2024-11-28
«Mai dire banlieue»: la sinistra nega e senza volerlo rivaluta il Ventennio
Gianni Biondillo (Getty Images)
Su «Repubblica» Gianni Biondillo rimpiange «la casa per tutti», in voga un secolo fa.Un gruppo di giovani nordafricani ai margini della legalità, uno scontro con l’autorità, il corpo di un ragazzo rimasto a terra, nottate di scontri etnici. Milano 2024? No, Vitry 1980. Sono più di 40 anni che questo copione è stato scritto, eppure i commentatori italiani sono ancora convinti che arrivi l’happy end. Da Abdelkhader Lareiche, il quindicenne ucciso nel Comune dell’Île-de-France, a Ramy Elgaml, rimasto sul selciato del Corvetto, sono passati 44 anni. Eppure c’è chi casca sempre dal pero. «Non chiamatela banlieue», ammoniva ieri lo scrittore Gianni Biondillo su Repubblica. La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti: esorcizzare, sviare, negare. «Dal Corvetto al Duomo ci vuole un quarto d’ora di metropolitana, siamo ormai nel cuore della metropoli lombarda», spiega Biondillo. Tra i tossici stranieri di Porte de la Chapelle e le stanze dorate dell’Assemblea nazionale, sulla linea 12 del metrò parigino, ci vogliono una ventina di minuti, se è per questo. E tra la Goutte-d’Or, il quartiere in cui i maranza locali dormono semi storditi nelle lavatrici delle lavanderie a gettoni, e la Montmartre bohémienne della Parigi da cartolina, ci sono appena dieci minuti. Ma Biondillo, che è scrittore ma anche architetto, pare fissato con l’urbanistica. Il Corvetto, dice, «è anche un bel quartiere. [...] È il più grande progetto di edilizia popolare costruito negli anni Venti del Novecento in città, quando, in quel secolo, dare una casa a tutti era un imperativo morale. Quando una casa era un diritto, non una merce di scambio». Qui è difficile dissentire, in effetti: siamo lontani dai formicai che fanno da sfondo ai teppisti de L’Odio o di Athena. C’è tuttavia da chiedersi se Biondillo si sia accorto di aver rasentato, con la sua elegia architettonica, l’apologia di fascismo (già che c’è, fatto trenta, il neo camerata scrittore faccia trentuno e si vada a rileggere i passi in cui Ezra Pound si entusiasmava per quel punto del Manifesto di Verona in cui veniva sancito il diritto alla - e non solo «della» - proprietà della casa...). Non è però con i voli pindarici di archeologia urbanistica che si spiega la rivolta di Corvetto, così come non è (solo) con la piantina di Parigi alla mano che capiamo le banlieue. C’è infatti un elefante nella stanza, anche abbastanza inquieto, che parla arabo. Ma, come i ciechi della storiella indiana, Biondillo vuole convincerci che quella non è una proboscide, bensì un serpente, e quelle non sono orecchie, ma due ventagli. «Non è neppure più», scrive, «una questione “etnica”. Spesso queste bande giovanili sono composte da ragazzi di provenienza mista, italiani compresi. […] In più questi “immigrati di seconda generazione” (lo sentite l’intimo razzismo di questa definizione?) non hanno la cittadinanza italiana, non hanno un lavoro, non votano, non hanno un peso politico, non contano niente». Non è una questione etnica e non riguarda solo gli immigrati, quindi come la risolviamo? Con la cittadinanza per tutti, ovvio. Ma a chi li diamo, questi documenti che magicamente rendono i rapinatori col coltello facile dei lettori di Micromega con la Costituzione in tasca, se abbiamo detto che il problema non è etnico? Anche qui, del resto, sembra di ragionare nel vuoto, come se non esistessero tentativi di applicare le medesime ricette già finite in catastrofe. Le menti degli attentati del Bataclan erano cresciute in Francia e Belgio, non avevano problemi economici e avevano in tasca i documenti magici. Non c’è nessuno che non li considerasse europei: erano loro a non considerarsi tali. Biondillo ricorda i disordini del 2005 e spiega come lui, da buona Cassandra, avesse lanciato il suo invito all’inclusione: «Lavoriamo per la prossima generazione. Evitiamo che si senta esclusa, costruiamo, prima che tutto venga distrutto». Geniale, nessuno ci aveva mai pensato. A parte, ovviamente, i soliti francesi, che sfornano «piani banlieue» dal 1977 e si calcola che abbiano speso per i quartieri degli immigrati 75 miliardi in 40 anni. Quando va bene, ci hanno aperto corsi di mimo nei seminterrati dei casermoni tenuti da attiviste con la gonna a fiori. Stranamente non ha funzionato.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)