2024-11-22
Il silenzio di Trump spiazza Mosca e Kiev
Donald Trump (Getty Images)
Il tycoon non parla né della telefonata con Putin né degli Atacms. Mossa che potrebbe celare la sua vera dottrina: mettere pressione ai belligeranti e aprire le trattative. Obbligando Zelensky a cedere sul ritiro dei russi e lo zar a recedere dall’abbraccio con la Cina.«Lascia che i tuoi piani siano oscuri e impenetrabili come la notte e, quando ti muovi, cadi come un fulmine». È forse a questa massima di Sun Tzu che Donald Trump si sta rifacendo per affrontare la crisi ucraina. Se c’è qualcosa che stupisce del tycoon sono, infatti, i suoi silenzi su alcuni degli ultimi sviluppi relativi a questo fronte. Il 10 novembre, il Washington Post aveva riferito di una sua telefonata con Vladimir Putin. Il colloquio è stato smentito seccamente dal leader russo, mentre il team di transizione del presidente americano in pectore si è limitato a un «no comment», senza confermare o negare. In silenzio Trump è rimasto anche dopo che Joe Biden ha autorizzato Kiev a usare i missili Atacms in territorio russo. La mossa è stata duramente criticata da vari alleati politici del tycoon e dal suo stesso figlio, Donald jr. Tuttavia il presidente in pectore ha taciuto, mentre il suo team di transizione si è limitato ad affermazioni generiche.La domanda è, allora, lecita: per quale ragione Trump si sta comportando così? Forse i suoi silenzi hanno un senso. E potrebbe essere quello dell’ambiguità strategica. Checché ne dicano, il tycoon non è né un filorusso né un pacifista. È un pragmatico con il senso della deterrenza. Quella deterrenza che Biden ha azzoppato e che adesso lui deve ripristinare come precondizione a ogni possibile azione diplomatica. Ecco che, dunque, i suoi silenzi potrebbero avere due obiettivi distinti e complementari. In primis, non commentando l’autorizzazione all’uso degli Atacms, Trump spiazza innanzitutto Putin. Lo zar si era probabilmente convinto che il tycoon fosse disposto a tutto pur di far finire celermente il conflitto. E adesso resta interdetto davanti al suo silenzio, magari temendo che possa rivelarsi meno accondiscendente del previsto.È chiaro che, così facendo, Trump punta a mettere psicologicamente sotto pressione il presidente russo in vista delle trattative. L’imprevedibilità è, d’altronde, una componente essenziale della deterrenza. E Trump vuole negoziare, sì, ma con la proverbiale pistola poggiata sul tavolo. Senza trascurare che il tycoon ha scelto come segretario di Stato quel Marco Rubio che, pur essendosi detto aperto a una soluzione negoziata della crisi ucraina, ha co-sponsorizzato, da senatore, la legge che vieta al presidente degli Stati Uniti di abbandonare unilateralmente la Nato. In secondo luogo, non confermando né smentendo la telefonata con lo zar, Trump ha messo in allarme anche Volodymyr Zelensky. Il leader ucraino adesso si starà chiedendo: «E se il tycoon avesse parlato veramente con Putin? E se fosse disposto a un accordo senza di me?». Instillando questo dubbio, Trump vuole spingere Zelensky a sedersi al tavolo delle trattative, facendolo rinunciare alla precondizione, da lui ripetutamente posta, di un ritiro unilaterale delle truppe russe dal territorio ucraino: una precondizione che il tycoon ha sempre considerato irrealistica. In altre parole, con il suo silenzio sulla telefonata, Trump sta dicendo a Zelensky: o ti siedi al tavolo o tratto senza di te. Era dicembre scorso, quando il generale Keith Kellogg, uno dei principali consiglieri di Trump in materia di sicurezza nazionale, scrisse sul National Interest che il tycoon avrebbe probabilmente subordinato gli aiuti militari a Kiev alla disponibilità di Zelensky ad avviare negoziati con la Russia.Insomma, forse Trump sta ricorrendo a una forma di ambiguità strategica con il preciso intento di spiazzare sia Putin che Zelensky. D’altronde, la diplomazia ha una duplice dimensione: quella del dialogo, sì, ma anche quella della pressione e finanche della minaccia. Se vuole che il leader ucraino accetti degli obiettivi realistici, Trump non è tuttavia disposto a un appeasement nei confronti del Cremlino: un simile scenario innescherebbe, infatti, un effetto domino che, come accaduto a Biden con l’Afghanistan, pagherebbe poi caro in altri contesti (a partire dall’Indo-pacifico).E attenzione: l’ambiguità strategica di Trump potrebbe aver già prodotto qualche conseguenza. Zelensky ha ammorbidito la sua posizione sulla Crimea, mentre il Cremlino si è detto aperto a discutere un cessate il fuoco con Trump. Certo, la tensione resta al momento alta: l’Ucraina ha già usato gli Atacms contro il territorio russo, mentre Mosca, oltre ad aver aggiornato la propria dottrina nucleare, ha lanciato su Dnipro un missile balistico (che non è ancora chiaro se sia o meno intercontinentale). Tuttavia gli spiragli diplomatici aperti da Zelensky e Putin nelle ultime 48 ore non sembrano irrilevanti. Tra l’altro, Trump potrebbe voler giocare su più tavoli contemporaneamente, andando al di là della triangolazione tra Washington, Kiev e Mosca.Il tycoon vuole recuperare il rapporto con la Russia per cercare di sganciarla dalla Cina. Potrebbe, quindi, scambiare pedine su questo tavolo per spuntare un accordo vantaggioso su quello ucraino. E chissà che non voglia coinvolgere l’India in una simile strategia. Nuova Delhi potrebbe aiutare Trump a incunearsi nelle relazioni sino-russe: rappresenta, infatti, un pilastro della strategia americana nell’Indo-pacifico e, al contempo, intrattiene stretti legami con Mosca nel settore della Difesa in chiave anti-Pechino. D’altronde, nonostante Russia e Cina abbiano intensificato i loro rapporti dal 2022, Trump vuole far leva sull’antico timore, nutrito da Putin, di un abbraccio soffocante con il Dragone.Insomma, il presidente americano in pectore sa che deve smuovere le acque. E non è detto che, per la sua strategia diplomatica, il caos recentemente riesploso sia necessariamente una cattiva notizia. Vista la confusione sotto il cielo, la situazione potrebbe rivelarsi eccellente. La diplomazia ha come precondizione il ripristino, non certo facile, della deterrenza. Prepariamoci, dunque. I significativi silenzi di Trump sono solo un antipasto. Il tycoon potrebbe volersi spingere fin sull’orlo dell’abisso, per poi ritrarsi e trattare. Nei prossimi sei mesi balleremo parecchio. Ma forse potremmo assistere a una svolta diplomatica concreta.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
Continua a leggereRiduci
Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
Continua a leggereRiduci