionale». Ma pensa: le Marche amministrate dalla destra più retriva sono perfettamente in linea con la media nazionale di obiettori, ben lontane dalle percentuali registrate nel non lontano Molise.Non è tutto: «Urbino conta appena il 40% di ginecologi obiettori (4 su 10). Un quadro comunque peggiorato rispetto ai dati Istat del 2017, quando contava solo due obiettori su 10». Gli unici casi particolari sono quelli di Fermo e degli Ospedali riuniti di Jesi, dove gli obiettori fra il personale sanitario raggiungono il 100%. Va notato però che questi dati erano sostanzialmente identici nel 2017, quando la destra non governava. C’è inoltre da considerare un particolare non irrilevante, e cioè che l’obiezione di coscienza è un diritto per lo meno equivalente a quello di abortire, e se un numero crescente di professionisti ogni anno sceglie di esercitarlo, magari qualche motivo esiste.Dove stia allora il vero problema riguardante le Marche è presto detto: siamo di fronte alla solita, vecchia storia della pillola abortiva. Da tempo infatti una parte del Pd e di una larga fetta di sinistra brigano affinché la caramellina magica sia diffusa il più possibile, e somministrata senza ricetta e senza ricovero in ospedale. A che cosa serva tutto ciò non è difficile da capire: chiunque desideri liberarsi del fardello sgradito non ha che da presentarsi in consultorio e farsi dare il rimedio rapido, via il bambino via il dolore. A facilitare la procedura ci ha pensato il sempre solerte Roberto Speranza. Nell’agosto del 2020, in piena emergenza Covid, il ministro passava parte del suo tempo a occuparsi dell’ormai mitologico libro Perché guariremo, e nei ritagli - invece di concentrarsi sul virus - studiava nuove linee guida sulla interruzione di gravidanza. Le regoline stilate dal bravo Roberto prevedono che una donna intenzionata ad abortire possa farlo fino alla nona settimana e una volta assunta la pillola RU486 possa tornare subito a casa, senza obbligo di ricovero in ospedale. In pratica, si è trattato di uno sdoganamento dell’aborto facile, a cui fortunatamente non tutte le regioni hanno prontamente e passivamente aderito. Il Piemonte ad esempio ha scelto di opporsi, sulla base di una relazione realizzata da una commissione sanitaria bipartisan. L’Umbria aveva cercato di rendere tassativo il ricovero in ospedale (cosa che in teoria tutela le donne), e la governatrice Donatella Tesei ne ha ricavato una marea di insulti, tanto che negli ultimi tempi sembra aver leggermente modificato la propria linea sui temi etici. Minacce e attacchi brutali sono arrivati anche all’assessore regionale marchigiano Giorgia Latini: quando tentò di dire che avrebbe volentieri seguito l’esempio umbro della Tesei, ci fu chi le fece sapere che avrebbe provveduto a bruciarle la casa. Cose che capitano..Vediamo quindi di rimettere un attimo in ordine i vari elementi. Nelle Marche non ci sono problemi ad abortire. Se in un paio di città gli obiettori sono tanti, stanno semplicemente esercitando un diritto. Ciò comporta che qualcuna dovrà spostarsi per interrompere la gravidanza? Vorremmo sapere di quante persone si parla, in ogni caso in Italia che ci si debba spostare per effettuare visite, esami o interventi è la normalità. Ogni giorno persone affette da patologie anche gravi sono costrette a farlo, ma alle transfemministe o alla Ferragni non sembra fregare molto. Se poi il punto è la pillola abortiva, non si capisce dove stia la lesione dei diritti nell’idea di garantire alle donne la somministrazione ospedaliera. O, meglio, si capisce benissimo: con la scusa dei soliti diritti, si legittima il taglio dei posti letto e del personale medico, si spinge per favorire le case farmaceutiche e si instilla l’idea che una ragazzina possa abortire esattamente come si leva un neo dalla schiena, anzi con più facilità. È a questo sistema che produce morte in nome del business che portano acqua la Ferragni e le bellicose attiviste nemiche del patriarcato. In ogni caso, facciano pure, nessuno glielo impedisce. Così come nessuno vuole modificare la legge 194, nemmeno i cosiddetti anti sistema come Italexit o il movimento di Adinolfi e Di Stefano. Le pasionarie abortiste si sbracciano perché convinte che alla legge non si stia dando piena attuazione? Benissimo, e allora applichiamola pienamente, tutta quanta. Compresa però la parte iniziale, in cui si specifica che la vita va difesa dall’inizio alla fine, e si lascia ampia libertà di azione anche nelle strutture sanitarie alle associazioni pro life. Se esiste una discriminazione sull’interruzione di gravidanza, infatti, riguarda semmai i movimenti a favore della vita, i quali vengono regolarmente censurati non appena tentano di affiggere un cartellone, e per lo più hanno vita difficile quando provano a fornire materiale informativo o aiuto a chi si appresta ad abortire.In ogni caso, ben presto il problema si risolverà da solo, dato che gli italiani hanno praticamente smesso di fare figli. Ma chissà, magari un bel giorno, quando le nascite saranno a zero, la Ferragni (che pure con la sua bella famiglia tradizionale un po’ di soldini li porta a casa) e i suoi adepti sinistrorsi saranno felici perché con meno bambini si rispetta di più l’ambiente. E si conservano meravigliosi sfondi per i selfie. