2025-02-22
Siluro a Zelensky: «Esilio in Francia». Ombre cinesi sui negoziati
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Elon Musk insulta l’ex comico («Si nutre di cadaveri dei soldati»), The Donald lo umilia: «Inutile averlo agli incontri, non ha carte. Migliori i colloqui con Putin che con lui».L'Ue verso un nuovo pacchetto da 6-10 miliardi per Kiev. Madrid riesuma gli asset russi: «Investirli nella Difesa». L’amministrazione Usa: «Nessun diktat, ci consultiamo con l’Europa».Lo speciale contiene due articoli.Da Churchill a de Gaulle, il passo è breve: Volodymyr Zelensky era l’eroe della resistenza, rischia di ritrovarsi leader in esilio. Alla voce di Radio Londra toccò la capitale britannica; lui, secondo una fonte vicina all’esecutivo americano, citata dal New York Post, dovrebbe andare «immediatamente in Francia». Donald Trump, invece, sarebbe pronto a una mossa clamorosa: il principale settimanale transalpino, Le Point, sostiene che il 9 maggio sarà a Mosca per la Giornata della vittoria sul nazismo. Il tycoon però ha smentito nella tarda serata italiana.Il presidente ucraino, reduce da uno scambio di veleni con l’omologo statunitense, è stato coperto di insulti pure da Elon Musk: il magnate lo ha definito «un dittatore» che «si nutre dei cadaveri dei suoi soldati». Poi è arrivata una mano tesa dall’inviato speciale di Washington, con cui l’ex attore si era incontrato a Kiev e che ha riferito di un colloquio «positivo» con un uomo «coraggioso». Alla convention dei conservatori di Washington, Mike Waltz ha assicurato che il comandante in capo, accantonate le sue perplessità, «firmerà l’accordo» per la fine del conflitto. Il consigliere per la sicurezza nazionale ha sottolineato che, senza il numero uno del movimento Maga, non si sarebbe mai arrivati a un punto così avanzato nel dialogo tra i belligeranti: «L’ho sentito dire anche da Putin e Zelensky». Quest’ultimo, intanto, ha dovuto riaprire il confronto con l’alleato sulle terre rare, complicato dalle «condizioni capestro» che Trump vorrebbe imporre: l’Ucraina avrebbe inviato una bozza d’intesa e starebbe «aspettando una risposta americana»; la versione di Waltz è che Zelensky sottoscriverà l’intesa «a brevissimo termine». Sarà per mettergli pressione che il tycoon gli ha tirato addosso altre secchiate di acqua gelata: in un’intervista a Fox radio, ha ribadito di non volerlo coinvolgere nelle trattative. «Se devo essere onesto, non penso sia importante (averlo, ndr) agli incontri. Quando Zelensky ha detto che non è stato invitato all’incontro» è perché «non era una priorità, visto che ha fatto un cattivo lavoro finora nel negoziare». Dopo,The Donald ha aggiunto che i colloqui con Vladimir Putin sono stati «ottimi», mentre non sono stati «così buoni» quelli con la controparte ucraina. Per le sorti del presidente in tuta mimetica è un momento scurissimo. Tanto che Andrzej Duda, il collega polacco, gli ha suggerito di cooperare in maniera «calma e costruttiva» con l’inquilino della Casa Bianca, che fotografa la drammatica situazione sul campo: l’Ucraina, ha rincarato la dose ieri, «non ha alcuna carta in mano». In ogni caso, anche la Russia, benché in vantaggio nel Donbass, è consapevole che dovrà prepararsi a delle concessioni.Sono balenate due ipotesi interessanti. La prima: avvertito dall’intelligence della possibilità che Putin usi la tregua per preparare un’altra micidiale offensiva, The Donald starebbe valutando una clausola in base alla quale una violazione degli accordi da parte russa comporterebbe la rapida ammissione dell’Ucraina nella Nato. Lo zar, dicono nel mentre gli 007 ucraini, vorrebbe dichiarare la vittoria il 24 febbraio, terzo anniversario dell’invasione. La seconda ipotesi: per Reuters, Mosca sarebbe disponibile a impiegare 300 miliardi di dollari di beni sovrani congelati in Europa per riparare i danni di guerra, purché una parte del denaro sia speso per le regioni occupate. Sempre l’agenzia statunitense ha svelato che, al netto dell’accelerazione degli ultimi giorni, il confronto tra delegazioni delle due potenze sarebbe già in corso da subito dopo l’elezione di Trump e gli incontri avrebbero avuto luogo in Svizzera.Nel frattempo, sui negoziati irrompe un convitato di pietra: la Cina. Ieri, a Johannesburg, a margine del Consiglio ministeriale del G20, si è svolto un bilaterale sino-russo tra i rispettivi ministri degli Esteri. Wang Yi ha plaudito all’apertura di «uno spiraglio per la pace» e ha garantito il suo sostegno a «tutti gli sforzi» che possano condurre a un armistizio, «incluso il recente consenso raggiunto tra Stati Uniti e Russia». In realtà, a Pechino temono che il riavvicinamento tra Trump e Putin possa interrompere quel processo che stava portando il Paese dello zar dritto nelle fauci del Dragone. Uno scenario che non ha mai esaltato Mad Vlad, paradossalmente il più «occidentale» degli esponenti dell’élite russa, costretto nondimeno a fare di necessità virtù. Non è un mistero che disarticolare l’asse degli avversari strategici dell’Occidente sia uno degli obiettivi che sta perseguendo il tycoon. Ieri, l’ipotesi