2025-05-20
La sinistra continua a fare sogni che crede realtà
JD Vance, Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen (Getty Images)
Renzi liscia il pelo a Macron: «Il governo fa solo propaganda». E Gentiloni si autoconvince che i volenterosi contino qualcosa.Non c'è niente da fare: se anche Giorgia Meloni avesse organizzato a Palazzo Chigi un incontro a quattro con Donald Trump, papa Leone XIV e Vladimir Putin, la sinistra continuerebbe a dire che l’Italia è isolata e nel mondo non conta niente. Non ricordo di aver visto nel passato un premier ricevuto come primo leader europeo alla Casa Bianca mentre è in atto un braccio di ferro tra Stati Uniti e Ue. E allo stesso tempo, non ho memoria di un vertice a Palazzo Chigi tra il numero due e tre dell’amministrazione americana e il presidente dell’Unione europea. Né in altri tempi mi pare di aver sentito entusiastici commenti dall’America nei confronti della leadership del nostro Paese, a meno di non includere fra i commenti entusiastici il saluto a «Giuseppi» che Trump rivolse a Conte quando quest’ultimo era presidente del Consiglio.Eppure, nonostante gli evidenti successi in politica estera e sebbene Meloni non abbia mancato di difendere l’interesse nazionale contro la fastidiosa invadenza di un galletto spennacchiato come Macron, a sinistra non perdono occasione per attaccare il governo proprio sul terreno delle relazioni internazionali, sposando in pieno la narrazione francese. Il meglio (ma forse sarebbe opportuno dire il peggio) lo ha dato Matteo Renzi, che domenica ha postato una fotografia in cui a Tirana abbracciava Macron, ovviamente in polemica con Meloni. Secondo lui, l’uomo che sgomita per avere un ruolo nella partita ucraina, anche a prezzo di spericolate manovre (come quella di proporre l’invio di soldati europei a sostegno della resistenza di Kiev o il dislocamento dell’arsenale atomico in Germania e Polonia, cioè sempre più vicino ai confini russi), lavora per «un’Europa più forte e più unita». Peccato che il presidente francese non perda occasione per alimentare, oltre al suo ego, proprio le divisioni con l’Italia. Meloni, secondo Renzi, «fa solo propaganda». Da quando la maggioranza di governo ha presentato una proposta di legge per impedire che un parlamentare sia a libro paga di Stati esteri, il presidente del Consiglio è divenuto l’ossessione del «senatore semplice di Rignano», il quale non passa giorno senza trovare un argomento per polemizzare con lei.Ma l’ex premier non è il solo ad abbracciare Macron pur di criticare Meloni. Se Renzi si mostra, anche in fotografia, più vicino al numero uno di un Paese straniero che a quello del nostro, altri, anche senza farsi ritrarre tra le braccia dell’inquilino dell’Eliseo, si comportano allo stesso modo. Leggere per credere, ad esempio, Paolo Gentiloni, che ieri su Repubblica si è esibito in un commento che già nel titolo lasciava intuire dove andasse a parare: «La debolezza sul palcoscenico internazionale». Nel giorno in cui ovunque scorrevano le immagini di un vertice a Palazzo Chigi con JD Vance e Ursula von der Leyen, l’ex commissario Ue ha vergato un articolo per dire che la postura in politica estera di Giorgia Meloni rischia di essere un suo serio punto di debolezza, per «l’assenza italiana dal gruppo dei Paesi che indirizzano di fatto le scelte europee sulla guerra e la pace in Ucraina». Secondo Gentiloni, la coalizione dei Volenterosi determinerebbe decisioni importanti in merito al conflitto in corso. Ed esserne stati esclusi, dunque, costituirebbe un grave errore. Fosse vero, l’ex commissario avrebbe ragione. Ma in realtà, sia la prima osservazione che la seconda sono false. Infatti, non corrisponde affatto al vero che Francia, Germania, Polonia e Gran Bretagna stiano determinando importanti decisioni in merito alla guerra e alla pace in Ucraina. Dove sarebbero queste scelte strategiche? Nel minacciare di inviare truppe a sostegno di Kiev? Oppure nell’organizzare continui quanto inconcludenti vertici? La verità è che la partita per una tregua non si gioca sul tavolo dell’Europa, ma tra Mosca e Washington, come abbiamo visto proprio ieri. Sono Trump e Putin a discutere di pace e non Macron, Starmer, Merz o Tusk, i quali, a quanto pare, non vanno in cerca di un cessate il fuoco, ma di un po’ di visibilità. Spiegato questo si capisce anche perché non corrisponde al vero l’esclusione dell’Italia. Che senso ha partecipare a vertici sui quali non si è d’accordo? Che ragione c’è di perdere tempo con leader che non vogliono la pace, ma solo un loro successo personale? Del resto, da un commissario che chiede la deroga al divieto europeo di collaborazione dopo il mandato per poter incassare una consulenza di poche decine di migliaia di euro non c’è da aspettarsi una grande visione. Come non c’è da attendersela da qualche ambasciatore in disarmo, che sulla Stampa, prima riconosce che la Ue sull’Ucraina è fuori dalla partita, ma poi invita Meloni a reinserirsi nel gioco politico-diplomatico guidato da Macron e compagni. Per fare che cosa? Forse per certificare che sulla pace a Kiev la Ue non tocca palla.