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sinistra-nel-panico-con-la-meloni-meno-bimbi-morti-2657935543.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-teoria-gender-sara-imposta-in-oltre-4-000-scuole-americane" data-post-id="2657935543" data-published-at="1661370435" data-use-pagination="False"> La teoria gender sarà imposta in oltre 4.000 scuole americane La teoria del gender - definita dal pur apertissimo papa Francesco come uno «sbaglio della mente umana» - ha avuto varie fasi. All’inizio era negata dai suoi promotori. Poi però, con la diffusione dei gay pride, l’accelerata secolarizzazione dei costumi e soprattutto il sostegno delle élite finanziarie, il gender si è manifestato in tutto il suo splendore. E in tutto il suo marciume. L’attentissima Fox news, tira l’allarme per quel che riguarda la scuola americana. Secondo la testata americana, «la teoria radicale del gender ha fatto improvvise incursioni nelle scuole americane». E rischia ormai di dilagare «in più di 4.000 scuole». Molti genitori, attenti allo sviluppo dei loro ragazzi, hanno infatti notato, come gli studenti, tornati a casa, «ripetessero gli slogan del movimento e adottassero identità sessuali nuove come non binario, pansessuale e queer». Ora, una cosa è una lezione sulla (presunta) omofobia e gli «stereotipi di genere». Un’altra cosa è un bambino, magari delle elementari, che a casa dica fiero di essere «gender fluid», «cisgender» o «bisessuale». Dietro l’indottrinamento dei giovani nelle scuole Usa ci sarebbe un gruppo ben preciso. La Gsa network, «un’organizzazione no profit» ma con «un budget annuale multimilionario». (Quando gruppi come Facebook o Amazon donano miliardi, facciamo attenzione prima di giudicarli filantropi). Questo network, che un tempo si chiamava Gay-Straight Alliance, dirigerebbe centinaia di gruppi attivi in 40 Stati americani. Con la mission di invitare docenti e studenti a riflettere sui «limiti del sistema binario». Dubbi socratici, certo. Questa propaganda risulterebbe ardua se non fosse associata alle campagne «anti-bullismo e di inclusione Lgbtq». Il passo forse non è automatico, ma di fatto è breve. Si parte dal caso orribile di un ragazzino schernito dai compagni perché indossava una maglietta rosa, e si finisce per chiedersi se esistano la virilità e la femminilità. Ed effettivamente, se non esistessero, andrebbero decostruite come la razionalità fa con la superstizione. Ma qui la realtà è capovolta. Per la scienza (biologia, anatomia, psicologia) i sessi esistono, sono due e non sono a scelta. Per la «superstizione gender» invece, esistono tanti generi quanti sono gli abitanti del pianeta, e forse più. Fox news nota il legame di questa folle teoria pansessualista con le nuove forme dell’antirazzismo. Il quale, mentre nega le razze, vede razzisti ovunque. Questa pericolosa ideologia fa la sintesi tra la teoria radicale del gender e la teoria critica della razza. Fino a sostenere che «gli uomini bianchi europei hanno creato un sistema oppressivo basato sul capitalismo, la supremazia bianca e l’eteronormatività». Il che avrebbe portato alla «promozione dell’eterosessualità e delle norme familiari borghesi». I militanti del gender e i fanatici dell’antirazzismo hanno quindi un nemico comune: l’uomo bianco che avrebbe inventato la distinzione maschio femmina per dominare il mondo! Delirio? Sì, ma facciamo attenzione. Dagli States a Roma l’utopia vola alla velocità della luce.
(Apple Tv)
Non è affatto detto che sia così perché, dietro l’obiettivo di rovesciare le formule della fantascienza, si nasconde l’ambizione di una riflessione sul rapporto tra benessere collettivo e libertà individuale, tra felicità globale e identità personale. Il tutto proposto con grande cura formale, ottime musiche e qualche lungaggine autoriale. Possibili, lontani, riferimenti: Lost, per i prologhi spiazzanti e i flashback, Truman Show, per la solitudine e l’apparenza stranianti, Black Mirror, per la cornice distopica. Ma la mano dell’ideatore è inconfondibile.