è stata esplicitamente evocata dall’autocrate bielorusso, Aljaksandr Lukashenko.Perciò, il rappresentante cinese ha voluto ricordare a Sergej Lavrov la «posizione coerente» della sua nazione sulla crisi ucraina, insistendo sull’importanza del partenariato tra i due Paesi, che «sta avanzando verso un livello più elevato e dimensioni più ampie». Il capo della diplomazia russa è tornato sul rifiuto Usa di qualificare come «aggressore» la Federazione in una risoluzione Onu e ha elogiato il «pragmatismo» americano. Trump, con la Fox, ha sì ammesso che è stata la Russia ad attaccare, ma se l’è presa con la mala gestione di Joe Biden («È molto stupido»).Il tentativo degli orientali di ritagliarsi un ruolo dovrebbe culminare in una imminente conversazione telefonica tra Putin e Xi Jinping. E l’Europa? Sia il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, sia Waltz, hanno rassicurato: non ci saranno diktat a nessuno e con il Vecchio continente ci sono e ci saranno contatti costanti. La verità è che, nel grande banchetto ucraino, chi aveva pagato il conto più salato rischia di rimanere a digiuno.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/siluro-zelensky-esilio-in-francia-2671195727.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lue-tiene-lelmetto-aiuti-militari" data-post-id="2671195727" data-published-at="1740194583" data-use-pagination="False"> L’Ue tiene l’elmetto: «Aiuti militari» Nel mezzo delle crescenti tensioni tra Washington e l’Unione europea sulla guerra in Ucraina e il continuo botta e risposta tra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e l’omologo ucraino, Volodymyr Zelensky, esiste un elemento costante: l’invio di aiuti militari a Kiev da parte di Bruxelles. L’Ue starebbe infatti valutando un pacchetto da 6-10 miliardi di euro. La proposta, che prevede l’erogazione dei fondi «il prima possibile, nel 2025», sarà discussa lunedì nel corso della riunione del consiglio esteri. Un alto funzionario Ue ha comunicato che: «l’Alto rappresentante Kaja Kallas chiederà ai ministri di concentrarsi su due cose: più supporto militare all’Ucraina e come aumentare ulteriormente la pressione sulla Russia». Il piano, aperto anche a partner non Ue, prevede la fornitura di artiglieria di grosso calibro, sistemi di difesa aerea, droni e missili, ma anche il supporto alle truppe ucraine. E si sarebbe già valutata una mossa per aggirare lo scoglio dell’unanimità: una coalizione di Paesi volontari potrebbe dare il via libera al pacchetto. Sul tema della sicurezza, dalla Spagna è arrivata invece la proposta del ministro degli Esteri, José Manuel Albares: bisognerebbe usare «gli attivi russi congelati inutilizzati» per aumentare la spesa di difesa europea. La presa di distanza dell’Ue dalle parole di Trump, secondo cui il presidente ucraino Zelensky è «un dittatore senza elezioni», si conferma tanto nelle dichiarazioni quanto nelle commemorazioni. Il portavoce della Commissione Ue, Anitta Hipper, ha infatti sostenuto: «È molto chiaro chi è l’aggressore qui. La Russia è l’aggressore. La Russia ha iniziato la guerra». E in occasione del terzo anniversario dall’inizio del conflitto, da domenica, la bandiera gialloblù sarà esposta assieme a quella dell’Ue al di fuori delle sedi del Parlamento europeo. Anche la Germania ha reagito duramente alle parole del tycoon, con il portavoce del governo, Steffen Hebestreit, che ha avvisato: «Non sosterremo mai una pace diktat». Mentre il candidato cancelliere della Cdu, Friedrich Merz, si è detto sotto choc per le dichiarazioni di Trump, parlando di un «capovolgimento carnefice vittima», il cancelliere in carica, Olaf Scholz, ha telefonato a Zelensky, per parlare di «pace giusta» e di strumenti per raggiungerla. Nonostante l’Ue sia disposta a sostenere Kiev anche qualora rifiutasse un accordo svantaggioso, da Washington sono arrivate ieri alcune rassicurazioni. Secondo il New York Times, il segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha voluto precisare ad alcuni diplomatici europei che gli Usa non intendono imporre all’Ucraina un accordo di pace con Mosca. Rubio, spiegando agli alleati la riunione a Riad con il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, pur riconoscendo che forse nel disegno di Mosca ci sia l’indebolimento della già fragile unità del fronte occidentale, ha affermato che l’incontro è stato «un test per determinare se il Cremlino sia serio sulla possibilità di raggiungere un accordo». Sul fatto che gli Stati Uniti non stiano isolando l’Europa dalle trattative si è esposto anche il consigliere per la sicurezza nazionale, Mike Waltz, che ha sottolineato: «Il presidente ha parlato con Macron due volte la settimana scorsa, il quale lunedì sarà qui», aggiungendo: «Il primo ministro britannico verrà qui giovedì prossimo. Stiamo coinvolgendo tutti i nostri alleati europei». E la conferma arriverebbe anche dall’annuncio dell’incontro tra Trump e il presidente polacco, Andrzej Duda, che si terrà oggi a Washington.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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