2022-06-03
Cavallo di Troia dei sindacati. Legge sui salari per imporsi anche nelle piccole imprese
Maurizio Landini e Andrea Orlando (Ansa)
Maurizio Landini e Andrea Orlando usano il nodo compensi per estendere la rappresentanza alle Pmi: le fabbriche chiudono e servono tessere. Sulle politiche attive, invece, silenzio assoluto.Al di là dell’imperversare della guerra, già da un anno era chiaro (nonostante governi e istituzioni finanziarie lo abbiano più volte negato) che il problema del 2022 sarebbe stata l’inflazione. A pesare gli effetti della deglobalizzazione, i colli di bottiglia della logistica internazionale e la fine del lunghissimo periodo di denaro a costo zero. Anzi sotto zero. Da un lato a chi governo in tempi di enormi debiti pubblici e di progetti dispendiosi come il Recovery plan, l’inflazione fa pure comodo per manovrare i debiti pubblici. A chi non fa per nulla comodo è ai lavoratori a redditi fisso o peggio ai precari. L’Unione europea ha detto chiaramente che la linea di indirizzo è chiudere i rubinetti della Bce e, per alzare la produttività, inserire lavoratori e profughi a costi ancora inferiori. povertàD’altro canto bilanciare la povertà con enormi salvagente a forma di bonus e sussidi sarebbe la fine dell’Italia come l’abbiamo conosciuta fino a oggi. Con tutti i suoi difetti, ma anche con enormi pregi di libertà e indipendenza. Ci siamo augurati che il governo pensi almeno a una alternativa. Quella del taglio portentoso delle tasse. Sarebbe la leva che consentirebbe alle aziende di investire, correre e poter garantire una fetta dei risparmi a quei lavoratori che meritano e sono più preparati. In mezzo a questi due estremi c’è una terza via, quella dei sindacati, che promuovono assieme alla sinistra il salario minimo. «In questi 30 anni sono diminuiti i salari ed è aumentata la precarietà del lavoro», ha detto il segretario della Cgil, Maurizio Landini, in una intervista a Radio Anch’io nella quale ha sottolineato che il salario minimo «serve» e serve garantire ai lavoratori tutti i diritti previsti dai contratti. «Se vogliamo aumentare i salari», ha detto, «si deve investire sulla qualità del lavoro e non sulla precarietà». Ovviamente, il metodo della Cgil è sempre quello del contrasto. E quindi è convinta che le aziende siano vacche da mungere con sempre maggiori costi o tasse. Ma in momenti di contrazione e stagflazione le aziende saltano e muoiono: il salario minimo sarebbe l’iniezione di morfina che accelera l’esito nefasto. I sindacati però insistono per un motivo che non è altrettanto sbandierato. Landini ha sottolineato che «la contrattazione aziendale non copre più del 20/30% dei lavoratori italiani perché ci sono molte piccole e piccolissime imprese», aggiungendo, che «Lo strumento fondamentale per redistribuire è il contratto nazionale di lavoro. Bisogna aumentare i salari reali a partire dal rinnovo dei contratti. Sono aumentati i contratti pirata perché non c’è una legge sulla rappresentanza». Per il capo della Cgil il salario minimo va imposto per legge in parallelo all’obbligo di contrattazione. È chiaro l’intento: usare il salario minimo (al di là della valutazione di merito) come cavallo di Troia per entrare dentro le medie e piccole imprese. Che oggi si muovono in autonomia, trovando anche accordi che scavalcano le pastoie e le briglie della rappresentanza. Purtroppo l’idea di Landini non alberga solo in lui. la coppia«Credo che il salario minimo serva perché la contrattazione da sola non basta più ma la contrattazione va integrata con lo strumento della rappresentanza. Bisogna trovare il modo per correlarle», ha esclamato il ministro della cassa integrazione, Andrea Orlando, intervenendo - guarda caso - all’iniziativa della Cgil Futura 2021 a Bologna. Questo dovrebbe essere, ha affermato, «il punto di partenza di un ragionamento che tenga insieme rappresentanza e salario minimo perché il rischio è che passa il salario minimo e contemporaneamente si sfascia il sistema della contrattazione». È quindi chiaro che la coppia sindacal-ministeriale vuole entrare a gamba tesa nel micro tessuto imprenditoriale, dopo due anni di pandemia che hanno distrutto il settore delle partite Iva e delle piccole imprese. È altrettanto chiaro che la strategia deve essere fermata. La presenza sindacale così come la conosciamo in Italia è l’antitesi della produttività. L’Adapt, associazione figlia della filosofia di Marco Biagi, ha diffuso un bollettino lo scorso 16 maggio dedicato all’araba fenice (in senso ironico) delle politiche attive. Il testo spiega come i sindacati si scandalizzino se le imprese sperimentano pratiche fai da te di ricerca del personale. Prassi «anomale» di collaborazione tra imprese e lavoratori per cercare profili idonei nelle assunzioni. Chi si scandalizza vorrebbe che il mercato delle politiche attive debba essere in mano esclusivamente a operatori pubblici. Inutile dire che tra chi si scandalizza ci sono in prima fila i sindacati. Gli stessi che nemmeno dopo l’assassinio di Biagi hanno fatto granché a favore delle politiche attive. Eppure gli stessi sindacati sono nati tra i mestieri e nei territori, prima ancora che nelle fabbriche e nei settori merceologici. Solo che con il passare del tempo hanno abdicato al ruolo di facilitatori del lavoro e di sostenitori della formazione e della specializzazione. Anzi, i sindacati sono cristallizzatori per definizione. Il loro obiettivo era salvaguardare spazi di rappresentanza e non i rappresentanti. Solo che ora gli spazi che si erano conquistati sono finiti. Le grandi aziende evaporate. Le fabbriche kaputt. Invece di fare esame di coscienza adesso cercano nuove praterie (le Pmi) da desertificare. Con la sponda di Orlando.