Ci troviamo ad Albuquerque, la città del New Mexico già teatro dei precedenti plot di Gilligan, ma stavolta la vicenda è tutt’altra. Siamo in un futuro progredito e un certo rigore si è già radicato nella quotidianità. Per esempio, l’avviamento delle auto di ultima generazione è collegato alla prova di sobrietà del palloncino: se si è stati al pub, l’auto non parte. Individuato da un gruppo di astronomi, un virus Rna proveniente dallo spazio, trasmesso in laboratorio da un topo e contagiato tramite baci e alimenti, rende gli esseri umani felici, gentili e samaritani con il prossimo. Le persone agiscono come un’unica mente collettiva, ma non a causa di un’invasione aliena, tipo L’invasione degli ultracorpi, bensì per il fatto che «noi siamo noi», garantisce un politico che parla dalla Casa Bianca, anche se non è il presidente. «Gli scienziati hanno creato in laboratorio una specie di virus, più precisamente una colla mentale capace di tenerci legati tutti insieme». In questo mondo, non esiste il dolore, non si registrano reati, le prigioni sono vuote, le strade non sono mai congestionate, regna la pace. Tutto è perfetto e patinato, perché la contraddizione non esiste. Debellata, dietro una maschera suadente. La colla mentale dispone alla benevolenza e alla correttezza le persone. Che però non possono scegliere, ma agire solo in base a un «imperativo genetico». Soltanto 12 persone in tutto il Pianeta sono immuni al contagio. Ma mentre undici sembrano disposte a recepirlo, l’unica che si ribella è Carol Sturka (Reha Seehorn), una scrittrice di romanzi per casalinghe sentimentali. Cinica, diffidente, omosex e discretamente testarda, malgrado vicini, conoscenti e certi soccorritori ribadiscano le loro buone intenzioni - «vogliamo solo renderti felice» - lei non vuole assimilarsi ed essere rieducata dal virus dei buoni. I quali, ogni volta che lei respinge bruscamente le loro attenzioni, restano paralizzati in strane convulsioni, alimentando i suoi sensi di colpa. Il prezzo della libertà è una solitudine sterminata, addolcita dal fatto che, componendo un numero di telefono, può vedere esaudito ogni desiderio: cibi speciali, cene su terrazze panoramiche, giornate alle terme, Rolls Royce fiammanti. Quando si imbatte in qualche complicazione è immediatamente soccorsa da Zosia (Karolina Wydra), volto seducente della mente collettiva, o da un drone, tempestivo nel recapitarle a domicilio la più bizzarra delle richieste. A Carol è anche consentito di interagire con gli altri umani esenti dal contagio. Che però non condividono il suo progetto di ribellione alla felicità coatta: tocca a noi riparare il mondo. «Perché? La situazione sembra ideale, non ci sono guerre, viviamo tranquilli», ribatte un viveur che sfrutta ogni lusso e privilegio concesso dalla mente collettiva.
L’idea di questa serie risale a circa otto o nove anni fa, ha raccontato Gilligan in un’intervista. «In quel periodo io e Peter Gould (il suo principale collaboratore, ndr.) avevamo iniziato a lavorare a Better Call Saul e ci divertivamo parecchio. Durante le pause pranzo avevo l’abitudine di vagare nei dintorni dell’ufficio immaginando un personaggio maschile con cui tutti erano gentili. Tutti lo amavano e non importa quanto lui potesse essere scortese, tutti continuavano a trattarlo bene». Poi, nella ricerca del perché di questa inspiegabile gentilezza, la storia si è arricchita e al posto di un protagonista maschile si è imposta la figura della scrittrice interpretata da Reha Seehorn, già nel cast di Better Call Saul. Su di lei, a lungo sola in scena, si regge lo sviluppo del racconto. A un certo punto, provata dalla solitudine, ma senza voler smettere d’indagare anche perché incoraggiata dalle prime inquietanti scoperte, Carol cambia strategia, smorzando la sua ostilità…
Il titolo della serie deriva da «E pluribus unum», cioè «da molti, uno», antico motto degli Stati Uniti, proposto il 4 luglio 1776 per simboleggiare l’unione delle prime 13 colonie in una sola nazione. Gilligan ha trasferito la suggestione di quel motto a una dimensione esistenziale e filosofica, inscenando una sorta di apocalisse dolce per riflettere sulla problematica convivenza tra singolo e collettività. Per questo, in origine, Plur1bus era scritto con l’1 al posto della «i».
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Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Questo allentamento delle norme consente che nuove auto con motore a combustione interna possano ancora essere immatricolate nell’Ue anche dopo il 2035. Non sono previste date successive in cui si arrivi al 100% di riduzione delle emissioni. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha naturalmente magnificato il ripensamento della Commissione, affermando che «mentre la tecnologia trasforma rapidamente la mobilità e la geopolitica rimodella la competizione globale, l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita». Ursula 2025 sconfessa Ursula 2022, ma sono dettagli. A questo si aggiunge la dichiarazione del vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné, che ha definito il pacchetto «un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». Peccato che, in conferenza stampa, a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Séjourné perché si sia arrivati alla necessità di un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea. Ma sono altri dettagli.
L’autorizzazione a proseguire con i motori a combustione (inclusi ibridi plug-in, mild hybrid e veicoli con autonomia estesa) è subordinata a condizioni stringenti, perché le emissioni di CO2 residue, quel 10%, dovranno essere compensate. I meccanismi di compensazione sono due: 1) utilizzo di e-fuel e biocarburanti fino a un massimo del 3%; 2) acciaio verde fino al 7% delle emissioni. Il commissario Wopke Hoekstra ha spiegato infatti che la flessibilità è concessa a patto che sia «compensata con acciaio a basse emissioni di carbonio e l’uso di combustibili sostenibili per abbattere le emissioni».
Mentre Bruxelles celebra questa minima flessibilità come una vittoria per l’industria, il mondo reale offre un quadro ben più drammatico. Ieri Volkswagen ha ufficialmente chiuso la sua prima fabbrica tedesca, la Gläserne Manufaktur di Dresda, che produceva esclusivamente veicoli elettrici (prima la e-Golf e poi la ID.3). Le ragioni? Il rallentamento delle vendite di auto elettriche. La fabbrica sarà riconvertita in un centro di innovazione, lasciando 230 dipendenti in attesa di ricollocamento. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Ford Motor Co. ha annunciato che registrerà una svalutazione di 19,5 miliardi di dollari legata al suo business dei veicoli elettrici. L’azienda ha perso 13 miliardi nel suo settore Ev dal 2023, perdendo circa 50.000 dollari per ogni veicolo elettrico venduto l’anno scorso. Ford sta ora virando verso ibridi e veicoli a benzina, eliminando il pick-up elettrico F-150 Lightning.
La crisi dell’auto europea non si risolve certo con questa trovata dell’ultima ora. Nonostante gli sforzi e i supercrediti di CO2 per le piccole auto elettriche made in Eu, la domanda di veicoli elettrici è debole. Questa nuova apertura, ottenuta a fatica, non sarà sufficiente a salvare il settore automobilistico europeo di fronte alla concorrenza cinese e al disinteresse dei consumatori. Sarebbe stata più opportuna un’eliminazione radicale e definitiva dell’obbligo di zero emissioni per il 2035, abbracciando una vera neutralità tecnologica (che includa ad esempio i motori a combustione ad alta efficienza di cui parlava anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz). «La Commissione oggi fa un passo avanti verso la razionalità, verso il mercato, verso i consumatori ma servirà tanto altro per salvare il settore. Soprattutto servirà una Commissione che non chiuda gli occhi davanti all’evidenza», ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi, anche presidente dell’Automotive Regions Alliance. La principale federazione automobilistica tedesca, la Vda, ha detto invece che la nuova linea di Bruxelles ha il merito di riconoscere «l’apertura tecnologica», ma è «piena di così tanti ostacoli che rischia di essere inefficace nella pratica». Resta il problema della leggerezza con cui a Bruxelles si passa dalla definizione di regole assurde e impraticabili al loro annacquamento, dopo che danni enormi sono stati fatti all’industria e all’economia. Peraltro, la correzione di rotta non è affatto un liberi tutti. La riduzione del 100% delle emissioni andrà comunque perseguita al 90% con le auto elettriche. «Abbiamo valutato che questa riduzione del 10% degli obiettivi di CO2, dal 100% al 90%, consentirà flessibilità al mercato e che circa il 30-35% delle auto al 2035 saranno non elettriche, ma con tecnologie diverse, come motori a combustione interna, ibridi plug-in o con range extender» ha detto il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzizikostas in conferenza stampa. Può darsi che sarà così, ma il commissario greco si è dimenticato di dire che quasi certamente si tratterà di auto cinesi.
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(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare di Fratelli d'Italia durante un'intervista a margine dell’evento «Con coraggio e libertà», dedicato alla figura del giornalista e reporter di guerra Almerigo Grilz.